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martedì 31 agosto 2010

PRESENTATO "IL TERRORISMO" DI ANTONELLA COLONNA VILASI

- di Saso Bellantone
“Secondo voi il terrorismo è finito?” – questa è la principale domanda che più volte è riecheggiata ieri sera, presso l’Anfiteatro comunale di Bagnara Calabra, in occasione della presentazione del libro, edito per la casa editrice Mursia, dal titolo “Il terrorismo” di Antonella Colonna Vilasi. Ha introdotto l’autrice lo storico reggino Natale Zappalà il quale, leggendo alcune pagine della storia d’Italia, riportanti le testimonianze rilasciate dai superstiti della strage di piazza Fontana, ha sottolineato che cos’è il terrorismo politico, visto e provato da parte delle masse: dolore, paura, panico, sangue, morte, innocenza, insensatezza. Numerosi i partecipanti, tra cui il sindaco della cittadina tirrenica, Cesare Zappia, e l’assessore per il Turismo e per le politiche del territorio, Giuseppe Spoleti, rappresentanti dell’amministrazione comunale che ha voluto presentare l’opera di Vilasi a Bagnara per non dimenticare il passato e continuare a interrogarsi sui cosiddetti “anni di piombo”.
Così come ha spiegato l’autrice, l’opera si compone di tre parti (riguardanti la logica del terrore, il brigatismo rosso e il brigatismo nero) e rappresenta una mappa dei principali attentati terroristici e delle organizzazione brigatistiche susseguitesi, a partire dalla strage di piazza Fontana, fino ai nostri giorni. Mediante le domande poste all’autrice dai presenti, si è evidenziato che il nostro tempo dev’essere letto anche alla luce del brigatismo rosso e nero che segnato gli ultimi cinquant’anni della storia italiana. 
Con la fine della Guerra Fredda e il crollo del muro di Berlino comincia una nuova era, quella cioè planetaria (o della cosiddetta mondializzazione), nella quale le antiche logiche e forme di lotta politica, tra i quali il terrorismo, cambiano volto, protagonisti e campo. Non si tratta più di un terrorismo armato rosso e nero – tipologie politiche insensate di fronte alla metamorfosi partitica e alla crisi ideologica che caratterizza la nuova età, di Stato in Stato – ma di un terrorismo di lobbies, religioso, mediatico, psicologico, farmacologico (allarmismo epidemico e pandemico), capitalistico e criminale. Non si tratta più di ottenere il dominio di uno Stato mediante le ideologie e i partiti, ma di edificare un nuovo ordine mondiale mediante il controllo programmatico dell’economia, dei capitali, dei beni di prima e seconda necessità, dei mezzi militari, tecnici, mediatici, accademici e via dicendo. Insomma, si ha a che fare con una corsa di pochissimi potenti, criminali e non, per il dominio globale del pianeta e, a tal fine, tutto può essere impiegato. 
Il libro di Vilasi costituisce una chiave di lettura per leggere la realtà italiana attuale alla luce dei suoi ultimi cinquant’anni, e rappresenta un punto di partenza per capire la realtà che ci sta attorno, in Europa, all’Ovest, all’Est, nel medio-Oriente. Malgrado alcune vicende lampanti e strazianti – per fare qualche esempio, si pensi al caso Moro, alle stragi di Capaci e di via d’Amelio, all’11 settembre, all’attentato Di Landro – testimoniano la sopravvivenza di quella forma di terrorismo che fa lotta politica e ricatta lo Stato mediante l’uso delle armi e della forza, oggigiorno sembra che il terrorismo abbia mostrato il suo volto peggiore: l’invisibilità. Attualmente il terrorismo si manifesta nel senso di un modo di pensare, capace di nascondersi in tutte le sfere della società e di colpire chiunque e ovunque, sia con sia senza l’uso della forza e delle armi. È un modo di pensare freddo, spietato e calcolante che attraverso le mode, le tecnologie, la dolce vita e persino i saperi, raggiunge ognuno di noi e ci rende impotenti e dementi, al fine di accelerare la lotta “personale” per il dominio della Terra. Ma il pensiero è qualcosa che non si vede e, per questo motivo, il terrorismo è qualcosa che difficilmente può essere riconosciuto e combattuto.













venerdì 20 agosto 2010

PE' COMU PARRU SCRIVU: AMARI PENZERI di Rocco Nassi

- di Saso Bellantone
La poesia vernacolare di Rocco Nassi è una scossa tellurica che riporta l’animo bagnarese alle sue origini, a un antico mondo capace di contrapporsi alla logica dominante della società di massa e dei consumi, che distrugge in modo onnilaterale l’uomo e i valori essenziali per la convivenza.
Assistiamo infatti a una rivoluzione iper-tecnologica e mercificante che, a cavallo di una crisi dei fondamenti e dei valori, produce spersonalizzazione, omologazione, riduzione delle differenze, solitudine, dimenticanza. Questo movimento coinvolge la società in tutti i suoi livelli: si assiste a una amnesia del passato, della diversità della provenienza dei popoli, delle etnie, delle culture e di tutto ciò che un tempo ne qualificava, singolarmente, l’identità e garantiva un sistema di valori capace di generare condotte utili per edificare una società e un futuro migliore per tutti. La ripercussione di questo processo di metamorfosi che abbatte il mondo vecchio per edificarne e perfezionarne, sempre più, uno nuovo, più che nei centri e nelle metropoli del globo, si evidenzia maggiormente nelle zone di confine, nelle periferie del mondo, tra le quali il nostro (un tempo) amato paese: Bagnara. Vinti da questo sistema robotizzante, stra-economico, legato alla logica del successo e al culto dell’immagine, la maggior parte di noi bagnaresi è rimasto e sta ancora a guardare il decadimento del vecchio mondo, senza far nulla, fuorché adattarsi alla trasformazione onnilaterale e globale ormai dominante, nella speranza di aver parte, in qualche modo, di una fetta della torta del potere, della ricchezza, dell’avere (in tutti i sensi). Nel suo ultimo libro, Pe’comu parru scrivu: amari penzeri, Rocco Nassi dimostra che ci sono ancora uomini che non la pensano allo stesso modo; alcuni, come lui, preferiscono dire no a questa decadenza generale, usando una potenza fin troppo presa alla leggera: la memoria.
La sua poesia dialettale, infatti, richiamando alla mente la lingua che parlavamo e che sempre più và dimenticandosi, ricorda a tutti quel che un tempo ci qualificava nella nostra unicità e ci differenziava (e ci differenzia) da meri numeri calcolabili e manipolabili allo scopo del potere: noi siamo Bagnaresi. In questo senso, recuperando la nostra antica identità, il nostro antico modo di pensare, di vivere, di “essere” (e non di avere), la poesia di Nassi costituisce un punto di vista alternativo a quello della tecnica e del potere, un occhio critico, se non sulla nostra società decadente, sulla nostra Bagnara decaduta, proponendo, con rime e versi vernacolari, con le parole di un tempo, di tornare a essere quel che eravamo e possiamo ancora essere, se lo vogliamo, vale a dire se ci riconosciamo come dei Bagnaresi, alla maniera di una volta.
In questa prospettiva, la poesia dialettale di Rocco Nassi è un tramite per accedere a quel mondo carico di valori, straripante di veri uomini e vere donne, oggi assenti, sospeso tra il ricordo dei vecchi che muoiono e l’oblio del libertinismo dei giovani, abbindolati dalle nuove mode e da tutto ciò che luccica. È un modo di parlare – e di pensare – alternativo a quello attuale non solo nella sua forma, il dialetto, ma anche nei contenuti. La logica del potere, della merce, della tecnica, del successo, dell’apparenza, non prevede infatti altri valori fuorché se stessa. La lingua della poesia di Nassi, invece, si fa mezzo per accostarsi a un mondo, a un sistema di valori, a un modo di pensare capaci di contrastare il sortilegio causato dalla tv, dalle mode, dal denaro, dal successo, dalla potenza che provoca nelle nuove leve un assoluto senso di degenerazione e, consentitemi, di strafottenza. La poesia di Nassi sfida a viso aperto il mondo contemporaneo e lo affronta con l’antico mondo bagnarese, con la forza del passato, degli antichi bagnaresi, del loro antico modo di pensare e di vivere che si riflette e si trasmette ai posteri e si eredita mediante il dialetto. È una forma di interrogare gli avvenimenti al di là di ogni schieramento politico e partitico, un modo di focalizzarne la sostanza e di giudicarne il destino per il bene comune, ossia la vita nel paese (e nel mondo), al di là degli interessi personali.
Per questa ragione, la poesia di Nassi parla senza mezzi termini: non è una questione estetica, intellettuale, scolastica il saper porre i problemi del nostro paese e, se volete, della nostra società: è una questione vitale. Se i potenti, gli intellettuali, i “manichini” – consapevoli di essere pilotati dai primi allo scopo del potere e dei quattrini – non possono rendersene conto, perché vedono la nostra società – e la nostra Bagnara – dall’alto delle loro torri d’avorio, issate con i soldi, il sangue, la vita delle misere masse, allora soltanto chi appartiene a queste masse di individui indigenti, quali Nassi, fuori dal circolo del delirio della potenza e dell’onnipotenza, può accorgersene.
Proponendo la propria poesia come un modo di pensare critico e sicuro nel nido degli antichi valori di Bagnara e dei bagnaresi, Nassi dimostra che l’arte e il sapere non sono dei fatti da intellettuali né per gli intellettuali ma, se così si può dire, di “povera gente” e per la “povera gente”, quali noi siamo, in quanto parte delle masse variegate che compongono la nostra società. Quando l’arte e il sapere provengono dal mondo delle lobbies e degli intellettuali, non producono se stesse bensì potere e dominio. Quando invece provengono dalle masse, dalla “povera gente”, generano convivenza, solidarietà, speranza: questa è l’essenza dell’arte e del sapere. Se l’italiano è la lingua del potere, della tecnica, della decadenza morale e sociale di Bagnara (e del mondo), allora è preferibile capire quali sono le proprie radici, comprendere che Pe’comu parru scrivu non è un libro di poesia ma uno stile di vita e un modo d’essere, nella sostanza, che dal nostro passato Rocco Nassi suggerisce per affrontare il nostro presente.
Credete siano parole di un visionario? Allora leggete il libro, la poesia di Nassi parla da sola…

martedì 10 agosto 2010

LA REGGIO DI ANASSILA di Natale Zappalà

- di Saso Bellantone
La Reggio di Anassila non è una biografia del tiranno reggino ma una spettrografia della situazione politica, economica e strutturale della Reggio tra il VI e V secolo a.C. In altre parole, è una lente d’ingrandimento sulla storia di una polis troppo dimenticata dalla critica e dalla ricerca storica; una città che al tempo di Anassila, ma non solo, diviene potente e prestigiosa tanto quanto – se non in modo maggiore – Siracusa, Crotone, Locri, Zancle, Atene e simili: Reggio.
L’opera di Natale Zappalà è la prima fonte critico-documentale relativa all’antica Reggio. Incastonando perfettamente tutte le fonti, primarie e secondarie, relative alla storia della città durante gli anni di Anassila, Zappalà strappa all’oblio – ricostruendola e presentandola con un linguaggio semplice e conciso – una vicenda dell’antichità decisiva per comprendere l’identità, le radici, l’evolversi della storia – se non dell’umanità – dell’Occidente. Decodificando e riedificando la storia di Rhegion, Zappalà fornisce i ricercatori e gli appassionati di studio del passato di un baluardo utile per rivedere, dunque per riscrivere, la storia antica anche e soprattutto alla luce della vicenda di Reggio prima, durante e dopo la tirannide anassilaide.
La puntualità dei riferimenti bibliografici intertestuali ed extratestuali non impediscono al lettore di addentrarsi nel testo: piuttosto, la forma stilistica fluida e chiara quasi come un romanzo, consente al lettore non solo di trovarsi proprio dentro l’antica Rhegion, ma anche di fare esperienza della scientificità, della criticità, della rigorosità e del buon senso necessari per la ricostruzione storica di ogni avvenimento del passato. In breve, dà al lettore tutti gli strumenti utili per fare anch’egli i primi passi nella ricostruzione dell’antichità e nell’appassionante riscoperta del passato dell’Occidente.