"La bontà ha sempre gli occhi chiusi; se li apre, diventa il suo perfetto opposto ed è tutt'altro che buona".
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mercoledì 25 ottobre 2017
La bontà è cieca
lunedì 16 ottobre 2017
Tangemi e Melograni
- di Saso Bellantone
Quando arriva l'autunno,
si chiude un ciclo e uno nuovo comincia.
Si pensa al lavoro, ai
sacrifici da sopportare per il sostentamento proprio e dei propri
cari, alle nuove sfide da affrontare. La vita vissuta si riassume
nelle foglie appassite che cadono qua e là per le strade, metafora
appunto del tempo passato ma anche monito del tempo rimasto.
La vita infatti non è
soltanto ciò che è stato ma anche ciò che sarà. È la sintesi di
due occhi che guardano in direzioni opposte e che s'incontrano
soltanto nel qui ed ora, simile quest'ultimo alla moneta avente due
facce, al Giano avente due volti, al Taijitu contenente lo yin e lo
yang.
È in questo periodo che
il qui ed ora, leggero come l'indefinito nella stagione estiva,
inizia a manifestare la propria pesantezza, la propria gravità. Il
cammino diventa più arduo, i movimenti più faticosi, le orme sul
sentiero del tempo e dei ricordi più profonde. Non sappiamo più chi
eravamo né chi diventeremo. Siamo consapevoli che occorre proseguire
lungo la strada verso la foresta, oltre la quale ve n'è un'altra che
conduce a un'altra foresta ancora e così via, finché resteremo in
questo sogno lucido che è il mistero dell'esistenza.
Fa piacere tuttavia
percorrere alcuni tratti di strada con dei compagni inattesi.
Sulla via, infatti, non
sai mai chi incontri e, quando meno te lo aspetti, ecco spuntare
qualcuno che con gesti semplici ti offre l'occasione di rammentare la
tua identità, la tua provenienza, la tua direzione. È quello che
accade ogni volta con l'amico Mimmo De Pietro.
Mio personale maestro di
vernacolo nicoterese, è una persona sui generis, dalla spiccata
intelligenza e dalla grande umanità, una di quelle persone difficili
da incontrare in questo tempo buio e selvaggio qual è quello
attuale. Ha sempre qualcosa da raccontare, la battuta pronta, è
gentile, attento agli impegni familiari e a quelli collettivi. Ma
soprattutto, è una persona sincera, spontanea, senza secondi fini:
naturale.
Ricordo ancora quando
alcuni anni fa portò dei Tangemi o Tangeli, che dir si voglia. Un
agrume che non conoscevo, la cui bellezza, il cui sapore e il cui
profumo ispirarono la scrittura di un racconto dall'omonimo titolo.
Restò incuriosito della mia ignoranza in materia e fu felice quando
scoprì che quell'agrume era stato il protagonista di un racconto,
dedicato a lui.
Da allora è nata una
bella amicizia. Ci vediamo poco, per via degli impegni, ma ogni volta
è come se ci fossimo incontrati il giorno prima. Mimmo fa ricerca
dialettale per insegnarmi quello che non conosco, io gli sottopongo
delle domande a cui lui, se non lo fa subito, risponderà la prossima
volta che ci vedremo. Un'amicizia intellettuale, così mi piace
definire questo tipo di affinità vissuta con pochi altri, e credo
sia la migliore. Nella società, infatti, nulla si fa per
nient'altro, ci dev'essere qualcosa in cambio. Eppure questo tipo di
amicizia sfugge a quella fattispecie. Si dà la conoscenza per il
piacere della conoscenza stessa, si è amici per il piacere di essere
tali.
Ogni anno, tuttavia,
quando arriva l'autunno, Mimmo non dimentica mai di portare alcuni
Tangemi, simbolo ormai della nostra amicizia. Questa volta, però, li
ha accompagnati a dei melograni, dei frutti adatti all'autunno, la
stagione della riflessione. È in questo periodo, infatti, che i
melograni sono pronti per essere gustati, mentre la pianta comincia a
denudarsi delle sue foglie, restando un tronco spoglio,
apparentemente morto, eppure in piena primavera e a inizio estate
torna a mostrare nuovi germogli.
Non a caso gli antichi
pensavano che il melograno simboleggiasse la rinascita della vita.
Non è un caso se quest'anno Mimmo li ha portati assieme ai Tangemi.
Rappresentano una conferma: un rinnovamento della nostra amicizia e,
con essa, anche la rammemorazione della strada percorsa finora e di
quella ancora da attraversare.
giovedì 12 ottobre 2017
Stelle umanizzate
"Il fascino di una stella non è nel suo splendore ma nella sua distanza; se la riducessimo, perderemmo non soltanto il fascino ma anche la stella".
sabato 7 ottobre 2017
La magia delle parole
- di Saso Bellantone
"La magia è la capacità di cambiare le cose, mutando i cuori attraverso le parole. Se le cose non cambiano, o le persone sono senza cuore o le parole sono inefficaci".
giovedì 5 ottobre 2017
Identità restante
“L'identità è quel che resta delle
gioie e dei dolori provati, dei premi e dei castighi ricevuti, delle
vittorie e delle sconfitte incassate”.
sabato 30 settembre 2017
Uno strano passaggio
-
di Saso Bellantone
La
pioggia cadeva forte e veloce, come burrasca in mare aperto. La
Toyota saltava tra le profonde pozze d'acqua come peschereccio su
onde rabbiose. Inutili tergicristalli si muovevano su e giù su un
parabrezza totalmente spento dal piovasco, mentre ciechi occhi
cercavano di non sbattere contro muri, alberi e recinzioni. Pur
essendo mezzogiorno, sembrava mezzanotte. Non c'era nessun altro, a
parte i fulmini improvvisi che squarciavano il cielo nero e i tuoni
che amplificavano l'agitazione di Gianni, penetrando il silenzio
dell'abitacolo.
Non
vedeva un temporale simile da anni. Ne aveva affrontati tanti ma mai
si era spaventato come in questo caso, nonostante stesse
attraversando una strada a lui ben nota, quella del Ponte Vecchio,
che da casa sua portava all'uliveto di famiglia. Produttore di olio
di pregiata qualità, esportato al nord Italia e all'estero, ogni
giorno la percorreva almeno quattro volte, avanti e indietro: alla
mattina, a mezzogiorno, nel primo pomeriggio e alla sera. Gianni
Tanboga era un buon autista e, pur conoscendo a memoria tutte le
strade della zona, questa volta, sotto quel maledetto temporale,
aveva paura e non ne capiva il perché. Aveva sempre lavorato, fin da
ragazzo, non aveva mai fatto del male a nessuno né combinato guai di
alcun genere. Amava la musica, l'arte, la letteratura, la scienza, il
cinema e lo sport. Era una persona sensibile, tant'è che faceva
parte di diverse associazioni del territorio con finalità solidali e
di volontariato. Si era laureato persino in Agraria e aveva dato una
svolta all'azienda familiare, rendendola una dei fiori all'occhiello
della regione, assieme ad altre ormai di fama mondiale. L'unica cosa
che non gli interessava era la politica, che reputava ormai marcia e
inutile dal momento che tutte le decisioni di ordine nazionale, su
qualsiasi settore, le prendeva il parlamento europeo e non quello
italiano. Passava la vita lavorando, dedicando il tempo libero alle
sue passioni e alla solidarietà, e aveva pochissimi amici, che
incontrava o sentiva raramente, perché preferiva restare da solo per
occuparsi di tutti i suoi impegni lavorativi e ricreativi. Non aveva
dunque alcun motivo per cui sentirsi talmente inquieto eppure, quel
giorno, lo era e la consapevolezza di questo lo agitava di più.
Tenendo
gli occhi fissi sulla strada che, comunque, non si vedeva, Gianni
prese una sigaretta e l'accese, mentre il cielo veniva nuovamente
lacerato da un fulmine. Abbassò poi leggermente il finestrino per
far uscire il fumo, incurante dell'acqua che penetrava dentro
l'abitacolo, e saltò sul sedile a causa del tuono assodante
consecutivo alla folgore. Convinto che il boato avesse rotto qualcosa
dentro di lui, tolse gli occhi dalla strada, in ogni caso
introvabile, per recuperare la sigaretta finita in mezzo alle gambe.
Quando guardò di nuovo innanzi a sé, si accorse che stavolta la
strada si vedeva: aveva improvvisamente smesso di piovere e un raggio
di sole, facendosi largo tra le nubi, illuminava una figura solitaria
che camminava senza ombrello a una trentina di metri da lui.
Non
ebbe il tempo di tirare un sospiro di sollievo né di chiedersi chi
fosse quel tale che le nubi si chiusero nuovamente, la pioggia
riprese a cadere più forte di prima e il parabrezza fu velato di
nuovo dall'acqua. Preoccupato per il tizio, Gianni abbassò
completamente il finestrino, gettò via la sigaretta e, mettendo la
testa fuori dall'abitacolo, si avvicinò lentamente all'altro che
proseguiva imperterrito nel temporale.
«Ehi!»
urlò «Ehi! Che ci fate sotto la pioggia?!»
L'uomo
parve non sentire, così Gianni, avvicinatosi ancora un po', lo
chiamò di nuovo:
«Ehi!
Ma dove andate sotto quest'acqua?!»
Stavolta
l'altro si fermò e si voltò in direzione di Gianni, che ormai si
era fermato al suo fianco e poté vederlo chiaramente. Era un uomo
sulla settantina, avvolto in una cerata nera. Portava un vecchio
bastone su una mano e sull'altra una busta della spesa, mentre in
testa aveva un cappello da cowboy, saldamente legato sotto il mento.
Il suo volto era segnato dalle rughe e i suoi occhi trasparivano una
bontà innata:
«Non
dovevi fermarti, posso proseguire da solo.» rispose l'uomo, senza
mostrare alcuna emozione.
«Ma
che state dicendo, non vedete come piove?! Salite che vi do un
passaggio.»
«D'accordo
giovanotto, come preferisci.»
L'uomo
girò dall'altra parte e si imbarcò sull'automobile, mentre Gianni,
rimessa la testa dentro l'abitacolo, alzò il finestrino e ripartì.
«Guardate
come siete conciato!» disse, guardando incuriosito il cappello da
cowboy «Siete tutto inzuppato! Ma si può sapere che ci facevate da
solo in questo diluvio?!»
«Doveri,
giovanotto. Doveri.»
«Doveri?
E non avete nessuno, un parente o un amico che possa accompagnarvi?»
«Purtroppo
i miei impegni non prevedono la presenza di altri . Ecco perché ti
avevo detto che avrei proseguito da solo.»
«Vabbè,
potevate farvi accompagnare, dire di attendervi in macchina per
sbrigare i vostri obblighi e una volta finito potevate farvi
riportare a casa. Tenete...» Gianni prese dei pacchi di fazzoletti
dal cruscotto e li porse all'anziano «Intanto, asciugatevi come
potete. Dove dovete andare che vi porto io?»
«Te
l'ho detto, dove vado io non può venire nessuno... e comunque, non
ho parenti né amici.» sorrise l'altro, accettando i fazzoletti e
cominciando ad asciugarsi, senza togliersi il cappello né
l'impermeabile.
«Questo
mi dispiace però ormai siete a bordo e vi accompagno io. Ditemi dove
andate, così vi lascio lì e me ne vado.»
«Grazie
giovanotto. Tutte le persone che ho incontrato finora sono state
scortesi e offensive, mentre tu sei molto gentile. Ma come ti ho già
detto, questo non è possibile. Dove vado io non può venire nessuno,
neanche tu.»
«Allora
facciamo così: ditemi una zona nelle vicinanze. Così io non so dove
andate e voi non dovete rivelarlo. Va bene?»
Il
vecchio si mise a ridere, perché Gianni lo fissava con
un'espressione buffa: «Neanche così va bene, giovanotto. Pensa a
guardare la strada.»
«La
guardo la strada, la guardo... anche se non si vede nulla. Comunque
non capisco una cosa. Se nessuno può accompagnarvi dove dovete
andare, perché allora siete salito a bordo?»
«Vuoi
saperlo davvero?» lo fissò l'anziano.
Gianni
lo guardò come inebetito e rispose: «Certo.»
«E
va bene, te lo dirò.»
L'uomo
restò in silenzio per alcuni istanti e Gianni, che ormai non stava
nella pelle, esclamò: «Allora?!»
«Perché
hai insistito.» il vecchio scoppiò a ridere.
«Ma
che risposta è questa!» protestò Gianni «Siete salito a bordo
soltanto perché ho insistito?»
«Ti
sembrerà strano ma è proprio così. Di solito nessuno mi cerca, mi
rivolge la parola o attira la mia attenzione per fare qualcosa per
me, come hai fatto tu. In genere, tutti lo fanno perché vogliono
avere qualcosa da me, e attualmente accade talmente spesso che mi
sono stancato. Non mi va più di fare questo lavoro...»
«Beccato!
Quindi è per lavoro che state andando a...»
«Tanto
non ci casco, giovanotto.» rise l'altro «Ricordati che sono più
adulto e ho più esperienza di te.»
«Va
bene, ci ho provato... Comunque, almeno questo potete dirlo: è per
lavoro che vi trovate qui?»
«Sì,
diciamo di sì.»
«Bene.
E si può sapere quale?»
«Mmm...
Non fare troppe domande, però.» lo intimò l'anziano, cercando di
farsi serio senza riuscirci.
«Avanti,
l'ho capito da un pezzo che non riuscite ad essere duro...»
«È
così evidente? Strano, pensavo...»
«Non
cambiate argomento. Stavate dicendo qual è il vostro lavoro.»
«Ah
già!» il vecchio gli strizzò l'occhio «Diciamo che il mio è uno
dei... anzi, direi, sì, è il lavoro più antico che esista.»
«Mi
state prendendo in giro?» Gianni fermò l'automobile e lo guardò
severamente.
«No,
non quello!» rise l'altro, aggiustando il cappello «E comunque
neanche tu sei credibile in termini di seriosità. Si vede che stai
trattenendo le risate.»
Gianni
scoppiò a ridere e ripartì: «E quale sarebbe questo lavoro più
antico che praticate?»
«Diciamo
che è un lavoro in base al quale ogni cosa, persona o fenomeno
acquisisce un senso.»
«Acquisisce
un senso eh...» Gianni cominciò a pensarci su.
«Anche
se...» riprese l'altro.
«Anche
se... che cosa?»
«Anche
se tutto acquisisce un senso agli occhi altrui e non sempre ciò
corrisponde con quanto avrebbe dovuto davvero significare.»
Un
fulmine tagliò il cielo e un tuono fece vibrare l'abitacolo. Gianni
saltò sul sedile, mentre l'altro restò impassibile.
«Accidenti
a questi tuoni... Dunque, se non ho capito male, voi fate il lavoro
più antico con cui tutto acquisisce un senso, per gli altri... ma
non sempre è il senso giusto. Giusto?»
«Giusto.»
«Io
non ci ho capito niente.»
I
due scoppiarono a ridere.
«Avanti,
mi dia qualche altro aiuto?» richiese Gianni.
«Allora,
vediamo... Ah ecco! Il mio è il lavoro più antico ma anche
l'ultimo, il lavoro ultimo.»
«Ultimo
eh...» Gianni si mise a pensarci su.
«Sì,
ultimo, nel senso di finale, conclusivo, definitivo...» disse serio
l'uomo mentre un fulmine divideva il cielo e un tuono faceva
traballare l'abitacolo.
Anche
Gianni lo guardò in maniera austera: «No, non ci capisco niente.»
I
due scoppiarono nuovamente a ridere, poi ripresero a discutere.
«Non
fate prima a dirmi che lavoro è?»
«Non
posso. Ti ho già aiutato.»
«Ma
insomma, non potete dirmi dove andate, non potete dirmi che lavoro
fate... almeno si può sapere come vi chiamate?»
L'uomo
si mise una mano sul mento e cominciò a pensare, fissando il vuoto.
Poi si voltò verso l'altro e rispose: «No.»
«Come
no?!» Gianni non credeva alle proprie orecchie «Neanche il nome?!»
«Il
mio nome è il lavoro che faccio, il più antico e l'ultimo.»
La
macchina passò sopra una pozzanghera più profonda del solito,
sballottando i passeggeri qua e là, mentre un fulmine e un tuono
fecero tutto il resto.
«Va
bene va bene, ho capito. Torniamo un po' indietro. Prima avete detto
che non vi va più di fare questo lavoro incredibile ed eccezionale,
antico e ultimo, che è anche il vostro nome.»
«Infatti.»
«Posso
sapere perché?» Gianni fermò l'automobile e lo fissò.
L'uomo
girò lo sguardo nella sua direzione e rispose: «Sì.»
«Aaahhh!
Finalmente si può sapere qualcosa!»
«Comunque
la risposta era presente nell'affermazione precedente. Tutti vogliono
avere qualcosa da me, e stanno diventando in troppi. Certo, ci sono
stati momenti in cui questo è già avvenuto, molte volte nella
storia Nazioni, popoli o tribù hanno richiesto me e il mio lavoro ma
adesso è diverso. Sono stanco. Vorrei che gli altri facessero
qualcosa per me.»
«Aspettate.
Che significa che “nella storia” hanno richiesto voi e il vostro
lavoro?»
«Beh,
quello che hai appena detto. Dovrebbe avere un altro significato?»
«Non
parlo di significato della frase ma di “nella storia”. Scusate,
quanti anni avete? O non si può sapere nemmeno questo?»
Il
vecchio sogghignò, si sistemò il bastone e la busta e rispose:
«Questo si può sapere.»
«Bene.
Allora?»
«Tu
quanti me ne dai?»
«È
scortese rispondere a una domanda con un'altra domanda!»
«Avanti,
provaci!»
«E
va bene.» Gianni lo osservò con aria indagatrice e disse: «Ne date
a vedere una settantina ma ho l'impressione che non sia così.»
«Cosa
te lo fa credere, giovanotto? Troppe rughe?» l'anziano si guardò
nello specchietto e cominciò a toccarsi il viso.
«No
no, anzi, pare ne abbiate poche. Ma quel “nella storia” puzza un
po'. E finitela di guardarvi allo specchio!» Gianni mise a posto lo
specchietto, non senza notare che il volto riflesso su di esso era
diverso rispetto a quello dell'uomo seduto al suo fianco. Un brivido
gli percorse la schiena, mentre un fulmine fratturava il cielo e un
tuono faceva oscillare l'abitacolo.
«Scusami.»
il vecchio si ricompose, accorgendosi che Gianni era rimasto segnato
da quello che aveva intravisto «Non dovevo specchiarmi. E tu non
dovevi fermarti!»
Gianni
vinse la paura suscitata dalla fuggevole visione e rispose:
«Non
ricominciamo con questa storia! “Nella storia”... Oh, accidenti!
Forse ho capito chi siete: un fantasma!»
L'anziano
lo guardò seriamente, fece finta di ragionarci su, cominciò ad
assentire e poi disse: «Bravo! Finalmente hai capito che... no.»
I
due scoppiarono a ridere, Gianni diede una pacca sulla spalla del
vecchio, quest'ultimo su quella di Gianni, e così proseguirono
due-tre volte, mentre fuori i fulmini e i tuoni si ripetevano ad ogni
movimento dei due, come collegati a loro.
«Comunque
ti sei avvicinato.»
«Quindi
se non siete un fantasma siete uno spirito...»
«Ma
quale fantasma e spirito! Non esistono queste cose qua! Intendevo che
la tua impressione era corretta. Non ho settant'anni, magari fosse
così. Ne avrò almeno settanta volte non so quante volte settanta
miliardi circa, mio caro Gianni.»
Fulmini
e tuoni. Il vecchio lo osservò seriamente e scoppiò a ridere.
Gianni fa lo stesso.
«Sapevo
di avere indovinato!»
«Ma
se non hai detto niente.»
«Ecco,
sempre ad interrompere, fatemi parlare! Ero indeciso tra il becchino
e Dio ma, viste le vostre ultime dichiarazioni, direi che siete Dio.»
L'anziano
restò a bocca aperta e chiese: «Come lo hai capito?»
«Hai
detto il mio nome poco fa. Solo Dio può saperlo.»
«Ah
sì?»
«Sì.»
«Ah.
Mi è sfuggito. Bravo! Finalmente hai capito che... no.»
Gianni
lo fissò in maniera seriosa: «Lo sapevo.»
«E
allora perché hai detto “Dio”?»
«Per
vedere la vostra reazione.»
«Non
è scortese prendere in giro la gente?»
«Beh
anche voi siete stato scortese prima...»
«Allora
siamo pari.»
«Giusto,
siamo pari.»
«Uno
a uno.»
«Ics.»
Fulmini
e tuoni.
«Stavolta
non c'entravano.»
«Come
no?»
«In
genere li producete quando fate finta di dire cose serie.»
«Ah
è vero, scusa. Mi sono confuso.»
«Allora
è vero che siete voi a produrli?»
«Certo,
chi dovrebbe produrli? Aspetta un attimo Gianni. Hai imbrogliato.»
«Ho
solo tirato ad indovinare... e ci siete cascato.»
«Non
si fa così.» disse il vecchio, alzando l'indice in direzione del
cielo e un fulmine subito ebbe origine. Poi il vecchio chiuse il
pugno e lo mosse in direzione del finestrino al suo fianco, e subito
un tuono fece traballare l'abitacolo.
I
due si lasciarono andare in una risata e si diedero tante di quelle
pacche che le spalle cominciarono a fare male a entrambi.
«Non
sarebbe ora di far terminare questo temporale?» propose Gianni,
ormai tranquillo e sereno.
«Tu
dici? A me piace così tanto...» rispose l'altro, con aria
malinconica, guardando oltre il finestrino, mentre la pioggia
cominciava a rallentare il suo ritmo.
«Dovreste
saperlo che ogni cosa ha un suo tempo e non può durare per sempre!
Voi, meglio di chiunque altro, che fate il lavoro di...»
«Non
dirlo! Non dirlo! Non dirlo!»
«Va
bene non lo dico... Voi, meglio di chiunque altro, che vi
chiamate...»
«Non
dirlo! Non dirlo! Non dirlo!»
«Ah
ah ah! Ve l'ho fatta di nuovo, non lo dico!»
«Aaahhh!»
«Avanti,
è il momento di far tornare il sole.»
«È
che mi ero affezionato a questo viaggio in macchina...» il vecchio
mostrò nuovamente la sua amarezza.
«Anch'io,
ad essere sincero.» sorrise Gianni, porgendo all'altro una sigaretta
«Dai, una sigaretta insieme e poi andiamo. In fondo, il vostro è un
lavoro importante, anche se siete sempre da solo. Ma se non lo
svolgete, niente ha senso in questo mondo.»
«Hai
ragione, Gianni. E comunque, ormai siamo amici e puoi darmi del tu.»
«D'accordo,
ti do del tu.»
I
due accesero la sigaretta e iniziarono a fumare. Il vecchio chiese:
«Veramente hai capito chi sono e qual è il mio lavoro? Non dirlo
però! Altrimenti devo portarti con me e, come ti ho detto
all'inizio, non puoi venire dove vado io.»
«Non
lo dico! Tranquillo! Altrimenti dovrò venire con te e, anche se sei
un buon amico, non voglio ancora.»
«Però
insieme ci divertiremmo! Potremmo viaggiare sempre in automobile,
parlare continuamente, fumare...»
«Ne
sono certo, ma ho ancora molte cose da fare. E poi, oggi ho capito
due cose importanti.»
«Primo:
che sei stanco della solitudine e che in fondo, anche tu, vorresti un
po' di compagnia. Ma il tuo lavoro è importante e devi farlo
soltanto tu, altrimenti tutto perderebbe di significato. Secondo: che
anch'io sono stanco della solitudine e che, tra le cose più
importanti che ho da fare, la prima fra tutte è passare il resto
della mia vita assieme a qualcun altro. È questo, finalmente l'ho
capito, di cui avevo paura, quando mi sono imbattuto nel temporale.
Ma adesso so che cosa devo fare.»
«Bravo!»
«Grazie.»
«Prego.»
«Quando
questo acquazzone sarà finito, andrò a trovare una ragazza. Al
liceo stavamo insieme e stavamo bene. Nella pausa dividevamo sempre
del pane caldo con acciughe e olio d'oliva. Davvero buono. Poi il
lavoro, l'Università, la scomparsa dei miei mi hanno allontanato da
lei ma sono sicuro che tutto è rimasto così come un tempo. Lei è
ancora a casa. Da sola, come me, e vive della sua attività. Mi sono
reso conto che mi manca tanto e, anche se forse è troppo tardi,
voglio dichiararle quello che provo per lei.»
«Era
quello che volevo sentire, Gianni. Adesso, posso anche andare.»
l'anziano mosse lentamente le mani, come per pulire il parabrezza, e
subito smise di piovere e le nubi si diradarono. Il sole cominciò a
splendere e a penetrare dal parabrezza oltre il quale, finalmente, si
vedeva chiaramente la strada. Il vecchio posò una mano sulla spalla
di Gianni, gli sorrise e prese la maniglia dello sportello ma Gianni
gli afferrò l'altro braccio e lo fermò.
«Prima
che te ne vada» disse «mi toglieresti una curiosità?»
«Certo
giovanotto! Dimmi tutto.»
«Mi
dici perché ti porti dietro quella roba? Di solito non giri con
falce e mantello nero?»
«Di
solito! Ma mi sono stancato anche di quel look e ho preferito
cambiare, mettermi al passo coi tempi. Il bastone mi serve per
appoggiarmi, tanta è la mia stanchezza, caro Gianni.»
«Non
fare il melodramma ora, e vai avanti!»
«Vado
avanti, sì! Nella busta invece ci metto la mietitura. La cerata
naturalmente la uso per coprirmi, non mi va a genio che la gente mi
guardi nudo! Sono tutto pelle e ossa, sai?! Anzi, più ossa che
pelle!»
«E
il cappello da cowboy? Quale sarebbe la sua utilità?»
«Nessuna.
Mi piace e basta. Sto bene vero?» sorrise il vecchio, scendendo
dalla Toyota.
«Lasciamo
stare...» sbuffò Gianni, per nulla convinto della scelta
dell'altro.
«Lasciamo
stare sì! Non capisci nulla di look!»
«Iooo?»
«Tu!»
«Ma
vaaa!»
«Infatti,
sto andando! Te l'avevo detto!»
«Che
cosa?»
«Non
dovevi fermarti, non era la tua fermata. Vai anche tu...»
«Dove
devo and...»
L'anziano
scomparve improvvisamente, dal nulla comparso al nulla tornato.
Gianni si chiese se quella conversazione fosse davvero avvenuta o se
fosse stata soltanto frutto della sua immaginazione ma vedendo il
bivio per il Paese, il sole alto nel cielo e sentendo l'odore della
terra, quell'odore che lo portava a vecchi ricordi e nuove promesse,
non ci pensò più. Sorrise, mise la prima e ripartì.
Arrivò
a destinazione pochi minuti più tardi. Aveva i capelli fradici ed
era bagnato per metà del corpo ma non gli interessava. Si mise
innanzi alla porta, magro com'era sembrava un lampione con una pianta
sulla testa. La porta era aperta, una tenda blu come il cielo
lasciava passare dall'interno il profumo di pane caldo con le
acciughe ed olio d'oliva.
Gianni
suonò il campanello, il cuore trepidante, e sentì una voce
femminile chiedere chi fosse. Dei passi si avvicinarono all'uscio e
una mano con le unghie rosse come peperoncino spostò di lato la
tenda. L'altra mano agguantava un pezzo di pane morsicato da una
donna bellissima, esattamente come la ricordava, che appena lo vide
si lasciò andare in un sorriso meravigliato.
«Ciao
Federica.» disse Gianni.
giovedì 28 settembre 2017
Circolarità, ciclicità, continuità
"Indifferente è per me il punto da cui devo prendere le mosse; là, infatti, nuovamente dovrò fare ritorno".
sabato 23 settembre 2017
La trappola fotografica
"Ho fotografato un istante pensando d'immortalarne le emozioni ma oggi, a distanza di tempo, di esso non mi resta che una fredda fotografia".
lunedì 18 settembre 2017
Cieli di sabbia
"Ho visto cieli di sabbia, chiazzati da nuvole di schiuma; un mare astrale scorre, là, vicino a un porto senza baia, dove un uomo pesca senza filo, i segreti del tempo e dell'immenso".
mercoledì 13 settembre 2017
Jünger, Bauman e l'uomo come istinto d'osservazione e di sperimentazione vitale
- di Saso Bellantone
Il ciclone è quel
fenomeno meteorologico causato dalla differenza della pressione
atmosferica di una regione, generalmente bassa, rispetto a quelle
circostanti, meglio conosciuti o individuabili come vortici. Si
tratta in altri termini di spirali d'aria, nubi, pioggia mischiati
tra loro, che ruotano in senso orario o antiorario a velocità
talmente elevate da risucchiare o da distruggere, al loro passaggio,
per effetto centrifuga, qualsiasi cosa, naturale o artificiale.
Ne L'operaio,
Ernst Jünger paragona la
vita in generale a un ciclone e reinterpreta la figura dell'oltreuomo
nietzscheano come una forza, appartenente alle altre forze naturali,
capace però rispetto a queste ultime di raggiungere il centro esatto
della rotazione di questo fenomeno meteorologico, in cui la rotazione
stessa è zero, cioè non c'è, non avviene.
Questo luogo, definito
occhio del ciclone per via della sua forma, è inteso da Jünger
come un punto di osservazione privilegiato. A partire da esso l'uomo,
soggetto alla calma, alla sospensione, all'assenza di rotazione, è
in grado di vedere, appunto, a 360° gradi ciò che gli sta attorno,
dunque il vortice, la rotazione stessa, intesa dal filosofo tedesco
come una metafora della vita in generale.
Insieme, occhio del
ciclone e ciclone rappresentano secondo Jünger
una immagine di ordine nel disordine, di stasi nel caos, di essere
nel divenire. Essendo l'occhio sulla vita che gli sta attorno, l'uomo
(o l'oltreuomo nietzscheano) avrebbe il compito, o la caratteristica,
di dare un senso alla confusione circostante, secondo una forma, una
modalità d'esistenza che, piuttosto che renderlo soggetto alla
babele che gli sta intorno, minacciando la sua sopravvivenza, lo
rende soggetto soltanto a se stesso, salvaguardando e potenziando la
sua esistenza stessa.
Nel tempo della fine
delle speculazioni metafisiche, in Vita liquida, Zigmunt
Bauman concepisce la vita in generale come liquida, come un elemento
cioè informe la cui caratteristica principale è la fluidità. La
vita, in tal senso, dovrebbe fluire costantemente fino a perdersi
definitivamente in un altro elemento liquido più grande, pieno di
misteri e segreti, che è il mare. Ma in questo fluire prima della
fine, la vita, proprio perché è un elemento liquido informe,
avrebbe anche la caratteristica innata di prendere la forma, anche se
temporaneamente, degli oggetti, degli enti che possono contenerla.
Tale contenimento, come detto, è temporaneo, passeggero, perché il
senso di ciò che è liquido è il fluire e non il permanere, dunque
qualsiasi contenitore prima o poi sarà svuotato del liquido che ha
in seno, per accogliere nuovi liquidi o per svanire esso stesso, in
quanto liquidità costitutiva apparentemente e precariamente
stabilizzata, nel mare o essere reimmesso in circolo, riciclato.
L'uomo stesso,
amplificando il linguaggio baumaniano e conducendolo in una
prospettiva ontologica, non sarebbe altro che un liquido tra i
liquidi, soggetto alle leggi che regolano gli elementi fluidi. Il suo
senso sarebbe il fluire, passando perfino da un contenitore all'altro
(per quanto riguarda il suo modo di pensare o il suo abito di
pensiero), fino al perdersi definitivamente nel mare o all'essere
riciclato. Clonazione e miracoli della scienza a parte, capaci cioè
di trasferire la coscienza umana da un corpo a un altro, il destino
dell'uomo sarebbe dunque il perdersi nel mare dei liquidi. Ma è vero
anche che al di sopra e al di là del mare vi è un altro elemento,
il sole, capace di trasformare il mare stesso in aria, il liquido in
gas, e ciò fa chiedersi se lo stesso vale per quelle piccole
particelle che, in precedenza, sono state di un uomo, di una
coscienza. Così come le particelle di mare, per effetto del calore
solare, si trasformano in particelle di gas e queste ultime, una
volta condensatesi, tornano in circolo nella terra sotto forma di
pioggia, che invade e nutre qualsiasi essere vivente, mentre altre si
perdono nell'etere, allo stesso modo particelle di uomo, ormai mare,
o di sua coscienza, potrebbero avere la stessa sorte e fare pensare a
una sua rinascita se non a una sua reincarnazione. Ma queste sono
soltanto ipotesi visionarie.
Jünger
e Bauman s'incontrano su un punto: tutto è precario, caotico,
disordinato, informe, dinamico; l'uomo è parte integrante di esso ma
la sua funzione, agli occhi dell'uno e dell'altro pensatore, è
diversa.
Mentre il primo, nella
pancia della metafisica, pensa l'uomo come un occhio del ciclone,
dunque come osservatore, come una forza naturale tra le altre,
capace di osservare e condizionare le altre per la propria
conservazione e per il proprio potenziamento, il secondo invece,
privo di una qualsiasi metafisica, perché fuori-luogo e perché
proveniente egli stesso dal campo della sociologia, intende l'uomo
come un elemento naturale tra gli altri, capace sì di condizionare
gli altri per vantaggi personali o collettivi di breve durata, ma il
cui senso è soltanto il fluire stesso (nonostante la sua capacità
mentale di essere contenuto all'interno di precisi contenitori
concettuali, siano questi ultimi sistemi di pensiero, mode o
quant'altro).
Quello che sfugge è che
il liquido, per poter fluire, cerca istintivamente il percorso
adatto a questo scopo, altrimenti, non potendo fluire, non sarebbe se
stesso, non manifesterebbe la sua essenza, lasciandola in sospeso,
fino al momento in cui qualcosa cambi. Per esempio, immaginiamo una
diga d'acqua. Il liquido trattenuto dalla diga è, sì, acqua ma non
potendo fluire è come se non lo fosse, perché la caratteristica
dell'acqua è il fluire (oltre che gli svariati usi umani). Ma nel
momento in cui si aprisse una crepa nella diga o si collegasse ad
essa un sistema di tubature aperto, l'acqua, cominciando a fluire,
manifesterebbe la sua essenza, dunque sarebbe se stessa,
realizzerebbe il proprio scopo.
Avvicinando le loro
riflessioni, Jünger e
Bauman mostrano che l'uomo è una forza naturale e in quanto tale è
dotata di un istinto a manifestare la propria essenza (o a
manifestare il proprio scopo, per dirla in un'altra maniera), la
quale è la tendenza a fluire nella vita alla ricerca, mediante
l'osservazione e l'esperimento, di forme d'esistenza capaci di
potenziarlo (o di depotenziarlo, considerando alcuni sistemi di
pensiero di carattere religioso).
L'uomo sarebbe dunque
istinto d'osservazione e di sperimentazione vitale, in vista,
aggiungeremmo, anche di altri scopi che, alla fine, rientrano nella
sua ricerca di maggiore vita. Le domande imperiture dell'uomo su Dio,
l'anima e altri misteri del cosmo non sono soltanto il tentativo di
capire qual è la conformazione dell'esistenza in generale, ma anche
di verificare se all'interno di tale conformazione c'è la
possibilità, dopo la morte, di ottenere (o di essere) altra vita. In
altri termini, se c'è la possibilità di esistere di nuovo.
Ma a noi piace pensare
che l'uomo non sia altro che il ciclone stesso, nella sua interezza,
a volte comprensivo di occhio; piace pensare che sia la liquidità
stessa, puro istinto al fluire inteso come precarietà, caos,
disordine, informità, dinamismo, in cerca, anche in maniera
cosciente, di ulteriore fluire, senza sosta, senza mai fine. L'uomo è
la fluidità stessa alla ricerca istintiva (naturale) o cosciente di
nuove possibilità in cui manifestare la propria essenza, ossia il
fluire, ancora, ancora e ancora per sempre, per l'eternità.
È in questo suo
istintivo e/o consapevole fluire sperimentale che l'uomo scopre e
crea (qualsiasi cosa) a suo vantaggio o svantaggio o di quello degli
altri suoi simili, degli altri esseri viventi e del luogo che abita.
Ed è qui, forse, si aprono nuovi scenari del pensiero.
sabato 9 settembre 2017
Sincronia passeggera
"Prendete due orologi e metteteli vicini. Le lancette dei secondi si muoveranno a un ritmo differente ma verrà un momento in cui troveranno la sincronia. Si muoveranno assieme. Così come agli astri e agli elementi, allo stesso modo accade alle persone. Prima o poi, anche se solo per pochi istanti, avranno lo stesso passo: lì può radicarsi un destino comune".
lunedì 4 settembre 2017
Il peso delle parole
- di Saso Bellantone
"Le parole sono come gocce di cera fusa. Ardono tutte. Alcune però evaporano e si perdono nell'etere, altre invece si sciolgono e si depositano nel paese dei ricordi".
mercoledì 14 giugno 2017
Amare il crepuscolo
- di Saso Bellantone
Quando un'era finisce non si capisce dal tramonto bensì dall'alba.
La luce si fa strada oltre le montagne e, riflettendosi sulle cose come lento ruscello appena nato, mostra il mondo in maniera nuova, impregnandolo della vita. L'acqua è più limpida, l'aria più fresca e delicata, il cielo più nitido, la terra più fertile e tutto il resto è avvolto in una nuova chiarezza, come se gli occhi si fossero aperti soltanto adesso e si vedesse per la prima volta la bellezza dell'esistente, nei suoi dettagli e nelle sue sfumature. La trasparenza della rugiada, i mulinelli delle maree, la rughe degli arbusti, le geometrie delle rocce, le profonde impronte tracciate sulla spiaggia e quelle sulla battigia del tempo.
Sono tante queste orme. Aride o feconde, vive o putrefatte, decise o sfigurate, sanguinolente o iridescenti, tutte, nella loro molteplicità e irripetibilità, nella loro semplicità o segretezza, condizionano, come uno scooby-doo fatto da infiniti fili, l'intrecciarsi delle invisibili correnti della vita con quelle insondabili della morte, generando ora il nuovo ora il caos ora la stasi ora un'altra volta il caos.
Il caos, o Chaos, non è altro che un diverso modo di stare nell'ordine, come l'occhio del ciclone, l'aereo sopra le nuvole burrascose, la nave oltre la tempesta, l'astronave lontana dal suo pianeta natio. Emerge l'origine nella fine, il bene nel male, il riso nel pianto, il senso nell'insensato. Si mostra, in esso, il diradarsi di un'altra prospettiva, altra rispetto a quella in cui sosta ancora un piede e altra rispetto a quella in cui l'altro piede non è ancora sostato. Affiora una epochè, sospesa sopra tutte le altre sospensioni, come piuma svincolata da ogni gravità e sedotta dalla mera leggerezza, preda della pura e incontaminata delicatezza.
È qui ed ora che si vorrebbe restare. Si allunga una mano ma l'epochè svanisce come sogno innanzi alla veglia, e non si afferra altro che il nulla d'essere e di avere, privo cioè di ogni identità e di ogni proprietà, sicurezza e ragione. Si resta soli, con un pugno che si schiude e una mano aperta da cui il momento è volato via. Si torna soggetti al divenire, oggetti tra gli altri in mezzo ai flutti del calcolo e dell'inevitabile.
Per poco, si trattiene il respiro, nostalgici della consapevolezza senza godimento appena fuggita, ma ci si accinge subitaneamente a riprendere il fiato e a soffiarlo via. Via, dai ricordi di una vita tramontata, e via, verso quella appena cominciata.
Sì, perché la via è duplice e al suo cospetto occorre soltanto regolare l'ora e puntare al polo nord, nonostante si sia privi di lancette e di aghi. Ed è questa la sfida umana più ardua, capire che si può diventare orologio e bussola soltanto innanzi al tempio, vale a dire: il volto dell'altro, quell'altro che spesso e volentieri non intende fare lo stesso innanzi a noi né innanzi ad altri volti ancora, per appagare i propri futili desideri.
Questa è la dannazione dell'uomo della conoscenza: vivere nei deserti in cerca di acqua e trovare soltanto il sole cocente, quel sole che dà alla testa a tutti quanti o, forse, soltanto alla sua. Forse è per questo che la testa di un pensatore nasce sempre postuma rispetto alla civiltà, alla società e al tempo in cui vive: perché non usa turbanti né cappelli, e a ragione! Che cercatore sarebbe? Di marchi, strumenti e brevetti?
No. Le scoperte non conoscono spread né valuta e richiedono ciò che macchine, robot e I. A. non hanno: le emozioni, le intuizioni, il sacrificio, l'amore disinteressato.
È questo amore che arde in colui che cerca: quello che nel “crepuscolo” vede il principio e non la conclusione, una nuova era e non quella appena passata, l'occasione e non la vuotezza dell'omogeneo.
martedì 6 giugno 2017
Il mondo degli arrivanti anzi, no, degli arrivati
"Sbircio col telescopio la dirittura d'arrivo ma non vedo altro che (già) arrivati".
martedì 30 maggio 2017
L'ARTE PERIFERICA: Intervista a Matteo Calderaro
- di Saso Bellantone
Matteo Calderaro meglio noto con gli pseudonimi Calabro o Mr.Mayhem (Oppido Mamertina, 18/10/1984) è un rapper calabrese proveniente da Varapodio, un piccolo paese in provincia di Reggio Calabria.
Il nome Calabro è segno identificativo del luogo di provenienza e risale al periodo trascorso nella città di Bologna tra il 2003 e il 2013, in cui muove i suoi primi passi come Mc a diverse jam ed eventi. È lì che conosce parte dei maggiori esponenti della scena Hip Hop del momento, tra cui Lamaislam, Inoki, Nunzio e molti altri rapper del collettivo Porzione Massiccia Crew, con alcuni dei quali nasce un rapporto di amicizia e il nickname Calabro con cui il rapper viene chiamato e si fa conoscere all’interno della scena bolognese.
Dopo un periodo di studio e apprendimento della cultura Hip Hop e delle sue discipline nel 2012 esce il suo primo lavoro dal titolo “Vita i Paisi”. Album di 10 tracce interamente autoprodotto in cui il rapper si racconta e racconta la realtà delle sue origini.
Nel 2013 ritorna in Calabria nel suo paese natale e dopo qualche anno di riflessione nel 2016 esce con il suo secondo album dal titolo “One and Only” accompagnato dal suo primo videoclip “Guerra Santa” singolo estratto dall’album. Qui le produzioni sono affidate al produttore calabrese Melo Zamo e a Peppe Cirino come la produzione esecutiva e la collaborazione in alcune tracce.
Nel 2017 entra a far parte dell’etichetta GrandMaster Records, nuova label, all'interno dell'edizione musicale milanese Pa 74 Music di cui Peppe Cirino è direttore artistico. In questo periodo, mentre lavora al prodotto ufficiale e inedito, fa uscire un altro videoclip “La Cura” singolo che anticipa l’uscita a breve del nuovo mixtape.
Come ti sei avvicinato alla musica rap?
Conobbi questa musica nei primi anni novanta grazie a mio cugino, è lui che mi ha introdotto. Ricordo ancora la prima cassetta che mi fece ascoltare, Ice-T “Original gangster”, sarà stato il 93/94, avevo 9/10 anni e da lì cominciai ad appassionarmi a questo genere; ai tempi facevamo i salti mortali con mio cugino per trovare le cassette e per stare al passo con l’Hip Hop.
Vivevamo in una piccola realtà, e allora, questa musica era considerata veramente di nicchia quindi difficile da reperire.
Comunque è cominciato tutto più di vent’anni fa e ancora sono qui.
Che cos'è il rap?
Il Rap è parte di un movimento culturale più grande chiamato Hip Hop, nato negli Stati Uniti, precisamente nel Bronx, e consiste essenzialmente nel parlare seguendo un certo ritmo. Questa tecnica è eseguita dagli “Mc”(freestyler) mentre i Dj accompagnano gli Mc.
Questa è la vera definizione di Rap che sembrerà banale, ma molta gente non conosce o lascia passare in secondo piano.
Per quanto mi riguarda il rap è il mio linguaggio, il mio mezzo per esprimermi, il modo che ho per comunicare con gli altri.
Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica rap, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Oggi molta gente ha perso il senso, ha smarrito l’origine. Vedo molti pseudo artisti che si spacciano per rap, ma non conoscono il rap, lo usano, lo sfruttano perché magari adesso va di moda o per i propri interessi.Matteo Calderaro meglio noto con gli pseudonimi Calabro o Mr.Mayhem (Oppido Mamertina, 18/10/1984) è un rapper calabrese proveniente da Varapodio, un piccolo paese in provincia di Reggio Calabria.
Il nome Calabro è segno identificativo del luogo di provenienza e risale al periodo trascorso nella città di Bologna tra il 2003 e il 2013, in cui muove i suoi primi passi come Mc a diverse jam ed eventi. È lì che conosce parte dei maggiori esponenti della scena Hip Hop del momento, tra cui Lamaislam, Inoki, Nunzio e molti altri rapper del collettivo Porzione Massiccia Crew, con alcuni dei quali nasce un rapporto di amicizia e il nickname Calabro con cui il rapper viene chiamato e si fa conoscere all’interno della scena bolognese.
Dopo un periodo di studio e apprendimento della cultura Hip Hop e delle sue discipline nel 2012 esce il suo primo lavoro dal titolo “Vita i Paisi”. Album di 10 tracce interamente autoprodotto in cui il rapper si racconta e racconta la realtà delle sue origini.
Nel 2013 ritorna in Calabria nel suo paese natale e dopo qualche anno di riflessione nel 2016 esce con il suo secondo album dal titolo “One and Only” accompagnato dal suo primo videoclip “Guerra Santa” singolo estratto dall’album. Qui le produzioni sono affidate al produttore calabrese Melo Zamo e a Peppe Cirino come la produzione esecutiva e la collaborazione in alcune tracce.
Nel 2017 entra a far parte dell’etichetta GrandMaster Records, nuova label, all'interno dell'edizione musicale milanese Pa 74 Music di cui Peppe Cirino è direttore artistico. In questo periodo, mentre lavora al prodotto ufficiale e inedito, fa uscire un altro videoclip “La Cura” singolo che anticipa l’uscita a breve del nuovo mixtape.
Come ti sei avvicinato alla musica rap?
Conobbi questa musica nei primi anni novanta grazie a mio cugino, è lui che mi ha introdotto. Ricordo ancora la prima cassetta che mi fece ascoltare, Ice-T “Original gangster”, sarà stato il 93/94, avevo 9/10 anni e da lì cominciai ad appassionarmi a questo genere; ai tempi facevamo i salti mortali con mio cugino per trovare le cassette e per stare al passo con l’Hip Hop.
Vivevamo in una piccola realtà, e allora, questa musica era considerata veramente di nicchia quindi difficile da reperire.
Comunque è cominciato tutto più di vent’anni fa e ancora sono qui.
Che cos'è il rap?
Il Rap è parte di un movimento culturale più grande chiamato Hip Hop, nato negli Stati Uniti, precisamente nel Bronx, e consiste essenzialmente nel parlare seguendo un certo ritmo. Questa tecnica è eseguita dagli “Mc”(freestyler) mentre i Dj accompagnano gli Mc.
Questa è la vera definizione di Rap che sembrerà banale, ma molta gente non conosce o lascia passare in secondo piano.
Per quanto mi riguarda il rap è il mio linguaggio, il mio mezzo per esprimermi, il modo che ho per comunicare con gli altri.
Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica rap, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Ma il Rap è parte di una cultura che viene dalla strada e rimane nella strada, è un'arte e come ogni arte va studiata e conosciuta prima di interpretarla e soprattutto non va snaturata solo per vendere qualche copia in più.
A molti ormai interessa solo vendere, solo il successo, le classifiche, i like, le view, e devo dire che ormai le tv con questi talent stanno rovinando un po’ tutto; si è perso il vero obbiettivo che dovrebbe essere quello di rappresentare questa musica per quello che è e non trasformarla per farsi passare in radio.
Io credo che bisognerebbe pensare di più al contributo che ognuno di noi riesce a dare a questa musica per farla crescere e non utilizzarla per far crescere solo la nostra popolarità.
I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire i tuoi brani “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
Sì, credo di sì, perché penso che ogni rapper, mc, liricista sia anche egli un poeta che usa le parole come arte, in questo caso l’arte delle rime, per trasmettere un messaggio. Io credo che i rapper oggi siano poeti urbani, i poeti del mondo odierno, i poeti di questo tempo.
Perché scrivi musica rap? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte della musica rap?
Dico sempre che è stato il rap che mi ha salvato, mi ha dato uno scopo, un obbiettivo, un qualcosa in cui credere.
Ecco perché scrivo, perché sento l’esigenza di trasmettere agli altri quello che ho dentro: i miei pensieri, le mie paranoie, le mie frustrazioni. È l’unica cosa che mi rende felice, soddisfatto, realizzato. Scrivo perché è l’unico modo per aprirmi completamente, carta e penna non giudicano, non votano, accettano semplicemente la verità e mi consentono di voltare pagina. Ogni rima, ogni strofa, ogni pezzo è una parte di me, un pezzo della mia storia che rimane nel tempo, e non contano i soldi oppure il successo, se il mio messaggio riesce ad arrivare anche ad una sola singola persona: è lì che avrò raggiunto l’obbiettivo, ed è per questo che lo faccio.
Che cosa racconti con i tuoi brani?
Io credo di essere un rapper abbastanza introspettivo, quindi i miei testi rispecchiano molto questa mia introspettività ma in realtà nei miei brani non ci sono temi o logiche particolari appositamente ricercate, è tutto frutto dell’ispirazione.
Voglio dire è l’ispirazione, è lei che mi guida quando scrivo, e può essere dovuta a qualsiasi cosa, un sentimento, qualcosa che ho vissuto oppure un libro che ho letto, un film che ho visto.
Prima di scrivere un pezzo non so mai di cosa voglio parlare, ma alla fine è tutto più chiaro.
Questo mi serve ad essere reale quando scrivo, perché essere reali è la cosa più importante.
Un rapper può sentirsi tale senza il pubblico?
Beh, sì e no, cioè penso che il pubblico sia importantissimo, lo facciamo apposta, per far arrivare il nostro messaggio a più persone possibili. Ma non credo sia la cosa più importante, più importante è essere soddisfatti di quello che si è fatto, del contributo che si è dato all’Hip Hop. Io ad esempio mi sento soddisfatto dopo aver scritto un pezzo se mi piace, anche se non lo ha ascoltato nessuno,sono ugualmente fiero del lavoro che ho fatto. Penso che tutti dovremmo ragionare in questo senso, in tutti i campi e in tutti i livelli, perché il riscatto collettivo è più importante di quello personale.
Che cosa significa oggi vivere come un musicista e vivere esclusivamente della propria musica? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Per quello che mi riguarda vivere di musica, vivere come un musicista è assolutamente normale, è quello che faccio tutti i giorni, è come vivo quotidianamente. Intendiamoci, vivere di musica non vuol dire campare con la musica, mantenersi, per quanto mi riguarda, anzi io ci ho sempre rimesso, nel senso che se dovessi fare un bilancio, sono più i soldi che ho speso di quelli che ho potuto guadagnare, ma come ti dicevo prima non vedo la musica dal punto di vista economico e per me vivere di musica è svegliarsi ogni mattina con un pezzo nella testa, le emozioni e l’ispirazione che può darti un suono che ti piace, la soddisfazione che ti dà riascoltare un pezzo che hai finito quando capisci di esser riuscito a far passare il messaggio che volevi.
Cosa ti spinge a restare nella tua terra natia?
Semplice, i legami che ho qui, in primis la mia famiglia, le persone che amo. Credo che la vita sia una e a volte anche breve, quindi tutti noi dovremmo passarla vicino alle persone che amiamo.
Poi anche l’amore per questa terra, nel bene e nel male, con tutti i suoi pregi e difetti, perché credo che bisogna rimanere e lottare per la propria terra piuttosto che scappare con la speranza di qualcosa di meglio.
Poi dove ci porterà il vento non lo possiamo sapere.
Puoi definirti una sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Definirmi un sognatore no, non lo so, e comunque se ho qualche sogno nel cassetto non lo dico altrimenti non si avvera, giusto?
Più che sognatore sono un realista e credo che ormai il tempo per sognare sia passato, mi resta solo il tempo per vivere.
Parlaci del tuo ultimo album, “One and Only”.
One and Only è nato intorno al 2015 dopo un periodo di riflessione io cui non sapevo dove stavo andando e se fosse veramente questa la mia strada, un periodo di inattività dovuto ad alcuni problemi e momenti difficili che ho passato ma che nella vita accadono, e sono questi che ti fanno capire cos’è veramente importante, e ti fortificano per poter raggiungere gli obbiettivi che hai.Per questo dicevo che il rap mi ha salvato, il rap mi ha aiutato a superare questi momenti difficili, momenti in cui mi sentivo solo, sprofondare in un limbo, ed è lì che è nato One and Only.In questo album ho cercato di mettere me stesso e tutto quello che ho passato in quel periodo, infatti ci sono pezzi introspettivi come “Scrivo” o “Libero”, ma anche pezzi di rivendicazione e riscatto sociale come “ Guerra santa” o “Pelican Bay”, ma pure pezzi più freschi e autoironici come “Terronismo” o “Musica scegli per me”. Nel complesso penso ci sia un po' di tutto.
Le produzioni sono state fatte per lo più da Melo Zamo, amico e producer calabrese di vecchia data come me legato a suoni della Golden Age di questa roba, e da Peppe Cirino anche lui un membro della vecchia scuola calabrese, produttore e mix engineer, che ha anche partecipato liricamente in due pezzi.
Per chi lo volesse acquistare può trovarlo in tutti i migliori negozi digitali, Itunes e vari, oppure contattandomi personalmente.
Prossimi lavori, uscite, e poi chi desidera seguirti e saperne un po' di più sulla tua musica rap, dove può rivolgersi?
Per chi desidera seguirmi e sapere di più sulla mia musica può seguirmi sul mio canale Youtube calafrika18, su Facebook Calabro84, oppure sui futuri canali che la GrandMaster sta per aprire.
Alcune parole per i giovani.
Ai giovani voglio dire: esprimetevi, tirate fuori quello che avete dentro. Credo che ognuno di noi abbia un'arte, abbia qualcosa da dare, nella musica come in ogni altra cosa. Bisogna tirarla fuori, manifestarla.
Ma soprattutto, rimanete sempre veri, reali, non smarrite mai l’origine.
Il vero riconosce il vero.
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