"Castello Normanno", Gerace (RC).
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domenica 28 aprile 2013
DISsud: le foto 20
sabato 27 aprile 2013
Destinarsi da sé
"Non c'è bisogno di profezie, negromanzie e miracoli per condurre il proprio destino, ma soltanto di valutazioni, decisioni e fatti".
martedì 23 aprile 2013
L'ARTE PERIFERICA: intervista a Vincenzo Laurendi
- di Saso Bellantone
Vincenzo Laurendi ha 31
anni e scrive da quando ne ha 17. Nasce nel 1982 a Saronno, in
provincia di Varese, ed il ritorno in Calabria costituirà uno dei
tre spartiacque della sua esistenza. Infatti, a soli tre anni subisce
un incidente stradale che lo segnerà per il resto della vita,
causandogli una paresi facciale. Trasferitosi per diversi anni in
Toscana, a 16 anni torna in Calabria (secondo spartiacque) e inizia a
scrivere: prima una novella satirica sulla scuola e le sue
condizioni, poi comincia con le poesie. Le prime disastrose cotte
sono il tema principale, mentre con la vita accademica si rende conto
di tante altre cose importanti, laureandosi nel 2005 in Lingue e
Letterature Straniere all’Università di Messina. Sfondata la quota
2000 con le poesie (in italiano, inglese, francese, spagnolo e
vernacolo bagnarese), scrive un bel po’ di novelline di ogni tipo,
dal giallo al surreale. Nel 2006 arriva il terzo spartiacque: una
cotta importante non ricambiata, anzi, vissuta dalla ragazza con
spietatezza ed utilitarismo, che involontariamente gli mostrerà come
si sta davvero al mondo. Da ragazzo timido ed indeciso diventa molto
più deciso e guardingo, ma senza mai rinunciare ai suoi valori. Nel
2008 si specializza in Lingue e a novembre viene chiamato a insegnare
alla scuola elementare “Archimede” a Rozzano, in provincia di
Milano. Impara a vivere da solo, senza l’apporto dei genitori, con
le sue sole forze, un’esperienza estremamente formativa. Dal 2009
collabora come corrispondente sportivo con il portale d'informazione
Costaviolaonline.it. Nel 2010 svolge un'altra esperienza didattica,
stavolta in una scuola media, per un mese. Dal 2011 collabora come
corrispondente sportivo con la Gazzetta del Sud e dal gennaio 2012
collabora con la web radio Radiobagnaraweb sia come speaker sportivo
sia conducendo programmi di musica rock alternativa e rap. Nel giugno
2012 pubblica il romanzo “Ti darò il mio cuore” (Caravilla).
Attualmente vive a Bagnara Calabra.
Come ti sei avvicinato
alla scrittura?
Non credo di essermi
avvicinato io, ma che lei si sia avvicinata a me. Ho letto tanto nel
periodo in Toscana, da Verne e Lussu a Tolstoj, ma credo mi abbia
influenzato, soprattutto politicamente, il romanzo “1984” di
George Orwell. Dopo 19 anni è ancora il mio romanzo preferito e lo
rileggo con immenso piacere. Un giorno di scuola, durante un’ora
buca, prendo la penna in mano descrivendo la situazione scolastica,
ma in maniera molto sarcastica. Avevo appena letto “Pancreas” di
Giobbe Covatta, credo di essermi ispirato a lui. Poi, qualche giorno
dopo aver terminato questa novellina che mi piace definire quasi come
un pamphlet, ho iniziato a scrivere poesie.
Che cos'è la
scrittura?
La scrittura è un’amica
fedele, è una psicologa che scava dentro te stesso, e spesso ti
aiuta a risolvere problemi che sembravano insormontabili o che altre
persone non riescono a capire. Dopo la musica, credo sia l’arte più
completa in assoluto.
Cosa pensi riguardo al
senso, allo scopo e agli usi della scrittura, sia a livello
individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Che la scrittura debba
avere un senso, uno scopo ed un uso ben precisi. È un’arte troppo
nobile per essere ridotta solo ad un mero mezzo di guadagno, come
fanno alcuni. Sono assolutamente scettico sul fatto che essi abbiano
voluto solo intrattenere un lettore o sfogarsi per qualcosa come
faccio io, e così la scrittura diventa un male, diventa volgare,
improponibile.
I Greci impiegavano il
termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa
parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in
linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio , la parola
“poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una
poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso
pieno della parola. Puoi definire le tue storie “poesie”, opere
d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
Magari opere d’arte è
esagerato, ma “creazioni” mi piace tantissimo come definizione.
Le mie prime poesie nascono a tempo di musica, come le “creatures”
di Tori Amos, la mia cantante preferita. In esse creo un mondo,
magari il mio mondo ideale, o semplicemente la maniglia della porta
che mi procuri la libertà di cui spesso mi sento privo.
Perché scrivi? Perché
senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte della scrittura?
Come ho detto prima,
molto spesso mi sento soffocare, mi sento estremamente deluso dal
mondo che mi circonda, perché troppe volte è l’opposto di quel
che sognavo. Vedo violenza facile, droga, imbrogli, e per una persona
pacifica, salutista e leale come me non è qualcosa di accettabile.
Mi riparo nel mio piccolo mondo e spero di coinvolgere qualcuno,
perché essere in una situazione bellissima ma non avere nessuno con
cui condividerla è quasi peggio che non esserci.
Che cosa racconti nei
tuoi scritti?
Un po’ di tutto. A
volte mi sono cimentato in gialli, horror, thriller, storie d’amore.
L’amore è centrale nelle mie creazioni, lo è quasi sempre. Ed
indovina perché? Proprio perché ne ho avuto pochissimo, ovvero
quello dei miei genitori e di alcuni dei miei familiari, ma sento di
avere tanto da dare e nessuno che lo riceva. Nei miei scritti,
insomma, vivo come vorrei vivere davvero.
Uno scrittore può
sentirsi tale senza i lettori?
Ci sono i tipi da “torre
d’avorio”, tanto per citare Sainte-Beuve. Io non lo sono. Sono
rattristato da quel che vedo, ma fatto sta che adoro ridere e far
ridere. La condivisione è fondamentale, non solo per fare entrare
altre persone nel tuo mondo personale, ma anche per confrontarti,
scoprire se ci sono errori o cose di questo genere, per migliorarti
anche dal punto di vista artistico e personale.
Che cosa significa
oggi vivere come uno scrittore e vivere esclusivamente della propria
arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa
missione?
Oggi come oggi, senza la
“pedatona nel sedere” o l‘appoggio di una grande casa editrice
ciò non è possibile. Io sono un piccolo scrittore, e mi sta
benissimo rimanere tale. L’unica cosa che vorrei è poter scrivere
e pubblicare senza vincolo alcuno, perché sono nato uccel di bosco e
così voglio restare.
Cosa ti spinge a
restare nel sud?
“Spinge” è una
parola molto grossa. Più che altro “costringe”. Il fatto di non
avere un lavoro nonostante i titoli è frustrante, doversi ancora
appoggiare ai genitori e non avere la possibilità di formare una
famiglia mia lo è ancor di più. Ciò non significa che io disprezzi
il Sud Italia, ma la sua situazione: mafia, spazzatura, ignoranza, ma
soprattutto disoccupazione. Se avessi un buon impiego resterei qui,
soprattutto per i miei genitori.
Puoi definirti un
sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Non soltanto mi definisco
un sognatore, ma, come ho scritto in uno dei miei piccoli aforismi,
“Foglie sparse al vento”, sono “un sognatore di professione”.
Per questo polemizzo, protesto, dico le cose senza peli sulla lingua,
e magari risulto antipatico, se addirittura non mi attiro l’odio
della gente. Ciò non so per quale motivo capiti, se perché non mi
capiscono, se perché vengo frainteso, se semplicemente vogliono che
tutto rimanga com’è perché preferiscono una routine sicura,
seppur orribile, piuttosto che un ignoto che potrebbe riservare tante
sorprese. Da piccoli ci insegnano a dire sempre la verità, ma fatto
sta che quando la dici la gente non ti apprezza. Sento gente che
parla di cambiamenti, di rivoluzioni eccetera, ma se queste parole le
uso io vengo stigmatizzato, come se non ne avessi il permesso o se
avessero paura che io potrei riuscire in ciò in cui loro non
riescono. Migliorare le cose non è un obiettivo solo personale,
vorrei fosse una cosa globale. Come detto prima, a che servirebbe
senza qualcuno con cui condividerlo?
Riguardo il sogno nel
cassetto... è avere un sogno. Certo, affermarmi, realizzarmi in
toto, ma non fermarmi mai, continuare senza sosta la ricerca di me
stesso, anche quando son convinto di averlo trovato, perché, citando
Faletti, “mentre decidi se son buono o son cattivo, fa’ che la
morte mi trovi vivo”.
Il tuo ultimo libro
s’intitola Ti darò il mio cuore. Di che cosa parla?
Uno dei lettori, poco
prima della presentazione a Bagnara mi ha detto che è “un inno
all’amore”. No, io non sono il tipo. Il mio romanzo è più che
altro una denuncia della sua mancanza, perché l’amore oggi come
oggi, quello vero, è difficilissimo trovarlo. Ci si “innamora”
per paura di stare soli, o per convenienza. Quando in piazza Marconi
vedi tutte quelle giovanissime coppie, quello non è amore, ma ormoni
adolescenziali impazziti. Vorrei vederli davanti ad un mutuo da
pagare, a dei figli, alle tasse. Si mollerebbero in un secondo. Ma
non c’è solo questo: “Ti darò il mio cuore” è pieno di
motivi, dalla voglia di rivalsa del Sud alla musica, consolatrice e
consigliera, dall’amicizia più pura al troppo potere di alcuni
professori universitari che si approfittano degli studenti perché
non hanno controlli. Molti di quelli che hanno letto il mio libro,
anzi, quasi tutti, mi hanno detto che è “molto scorrevole e
semplice”, ma in realtà è molto complesso.
Alcune parole per i
giovani.
I giovani d’oggi hanno
pochissimi punti di riferimento, la loro unica salvezza è sapere più
cose possibili e diffonderle, perché il male del ventunesimo secondo
è l’oscurantismo propugnato dall’ignoranza, che ha permesso, per
esempio, ai nostri politici di prendersi privilegi che non ha nemmeno
uno sceicco del Dubai. I giovani sono il futuro, e non è un modo di
dire. C’è un bellissimo pensiero di Crozza – ebbene sì, non
Nietzsche, Schopenhauer, Socrate.. ma Crozza – in cui diceva che
quando diventi grande, il mondo non è più tuo, ma è un prestito
per cui devi lavorare sodo per donarlo ai tuoi figli. Secondo me,
quella soglia si è abbassata parecchio, perché oggi come oggi i
giovani devono guadagnarselo, il mondo, o rischieranno di non avere
nulla. Io, nel mio piccolo – perché ancora mi ritengo un giovane,
e “lavoro” da giornalista e da insegnante con tantissimi giovani
– sto tentando di fare del mio meglio, perché voglio scongiurare
un’immagine che mi viene in mente spesso. Sono sul monte Cucuzzo,
ho due bei bimbi sulle mie ginocchia ed ammiro il mondo circostante,
vedo immondizia, criminalità, politici corrotti, gente menefreghista
e dico loro: “ragazzi, un giorno tutto ciò sarà vostro..
perdonatemi.” E ciò non può succedere, non deve succedere, e non
succederà. Basta solo che ci mettiamo tutto di noi stessi. Un
legnetto è facile da rompere, ma un fascio di legnetti no. Insomma,
giovani, liberatevi della tecnologia, o almeno, non fatevi fare il
lavaggio del cervello da lei, liberatevi dall’ignoranza, dai
teoremi facili e dalle superstizioni, ed impegnatevi per essere il
meglio possibile. Certo, soffrirete, dovrete aver pazienza per vedere
dei risultati, ma alla fine.. sapete la soddisfazione?
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ARTE PERIFERICA
sabato 20 aprile 2013
Come un ladro nella notte (non ti dimenticherò, amico mio)
«Il Messia viene come un ladro
nella notte» (2 Tess. 5,2). Non guarda in faccia nessuno. O forse sì. Sa sempre
chi derubare della sua vita terrena, stregata dall’oscurità della sofferenza,
per premiarlo con un’altra vita, eternata nella luminosità della gioia. Certe
volte, però, pare che il Messia sbagli preda ed eletto, e ciò pone degli
interrogativi sulla Sua effettiva condizione Redentrice. Essendo infatti della
stessa sostanza del Padre, vale a dire onnipresente, onnipotente, onnisciente e
onnisenziente, Egli non dovrebbe commettere errori. Se invece li compie, allora
molto probabilmente non ha gli stessi attributi del Padre. Sarebbe soltanto,
come direbbe Quinzio, un Messia povero,
privo cioè dell’onnipresenza, dell’onnipotenza e dell’onniscienza, condannato
fino alla fine dei tempi a sentire impotente la sofferenza dell’intero creato.
Soffrirebbe con la creazione intera, ma non potrebbe intervenire per porvi
rimedio alcuno.
In questo senso, se cioè il
Messia è realmente povero, ha delle qualità diverse da quelle del Padre e non
può rimediare al dolore delle creature, allora non può neanche venire come un ladro nella notte. La sua venuta sarebbe infatti un’interposizione
fra il creato e la sofferenza provata da quest’ultimo. Dal momento che non può
attuare nessun tipo di frapposizione, allora Egli non è nemmeno in condizioni
di procurare alcun beneficio alle creature (attuando il bene), né di sbagliare,
operando quindi male (o il male). Ma allora, chi è il ladro nella notte? Chi arriva per derubare altri della propria vita
terrena, ammaliata dalle tenebre del dolore? È capace questo chi a ricompensare i derubati con
un’altra vita, immortalata nella luce della felicità?
Se non è il Messia, allora può
darsi sia la Dama Nera a
giungere come un ladro nella notte, questa
entità rappresentata da uno scheletro con la falce e il mantello e il cappuccio
neri, chiamata ad accompagnare le anime nel loro trapasso verso il regno dei
morti. Se il ladro nella notte è il
Tristo Mietitore, le cose cambiano, a seconda delle interpretazioni
assegnategli. Per alcuni è buono, in quanto il suo compito è di condurre le
anime verso una nuova vita, eterna o terrena; per altri è cattivo perché
strappa le anime alle persone per condannarle alla permanenza negli regno degli
inferi; per altri ancora il Cupo Mietitore non è né buono né cattivo in quanto
scorta imparzialmente le anime nell’aldilà, quando è giunta la loro ora.
Se il Sinistro Mietitore è buono,
allora anche Lui come il Messia non può commettere errori, altrimenti
opererebbe in maniera contraria alla propria costituzione. Se è cattivo, allora
o è al servizio di un’entità malefica che lo spinge a commettere il male o possiede
una volontà propria sulla base della quale può sbagliare. Se invece è neutrale,
non può commettere errori né operare il bene né il male, in quanto non possiede
alcuna volontà ma è soltanto incline a svolgere il proprio compito ogni volta
che viene l’ora.
Per essere il ladro nella notte, il Tristo Mietitore
non può essere né buono né neutrale ma soltanto cattivo. La prima qualità, come
nel caso del Messia, spinge infatti a sollevare dalla sofferenza terrena per la
gioia futura, la seconda invece muove a rispettare la propria funzione
all’interno di un piano prestabilito delle cose, nel quale tutto ha un inizio e
una fine, senza eccezioni. Dal momento che le prime due non conducono
all’errore, soltanto la cattiveria può farlo. Il ladro nella notte dev’essere necessariamente un Cattivo Cupo
Mietitore, al servizio del male od operante volontariamente il male e, tuttavia,
pur delineandosi in questa maniera, Egli non può commettere errori. Non può
operare bene (o per il bene) né in modo neutrale altrimenti smetterebbe di
essere cattivo e si annichilirebbe, perdendo la propria essenza maligna.
In mancanza di un ordine già
fissato e dunque destinato delle cose, a
venire come un ladro nella notte può essere soltanto il Cattivo Sinistro
Mietitore: altrimenti, non si potrebbe spiegare in alcun modo la tua scomparsa,
amico mio.
Hai sofferto per una vita intera
la solitudine, la mancanza di amore, il tuo corpo, le ingiurie,
l’incomprensione. Tutto questo ti ha spinto a chiuderti a riccio, in compagnia
soltanto di te stesso, una bionda, una verde e la poesia. Vagavi per le vie
della tua bella Bagnara in cerca dei luoghi meno frequentati, per godere della
bellezza paesaggistica, sperando nel contempo dentro di te di fare amicizia con
qualcuno ed essere accettato per accettarti. E così è accaduto. Il dolore di
esistere ha iniziato a trasformarsi nella gioia di vivere e di tornare ogni
volta nel tuo paese, con la conoscenza di nuovi primi amici, ai quali sono
seguiti altri e poi altri finché non hai conosciuto proprio tutti. Hai iniziato
ad aprirti, a sfogarti, a legarti a quegli amici senza i quali non avresti mai
gustato la bellezza della vita: dai parchi acquatici ai falò, dalle scampagnate
alle camminate fino a notte fonda, dai concerti alle discussioni infinite su
argomenti seri e banali davanti a una birra fredda sotto il sole cocente o una
luna liricamente ispirante, dai sorrisi ai pianti, dall’intonare assieme agli
altri le canzoni più belle alle sfide poetiche improvvise, dal bagno in mare a
mezzanotte alla partita a briscola e tressette o a scacchi sotto l’ombrellone, e
tante e tante altre esperienze fino a quella più intensa e tanto desiderata: l’amore.
Avevi conosciuto poco più di un anno fa la compagna della tua vita, con la
quale mettere su famiglia. Ti eri fidanzato e da pochi mesi eri andato a
convivere con lei, in prospettiva di un vicinissimo matrimonio, con il quale
avresti raggiunto l’apice della felicità tanto bramata e patita. E invece, ora
che stavi realizzando il tuo sogno, ora che eri nel pieno della felicità dopo
tanta sofferenza passata, ecco che arriva il ladro nella notte, quello stronzo di un Mietitore, e ti porta via:
37 anni, infarto fulminante. Non può essere diversamente. È uno stronzo.
Cattivo e stronzo. Perché se il Messia o chi è buono o chi è neutrale non può
fare errori, soltanto chi è cattivo e stronzo può farlo, può stroncare la tua
vita proprio adesso che eri felice. E questo, per quanto sia inevitabile, non
può essere accettato. Per questo motivo, malgrado ti abbia preso con sé, il ladro nella notte non completerà il suo
malefico incarico. Non ti porterà da nessuna parte, in nessun al di là. Resterai
qui, sempre, nel pensiero e nel cuore mio e di tutti gli amici che ti vogliono bene, perché da te hanno imparato che la gioia, la bellezza, la magia
dell’esistenza è nelle cose semplici e nell’amore per chi si ha a cuore.
Non ti dimenticherò Giando, non ti dimenticherà nessuno...
mercoledì 17 aprile 2013
Biologicamente incapaci della verità
domenica 14 aprile 2013
Oltre ogni codifica
"A volte, anziché liberare, il linguaggio cala tra l'io e il mondo esterno come un muro, eppure resta l'unico mezzo per scavalcarlo".
giovedì 11 aprile 2013
La banalità dell'essere
"A volte, si è catturati a tal punto dall'oggetto del proprio pensiero da non accorgersi di esservi già seduti sopra".
lunedì 8 aprile 2013
Pensieri visivi: UN PAIO DI SCARPE di Vincent Van Gogh
- di Saso Bellantone
Portano ovunque, e in nessun
luogo. Calzate o sfilate. Dall’alba al tramonto, in ogni giorno, mese, anno,
scandiscono ineluttabilmente lo scoccar dell’istante verso quello venturo,
tracciando nitidamente i confini tra ciò che è stato e ciò che sta accadendo.
Fedeli compagne, connettono e separano la carne e i corpi, le idee e gli
elementi, l’anima e il mondo, l’evoluzione e la sopravvivenza. Dai campi di
grano alle camere istituzionali, le scarpe amministrano l’essere nel divenire,
proiettando i suoi passi da un granello di sabbia all’altro della clessidra
dell’esistenza. Si logorano. Vengono abbandonate e pur prendendone delle nuove,
logorano. Perché dirigono fatali il soffio vitale di ognuno dalla nascita alla
morte. Alcune muoiono con noi. Altre prima di noi. Altre ancora permangono
solitarie, per testimoniare silenziosamente l’assenza di chi le ha calzate fino
a qualche attimo prima.
Che cos’è Un paio di scarpe di Vincent Van Gogh se non un simbolo della
transitorietà, instabilità e fugacità della vita? Si vive in una condizione
provvisoria, precaria, mortale e da mattina a sera non si fa altro che
percorrere sentieri innumerabili, concreti e astratti, alla ricerca delle
risposte ai grandi misteri dell’esistenza: “Chi sono? Dove sono? Da dove
provengo? Dove sto andando?”. Le scarpe ci conducono in direzione di svariate
occasioni ed esperienze, con le quali tentare di sciogliere questi
interrogativi. Ma alla fine, proprio quando la soluzione sembra trovarsi
proprio sotto il nostro naso, non c’è più il tempo per pronunciarla, per
calzarla o attraversarla con le scarpe appena messe ai piedi.
Simbolo del viaggio nei meandri
di tali insolubili quesiti e della diversità di civiltà, idee, gusti e
prospettive nel tempo, Un paio di scarpe rappresenta
anche la spietatezza e la miseria della condizione umana. Costretto a camminare
senza sosta e senza fiato attraverso una strada la cui fine giunge come una
folgore, l’essere umano spera che altri, dopo di lui, possano scorgere sulla
medesima via le orme di chi è già passato.
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PENSIERI VISIVI
sabato 6 aprile 2013
L'equilibrato divenire
"Non importa la meta bensì la costante coscienza del viaggio, anche innanzi a ostacoli e code".
mercoledì 3 aprile 2013
L'eternità di ieri
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