- di Saso Bellantone
È possibile fermare il
tempo? Quante volte ci si pone questo interrogativo o si desidera
avere il potere di farlo. Il tempo… Questa eterea entità che,
essendo ovunque e in nessun luogo, condiziona la vita di singoli
individui, popoli, mondi. Il tempo scorre, spietato, fatale,
inafferrabile e inarrestabile. Dalla culla alla bara, il moto delle
sue lancette sembra sillabare, ora gravemente ora in modo lieve, le
parole che costituiscono il libro della nostra vita. L’ora…
Questa scheggia d’origine enigmatica è l’abc, l’essenza, il
fondamento nel cui mistero il tempo e l’esistenza s’incontrano e
si scontrano, manifestando e velando sincronicamente il linguaggio
arcano con cui leggere il tomo della nostra vita. Pensando a questi
attimi, tentiamo di rivedere e di interpretare nuovamente il senso
del nostro abitare una dimensione che non può essere compresa,
forse, finché non si soggiornerà altrove… Forse, appunto, perché
non sappiamo se tale possibilità di stazionamento altro sia
possibile. E questo, ci costringe a guardare ancora una volta, e
ancora e ancora senza distrazione alcuna, in direzione degli attimi,
del tempo, della vita finora oltrepassati, in cerca del senso del
nostro dimorare in questa dimensione di origine ignota. A volte si
prova nostalgia, altre volte rabbia, altre volte ancora si prende
carta e penna oppure tela e pennello e si ancorano i ricordi alla
nostra sbadata memoria, illusi di aver redento questi momenti
dall'incontenibile fluire del tutto, e di vivere in essi eternamente.
Forse è questo che ha
fatto Giorgio De Chirico. Rappresentando L'enigma dell'ora, si
è illuso consapevolmente di aver sottratto al tempo un unico istante
della propria esperienza realmente o psichicamente vissuta, per
viverci in eterno o, semplicemente, per tramandarla ad altri. Vi è
una piazza, degli archi, delle scale, un ballatoio, un orologio e una
fontana immobili, e tre figure. La prima sembra fotografare
l'orologio, la seconda è sotto un arco e osserva il comportamento
della prima, la terza è al di sopra delle altre due ed è affacciata
dal ballatoio in direzione opposta rispetto al primo piano del
dipinto. Chi è De Chirico? La prima, la seconda o la terza figura?
Forse tutt'e tre, forse nessuna delle tre. In ogni caso, ognuna è
collegata alle altre e agli altri elementi del dipinto, ed è
determinante per comprendere l'intento del pittore. De Chirico
rappresenta il tempo, nel momento stesso in cui è fotografato,
arrestato (l'ora), proprio perché la sua intenzione è di ritrarre
ciò che, indirettamente, sta accadendo nell'atto stesso del
rappresentare, fotografare, arrestare, osservare, vale a dire ciò
che diviene, si evolve, fluisce pur trovandosi nella fissità e
immobilità della rappresentazione. Che cosa può scorrere, muoversi,
svilupparsi nella stabilità e immutabilità dell'attimo della
rappresentazione, se non il pensiero? Ne L'enigma dell'ora, De
Chirico propone, in maniera figurata, un'immagine del pensiero
nell'atto stesso del pensare, manifesta, cioè, il pensiero che
pensa, che si domanda ciò che è chiesto dalla/ciò che si chiede
nella rappresentazione: può essere fermato il tempo? La risposta è
nell'ora, nell'attimo.
Malgrado l'illusorietà
della rappresentazione, il tempo non può essere fermato. È
possibile però strappare ad esso un attimo, nel quale tutto, in
quanto è immobile, statico, immutabile, è più chiaro, definito,
comprensibile. In questo attimo di chiarezza si spalanca un tipo di
tempo diverso da quello cronologico: il tempo cairologico.
Quest'ultimo, svincolato dalla legge della continuità alla quale
invece quello cronologico è legato, è un tempo dell'occasione, del
momento propizio che occorre cogliere prima che passi in un battito
di ciglia, per carpire ciò che si manifesta all'interno di esso.
Cogliendo quest'attimo in cui si apre il tempo cairologico, si scopre
che al suo interno si manifesta un enigma, cioè quello del tempo
stesso: può essere fermato il tempo? Per rispondere a questo
interrogativo, occorre sostare nel tempo cairologico stesso,
nell'attimo (la piazza, l'agorà, il classico luogo del pensiero) e,
risalendo all'essenza dell'enigma (le scale e gli archi, simboli di
una ricerca metafisica degli enti), pensare a una soluzione. Il
dimorare nell'attimo cairologico offre la possibilità di pensare. Il
pensiero, tuttavia, in cerca di una spiegazione all'enigma, si
imbatte in un nuovo rompicapo, fondamentale per rispondere a quello
precedente: che cos'è il tempo? È questo il quesito che si pone la
figura sul ballatoio e, nel porsi tale interrogativo, si sta
chiedendo qual è l'origine, il fondamento, l'essenza del tempo.
Soltanto rispondendo a questa domanda può risolvere l'enigma, vale a
dire sapere se il tempo può essere fermato oppure no. Il dipinto di
De Chirico, dunque, cerca una soluzione a una domanda metafisica per
poter poi rispondere a un'esigenza antropologica: cioè, quella della
vita eterna. Perché che altro è la domanda intorno alla possibilità
di fermare il tempo in un instante, se non quella intorno alla
possibilità di vivere eternamente? De Chirico pensa a questa
possibilità, esprime questo desiderio ma sa che quest'ultimo resta
soltanto un sogno finché non si conosce l'essenza del tempo.
Innanzi a questo
imperscrutabile mistero, non resta altro, finché si è in vita, che
immortalare nella propria memoria – o sulla carta o sulla tela per
tramandarli ad altri, come ha fatto lo stesso Giorgio De Chirico –
quegli attimi, ora tristi ora felici, già vissuti. Rivedendoli e
reinterpretandoli, si ha la possibilità di svincolarsi dal tempo
cronologico e di accedere in quell'altro tempo, cairologico appunto,
dove, per mezzo di quegli istanti, si può pensare ai grandi dilemmi
del mistero dell'esistenza, compreso quello sul senso della
temporalità e della mortalità, e si possono esprimere i desideri
più reconditi, come quello di vivere in eterno in attimo che è già
stato. Forse non si troverà risposta alcuna o forse se ne
troveranno talmente tante da ritrovarsi più confusi di prima.
Ciononostante, custodendoli nella memoria, ci si può illudere di
vivere già in eterno in quegli istanti, proprio perché,
ricordandoli, li si ha già liberati dal tempo e assieme a loro,
forse, si è liberato anche se stessi.