- di Saso Bellantone
La trasparenza è
limpida, come acqua sorgiva. Chiara, come la luce. Nitida, come
paesaggio senza nebbia. Non ha sfumature né imprecisioni. Brilla,
senza macchie e imperfezioni.
La trasparenza è pulita,
come isola sperduta nell'oceano. Cristallina, come oasi nel deserto.
Innocente, come stella remota. Non conosce polvere né inquinamento.
È pura, mai infetta e senza contaminazioni.
La trasparenza è sana,
come albero da frutto. Dolce, come il sorriso di un fanciullo.
Delicata, come i sogni degli adolescenti. Resiste, desiderosa di
vita. Vuole se stessa, oltre le cadute e le ferite.
La trasparenza ha cura di
sé. Si rialza, si ristabilisce. Cerca l'armonia, con tutto ciò che
la circonda. È attenta, a chi le sta attorno. È buona, affettuosa.
È soffice, come il cotone e le nuvole.
La trasparenza conforta,
calma, rassicura. Guarisce e incoraggia. Dà la pace, stimola. Dà
fiato, come l'aria. Lava, come l'acqua. Rinvigorisce, come il fuoco.
Fortifica, come la terra.
La trasparenza è il
contesto, l'ambiente, l'habitat proprio dell'essere umano. È in essa
che quest'ultimo entra e resta in contatto con la propria essenza.
Con ciò che è veramente. Con la propria identità.
Essere e realtà sono due
facce della stessa medaglia. Sono trasparenti, manifesti, palesi, e
l'essere umano per essere tale non può evitare di trapelare,
mostrare, rivelare se stesso.
Il “chi” dell'essere
umano si diluisce, si amalgama nel “che cosa” emerge, si
presenta, si esibisce di lui stesso. L'essere umano è tutto ciò che
ostenta, espone, mette in mostra. È ciò che fa vedere, che
sbandiera, che sfoggia e che vanta e, tuttavia, è convinto di essere
anche tutto ciò che nasconde, eclissa, insabbia e, per questo
motivo, è frainteso, travisato, non è capito.
Dagli altri.
Questo è il nodo
cruciale della questione, il problema di Aladino, il labirinto in cui
ci si perde. L'oblio di essere inevitabilmente immersi in un luogo,
spazio-tempo, ecosistema regolato dalla trasparenza, in cui ci sono
anche “gli” altri. In cui “si è con” gli altri.
“Io giudico gli altri
in base a quel che vedo e a quel che gli altri mettono in mostra”,
è così che l'essere umano giudica senza esitazione. Dimentica a
priori, però, che lo stesso, all'inverso, vale per lui, e cioè che
oltre ad essere colui che giudica è, nel contempo, anche colui che è
giudicato dagli altri “in base a quel che loro vedono e a quel che
lui mostra di sé”. Dunque, in un caso e nell'altro, si permane
nelle lande della trasparenza, di ciò che è visibile, osservabile,
toccabile con mano: a partire da questa sfera ed entro tale
dimensione si giudica e si è giudicati.
Il fraintendimento, il
malinteso, l'equivoco, in questo quadro, non è altro che
un'illusione, una giustificazione, una farsa. Convivendo nello stesso
habitat con gli altri, tutti al di sotto della fatale legge della
trasparenza, non si può pretendere di giudicare in base a quel che
si vede e di essere mal interpretati perché non si è manifestato
quel che si cela, si camuffa, si occulta. Si è, e quindi si giudica
e si è giudicati, per mezzo di quel si vede/si mostra nel contesto
comune. Si è mediante i fatti osservati/compiuti e se si dimentica,
o si sceglie consapevolmente, di svelare ciò che si custodisce nel
segreto non si può poi sostenere di non essere capiti in toto e di
essere stati travisati. Si è sempre la trasparenza manifesta, sia
nel caso in cui si vesta i panni dell'io, sia nel caso in cui si
vesta i panni degli altri.
L'ironia della sorte, o
meglio della legge della trasparenza, è che in quest'ultima non
esistono equivoci né abbagli, neanche se si decide di nascondere
agli altri “parte di sé”, ossia tutto quello che può essere
definito come “segreto”. Quest'ultimo infatti, e cioè la scelta
di celare ad altri la pienezza di sé, traspare, trapela, emerge lo
stesso come “ciò che non è reso manifesto”, che non è stato
palesato, mostrato; affiora come “ciò che è stato occultato”,
che è stato mascherato, velato. Malgrado sé, il segreto spunta
fuori come sudore, aria espirata, energia emanata. Come ciò che c'è
nonostante si scelga volontariamente di non mostrarlo. Il segreto
filtra, gocciola da sé come l'invisibile che è visibile. È
trasparente, ed evidente. Indubbio.
Non ha senso dunque
alcuna pagliacciata, maschera e autocommiserazione. Splende anche
quel che si lascia nell'invisibile, nell'immateriale, perché tutto è
traslucido, opalescente, incontaminato.
Si è sempre trasparenti
e la trasparenza che si è resta sempre esposta all'alterità nella
sua fattualità. Si è i fatti compiuti e non compiuti, narrati
entrambi dalla propria presenza, e il linguaggio può fare poco se si
è scevri di tale consapevolezza o si tenta di aggirarla. Il
linguaggio ha potere soltanto se si abbraccia la consapevolezza di
essere trasparenti, esposti, fattuali, soltanto se si comprende che
l'habitat nel quale si vive può essere abitato esclusivamente
secondo questa regola inevitabile: tutto traspare, tutto è evidente,
tutto è fattuale, concreto, tangibile.
Bisogna avvinghiare
questa fatalità, vivere pienamente coscienti di essa.
Se la si evita, o si fa
finta di nulla, traspare.
E traspaiono anche le
ragioni.
E quando queste ultime
non ci sono, o sono superflue, emerge la verità.
Nient'altro.