- di Nadia Caruso
Brancola.
L’uomo
brancola, incerto, striscia per le strade, rifiuto del mondo.
Non
si erge, non vive... Strattonandosi sulle esuli braccia, rincorre una
vita che il più delle volte non è altro che conservazione,
scarnificazione della realtà.
Teme
il mondo, fugge la luce quanto il buio, terrorizzato dall’idea di
divenire preda di uno e dell’altro, esaltandosi o serbandosi
rancore, riservando agli altri quel briciolo di umanità che dovrebbe
smettere di negare a se stesso, vittima incauta della propria
disumana crudeltà.
L’uomo brancola e, così facendo, si chiude
gli occhi, condannandosi alla pura e semplice sopravvivenza.
Intrappola la visione di sé, degli altri, smarrisce pian piano i
confini di quel mondo che, fumo in dissoluzione, gli sfugge tra le
dita, come i granelli di una sabbia troppo sottile da trattenere
volontariamente.
Ma la sabbia è fastidiosa, si sente in bocca,
sulla pelle, negli occhi arrossati di pianto, tra i denti digrignati
da falsi sorrisi, sulle mani sporche del sangue di ogni ideale
massacrato dolcemente ed ha il retrogusto agrodolce della
contaminazione.
La
sabbia sinuosa subdolamente s’infila tra le crepe dello specchio,
che riflette nient’altro che una vanità incrinata. Ogni granello è
uno sguardo malato, osserva la direzione del divenire dell’uomo, il
fiorire di ogni sua idea, di ogni esperienza che lo rende uno ed
unico e, attratto da quella unicità, lo spinge a deviare il proprio
percorso, in favore di quella direzione che è anche il vettore guida
dell’esistenza umana, la necessità di essere uno al pari
dell’altro, sempre più simili, sempre più uguali.
I
confini svaniscono, svanisce ogni linea di demarcazione e
omologandosi alla morale comune l’uomo non percepisce più le
differenze né il dolore né la gioia, semplicemente continua ad
andare avanti, sbattendo contro quella figura che imperterrita gli va
incontro e che ormai stenta a riconoscere come propria, nonostante
sia confinata nella cornice lucida di uno specchio.
Continua
a camminare, quasi per inerzia, confondendo perfino il rumore dei
propri passi, ovattati dalle schegge di quel vetro nel quale si è
ormai perso ogni riflesso, confuso in mille altri simili e speculari.
La
percezione muta, senza che se ne abbia il minimo sentore, e lo sdegno
per ciò che una volta era anormale si smussa. La volontà levigata e
corrosa non si oppone più, preda e schiava dell’abitudine.
Scivola, viscida e appiccicosa, l’accettazione, rifugiandosi
tra le pagine buie dell’animo umano.
Titaniche lotte vengono
intraprese da chi, ingenuo superstite, tenta di opporsi a quel mare
di sabbia per non restarne affascinato e poi sommerso, mentre già le
orecchie risuonano di melodiose carezze, trappole ipnotiche delle
sirene del nostro tempo.
Oasi
del pianto, colme di lacrime mai versate, le macerie dei corpi si
riversano su spiagge di morbida sabbia, briciole di convenzione
sociale che assorbono personalità e precisione, fagocitando tutto
ciò che la mente rappresentava in tempi passati, nella sola attesa
di tramutare in aridità quei relitti di carne ormai a un passo
dall’oblio.
E
allora si aprono gli occhi, nonostante la sabbia, ci si lava la
bocca, lasciando scivolare via insieme alla sabbia le parole non
sentite e i gesti di convenienza. Si scrolla di dosso quella sabbia
che è dannatamente appiccicata ad ogni angolo, con le mani, le
braccia e poi le labbra le unghie e i denti, tentando di fuggire
quell’imposizione di unità che brilla ancora sulla superficie
deturpata dello specchio rotto.
Ma
ogni sguardo è ormai spezzato, ogni gemito soffocato, e risulta
enormemente difficile anche solo tentare di proferire parola dal
momento che tutto, respiro compreso, è inesorabilmente soffocato
dalla sabbia.
E
tu, sconsiderato spettatore, sei cambiato.
Scrollandoti
di dosso tutta la sabbia inizi ad assottigliarti, apprendendo così
la realtà dalla quale vorresti fuggire. Trovi il punto fermo
all’incompletezza di quella frase di cui ti riscopri ombra.
Il
tuo corpo, il tuo volto, il tuo cuore si sbriciolano in pezzi sempre
più piccoli, svelandoti orrore e disperazione in una pioggia dorata,
frutto delle contaminazione delle quali ti stai liberando, ma anche
dei frammenti di te che, per esse, hai sacrificato.
Tu,
omuncolo insignificante, ti sei venduto al miglior offerente ed ora,
tra nugoli di polvere splendente, ti riveli per ciò che sei: un
lurido piccolo granello di sabbia dorata.