- di Saso Bellantone
Ogni anno, alle prime luci dell’alba dell’8 marzo, il mondo si colora di rosa. Discoteche, night, ristoranti, pizzerie, pub, trattorie, bar, centri benessere, insomma tutti i locali pubblici si attivano per finalizzare la migliore illusione capace di attrarre il maggior numero possibile di clienti e in questo modo moltiplicare all’infinito i quattrini dei rispettivi proprietari. Le principali materie prime sfruttabili per questo scopo sono gli spogliarellisti, i disc jockey, i gruppi musicali, i piano bar, i karaoke, i menu chilometrici, le torte della grandezza pari al Pirelli, le rose, le mimose, le margherite, i regali, i gadget e le offerte di ogni genere relative a tutti gli spazi e le attività che costituiscono la nostra società. Tutto questo origina uno dei più assurdi capolavori del mondo contemporaneo, il cui scopo è il denaro: la festa della donna.
In questo giorno e soltanto per questo giorno, il gentil sesso si lascia abbindolare dall’ipocrisia, dalla finzione, dall’apparente dolcezza del popolo coi calzoni e perde molto volentieri il lume della ragione per dar sfogo alla follia, allo spreco, ai consumi, al delirio di onnipotenza, al desiderio dell’ignoto e della trasgressione. È un giorno terribile: vi è mai capitato, cari lettori, di entrare in un locale e di assistere per puro caso a una passata edizione della festa della donna? In caso negativo, provate questa esperienza.
Appena varcata la soglia che separa il mondo ordinario da quello dell’8 marzo, vi ritroverete in uno scenario infernale, apocalittico. Donne che s’ingozzano fino all’esplosione dell’apparato digerente; donne che schiamazzano delle volgarità mai udite; donne che cantano, ballano, fanno piroette, saltano e si strusciano addosso a qualche povero spogliarellista, vittima sacrificale in onore della dea Depravazione; donne che si spogliano, si ubriacano, si drogano, che salgono sui tavoli e si lanciano sulla massa…finché quella moltitudine di signore e signorine si accorge della vostra presenza, vi punta e vi sequestra per usarvi per i propri giochi folli e proibiti. Ci si sente piccolissimi di fronte a una bolgia simile: ognuna tocca, strappa, tira, stringe, si struscia, accusa, colpisce, urla, pretende la mimosa e ogni servizio possibile. Si finisce nel temere per la propria incolumità e si prega Dio in tutte le lingue conosciute, affinché liberi la propria mandria di Ippogrifi e restituisca il senno a questa calca di indemoniate.
Sì cari lettori. Ogni anno avviene qualcosa di simile ma non tutto il gentil sesso ragiona – o meglio, s-ragiona – in questo modo. Alcune decidono di passare una serata tranquilla con le amiche, magari cenando in casa o altrove, libere per una volta della solita presenza maschile. Si mangia, si scherza, si parla un po’ di gossip paesano, nazionale e internazionale e poi si torna alla vecchia vita. Naturalmente, vi è chi preferisce far finta di nulla e vive questo giorno come tutti gli altri. Infine, vi sono le donne che vivono l’8 marzo nel suo senso originario, vale a dire come un giorno utile per sensibilizzare l’opinione pubblica contro i maltrattamenti che la donna ha subito (e subisce tuttora) nel corso dei secoli. Perché per questo scopo si è scelta questa data?
Per ricordare una tragedia. L’8 marzo 1908, a New York, 129 operaie che protestavano contro le terribili condizioni cui erano costrette a lavorare, furono chiuse all’interno di una fabbrica e bruciate vive. In seguito, la politica Rose Luxemburg propose di concepire questa data come una giornata di lotta internazionale a favore delle donne. Così, dagli Stati Uniti si diffusero ovunque varie iniziative e associazioni che intesero l’8 marzo come un giorno della memoria ma anche come un giorno utile per manifestare, riflettere e proporre soluzioni utili per il riscatto della donna, il cui simbolo è la mimosa.
Nel 1946 l’UDI (Unione delle donne italiane) preparava il primo 8 marzo del dopoguerra. Le donne italiane pensavano fosse necessario scegliere un simbolo che racchiudesse il senso di questa giornata: dal momento che fiorisce proprio in questo periodo, decisero che l’allegra e morbida mimosa fosse adatta per questo scopo.
Ancora oggi la mimosa è considerata il simbolo della festa della donna. Quest’allegoria, però, ha un valore maschile anziché femminile. L’uomo usa regalarla alla donna per dimostrarle il ricordo, il pensiero, i sentimenti e così via e la donna, appresso all’uomo, si è abituata anche lei a concepire la mimosa in questo senso. Così, oggi la donna pretende dal proprio uomo questo fiore: se questi dovesse dimenticarsi, allora comincia la guerra.
La donna dovrebbe ricordare che la mimosa è un simbolo femminile, e cioè che questo fiore ha un significato relativo alla propria storia e al proprio futuro. Non si tratta di ricevere passivamente l’attenzione da parte degli uomini ma di esigerla attivamente in casa, al lavoro, ovunque. In questa prospettiva, che senso ha concepire l’8 marzo come un giorno nel quale fare esclusivamente baldoria? Dovrebbe essere inteso, piuttosto, come un momento utile a tutte le donne, per ricordare che è possibile edificare un mondo e un futuro diversi da quelli costruiti dagli uomini. Se fare cagnara è un atteggiamento prettamente maschile, il dialogo invece è una prerogativa che l’uomo ha imparato dalla donna. Se è vero che la donna è diversa dall’uomo, allora la smetta di pensare alla baldoria e si concentri più sul dialogo, altrimenti finisce per emulare quello che fa l’uomo e dimostra, in questo modo, di voler diventare un uomo anziché voler essere sempre più una donna.
In questo senso, auspicando un aumento di chi preferisce impiegare l’8 marzo per rinnovare il proprio impegno quotidiano nel difendere i diritti e le potenzialità intrinseche della donna, utili per cambiare in meglio la nostra società, auguro a tutte le donne un 8 marzo giudizioso.