- di Saso Bellantone
La festività pasquale, ogni anno, divide. C'è chi la vive religiosamente, c'è chi invece la vive in modo irreligioso. Per alcuni, è la rievocazione del compimento della vita di Gesù di Nazareth (il Messia), dunque della verità all'interno del divino disegno di salvezza universale; per altri, è il riecheggiare di alcuni interrogativi circa la storicità di Gesù, la certezza delle fonti, l'autorità della Chiesa, la verità o non verità del cattolicesimo; per altri ancora è un'occasione per svagarsi, per ritrovarsi coi familiari oppure è un giorno qualunque. All'interno di questo scenario, vi sono coloro che intendono la Pasqua come una festività nella quale si celebra e si rievoca la resurrezione del Messia Gesù. In questo senso, ovunque emergono dipinti, statue e opere d'arte che ritraggono il Cristo risorto, mentre la Croce, il simbolo del cattolicesimo, almeno per questo giorno, passa in secondo piano. Che ne è del Sepolcro, della tomba vuota? Ricordato momentaneamente per scopi liturgici e artistici durante tale festa, è bandito per il resto del tempo dalla memoria personale e collettiva. Il periodico oblio del Sepolcro a favore della Croce è problematico perché, a ben vedere, la seconda acquisisce senso soltanto in relazione al primo: nel disegno provvidenziale della salvezza, Gesù muore sulla Croce ma risorge dalla morte nel Sepolcro. Questa connessione è importante: se non è ricalcata anche al di fuori della festività pasquale, il cattolicesimo perde se stesso. In quale maniera, più esattamente, il cattolico e il non cattolico vivono la Pasqua e il mistero del Sepolcro?
La festività pasquale, ogni anno, divide. C'è chi la vive religiosamente, c'è chi invece la vive in modo irreligioso. Per alcuni, è la rievocazione del compimento della vita di Gesù di Nazareth (il Messia), dunque della verità all'interno del divino disegno di salvezza universale; per altri, è il riecheggiare di alcuni interrogativi circa la storicità di Gesù, la certezza delle fonti, l'autorità della Chiesa, la verità o non verità del cattolicesimo; per altri ancora è un'occasione per svagarsi, per ritrovarsi coi familiari oppure è un giorno qualunque. All'interno di questo scenario, vi sono coloro che intendono la Pasqua come una festività nella quale si celebra e si rievoca la resurrezione del Messia Gesù. In questo senso, ovunque emergono dipinti, statue e opere d'arte che ritraggono il Cristo risorto, mentre la Croce, il simbolo del cattolicesimo, almeno per questo giorno, passa in secondo piano. Che ne è del Sepolcro, della tomba vuota? Ricordato momentaneamente per scopi liturgici e artistici durante tale festa, è bandito per il resto del tempo dalla memoria personale e collettiva. Il periodico oblio del Sepolcro a favore della Croce è problematico perché, a ben vedere, la seconda acquisisce senso soltanto in relazione al primo: nel disegno provvidenziale della salvezza, Gesù muore sulla Croce ma risorge dalla morte nel Sepolcro. Questa connessione è importante: se non è ricalcata anche al di fuori della festività pasquale, il cattolicesimo perde se stesso. In quale maniera, più esattamente, il cattolico e il non cattolico vivono la Pasqua e il mistero del Sepolcro?
Sicuro della storicità di Gesù di Nazareth (il Messia), della certezza delle fonti, dell'autorità della Chiesa, il cattolico vive la Pasqua come la rievocazione dello svelamento della verità ultima cristiana. Il Sepolcro, che è un luogo di morte, si trasforma ai suoi occhi in un luogo di vita. Gesù, morto in Croce per il perdono universale dei peccati, risorge annunciando a tutti la possibilità di accedere a una nuova vita totalmente libera dal peccato. Rivivendo la Pasqua, il cattolico assiste di nuovo a ciò che si annuncia con il Sepolcro vuoto, la possibilità della vita eterna, ma una volta passata la festività, la dimentica. Ciò, naturalmente, accade per numerose ragioni, tra le quali non è da escludere il fatto che la fede nel Messia Gesù, nel corso del tempo, si è ridotta a una religione, in un culto cioè costituito da riti periodici, fondato su di un corpus di scritti riconosciuti come la parola di Dio (la Bibbia), interpretato univocamente da alcuni intermediari, i sacerdoti, rievocante nell'arco dell'anno l'intera vita di Gesù il Messia e il piano divino di salvezza universale. Il cattolico, ogni anno, vive la Pasqua come un rito che inizia il compimento dell'intero culto e della sua conversione interiore, e con il quale rinnova la scelta di regolare la propria condotta secondo il messaggio evangelico(sacerdotale). Via via che la Pasqua si allontana, però, il cattolico – consapevolmente oppure no – prende le distanze dall'evangelo, vive all'opposto di quanto si è promesso e dimentica la possibilità della vita eterna, la salvezza annunciata dal Sepolcro vuoto. Questo avviene per svariate ragioni ma anche perché dopo la Pasqua e lo svolgimento di altre festività, il culto torna progressivamente a concentrarsi su altri riti rievocanti, di nuovo, la vicenda mortale e divina del Messia Gesù e proiettati in direzione della Croce, simbolo di sofferenza e di morte causati dal peccato. Il cattolico quindi pecca, sa di peccare, si considera sempre più peccatore e sente maggiormente l'esigenza della confessione per liberarsi dal peccato. Malgrado il Sepolcro annunci che il peccato è stato vinto una volta per tutte e non esiste più – perché Gesù risorge dalla morte e dal peccato, non ne resta schiavo – annualmente gli intermediari tornano a evidenziare lo stato di peccato del mondo, sollecitando i peccatori a ispirarsi alla Croce per salvarsi, cioè per liberarsi dal peccato stesso. In questa prospettiva, di confessione in confessione, il cattolico prosegue il cammino cultuale da peccatore, si ispira esclusivamente alla Croce e si ricorda del Sepolcro soltanto al sopraggiungere della nuova Pasqua, momento in cui si considera, finalmente, libero dal peccato. Una volta superata quest'ultima, il cattolico ripete tutto, torna a guardare soltanto alla Croce e corre il rischio, perché no, di abituarsi all'idea che la confessione sia il giusto strumento per liberarsi dal peccato, quando quest'ultimo è stato vinto una volta per tutte con la morte e la resurrezione del Messia Gesù, dunque il peccato non c'è più. Abituandosi a quest'idea, dimentica il Sepolcro e, dunque, il senso stesso della Croce.
Estraneo al culto cattolico e, per questo motivo, rifiutandosi di praticare ciclicamente l'insieme delle ritualità di cui quello è costituito, il non cattolico vive meravigliato la festività della Pasqua cattolica. Ponendosi il problema della storicità di Gesù di Nazareth, della certezza delle fonti, dell'autorità della Chiesa e tanti altri quesiti, il non cattolico si chiede anche quali sono i significati della Croce, del Sepolcro e quale relazione intercorre tra i due. Egli indaga tali questioni libero dalle interpretazioni che ne forniscono i sacerdoti, ponendosi molti interrogativi e aiutandosi con le fonti, tra le quali finisce nell'imbattersi nelle Lettere di Paolo di Tarso, i documenti più vicini ai fatti relativi al Messia Gesù. Sfogliandole, comprende che la Croce e il Sepolcro sono i simboli che sintetizzano l'intera predicazione dell'apostolo, con la quale ha inizio proprio la teologia cristiano-cattolica. Il non cattolico sa che il cristianesimo come teologia comincia proprio con Paolo e che quest'ultimo, nei suoi viaggi tra le prime comunità di fedeli, sottolinea che la morte (Croce) e la resurrezione (Sepolcro) del Messia Gesù, insieme, costituiscono la promessa di una nuova vita per tutti i credenti, qualora questi ultimi vivano così come l'apostolo precisa. Paolo, inviato per annunciare l'evangelo di Dio, un messaggio dunque superiore a tutti gli altri perché divino, chiarisce: «noi siamo morti per il peccato, e come potremo ancora vivere nel peccato? Non sapete che tutti noi che siamo stati immersi in Cristo Gesù fummo immersi nella morte? Siamo stati sepolti con Lui mediante l'immersione nella morte, affinché, come Cristo fu risvegliato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi procediamo in una nuova vita. Se infatti siamo innestati in Lui dalla somiglianza con la sua morte, lo saremo però anche per quella della risurrezione, sapendo questo: che l'uomo vecchio in noi fu crocifisso con Lui, affinché fosse dissolto il corpo soggetto al peccato e noi non siamo più schiavi del peccato. Chi è morto è stato giustificato dal peccato; e se noi siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui, consapevoli che Cristo, risvegliato dai morti, non muore più: la morte non ha più signoria su di Lui. Egli morì, e morì per il peccato una volta per sempre. Ora vive, e vive per Dio. Così anche voi considerate di essere morti al peccato ma viventi per Dio in Cristo Gesù» (Rm 6, 2-11). Leggendo le parole dell'apostolo, pardon, di Dio, il non cattolico comprende che con la morte in Croce e la resurrezione dai morti (dal Sepolcro), Gesù Messia ha liberato definitivamente il mondo dal peccato e dalla morte (introdotti da Adamo), spalancando a tutti la possibilità di una nuova vita cui si può accedere con il battesimo. Chi si battezza, dunque, è già sciolto dal peccato e vive una nuova vita perché immergendosi nell'acqua muore come Gesù in Croce e riemergendovi risorge come Gesù dai morti (dal Sepolcro). Ma il battesimo non basta: occorre vivere nel come non e avere fede, speranza e amore, i tre pilastri dell'etica paolina(divina) nel tempo dell'attesa della seconda venuta del Messia, per essere detti giusti davanti a Dio nel Giudizio e accedere al Regno di Grazia e di Giustizia, anziché rischiare la morte definitiva. Malgrado tale evento è incalcolabile – e prima devono svelarsi l'Antimessia (il figlio della perdizione) e il katechon (la forza che trattiene l'Antimessia) – e pur vivendo già una vita libera dal peccato, è necessario essere vigili, pronti, preparandosi alla seconda venuta del Messia, al Giudizio e al Regno.
Rileggendo Paolo, il non cattolico si chiede perché il cattolicesimo tralasci lui e le sue Lettere, le quali, sia chiaro, sono la voce di Dio, le fonti più vicine ai fatti riguardanti Gesù Messia e la base della teologia cattolica stessa. Riscoprendo Paolo, infatti, il cattolico potrebbe capire che la Croce conclude sì la vita mortale di Gesù – con lui, muore sulla Croce il peccato – ma che il Sepolcro inaugura una vita nuova – per Gesù, una vita divina – libera dal peccato, cui tutti possono accedervi con il battesimo. Il cattolico capirebbe che con quest'ultimo in primo luogo, non c'è bisogno della confessione; secondariamente, comincia il cammino della Pasqua (paolina). Un tempo in scadenza cioè, nel quale occorre vivere nel come non e avere fede, speranza e amore, che inizia ma non termina con la Croce: passando per il Sepolcro, si dirige verso il suo compimento ultimo, ossia verso la seconda venuta, il Giudizio e il Regno.
Vivendo la sua fede come un culto ritualistico e tralasciando Paolo, al quale Dio ha annunciato la Sua parola, dunque la Verità, il cattolico perde la parola stessa di Dio, la stretta connessione tra Croce e Sepolcro, smarrisce la tensione escatologica necessaria per salvarsi definitivamente dal peccato (e dalla morte). In breve, perde Dio. La Pasqua infatti, quella paolina, è il tempo inaugurato dalla Croce e dal Sepolcro insieme, che separa dal Regno. Da questi ragionamenti proviene sia la meraviglia del non cattolico innanzi all'attuale festività pasquale, sia altro: il suo comportamento paradossale. Pur non essendo chiamato a farlo, il non cattolico propone ai cattolici di riflettere su queste e altre questioni e, tuttavia, se ne tira fuori. Riconoscendo e sottolineando la precisa logica presente nel cristianesimo delle origini, che è tutto nelle Lettere di Paolo, dalle quali deriva il cattolicesimo, egli resta fermo nella sua convinzione che la Verità annunciata all'apostolo da Dio sulla via di Damasco, è tutt'altro che la verità e che il cattolico oggigiorno, pur accettando i suoi suggerimenti, non otterrebbe lo stesso la salvezza. Perché si comporta in questo modo? Perché la sua pasqua è lo smantellamento degli inganni e degli errori e la ricerca razionale della verità. Ma questo, lo si vedrà un'altra volta.