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giovedì 6 marzo 2014

Pensieri visivi: VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA di Caspar David Friedrich


- di Saso Bellantone
Duemila piedi al di là dell'uomo e del tempo. Appoggiato al suo bastone, un uomo osserva il paesaggio circostante. Montagne. Nuvole. E nebbia. Mari di nebbia. È l'offuscamento che coinvolge l'essere umano e il mondo che abita... C'è pace, quassù. Qua sopra, in solitudine, è tutto diverso. Tutto sembra avere forma, definizione, ma non un perché. Neanche la solitudine stessa. L'essere umano si imbruttisce, degenera, si corrompe. Altera il mondo in cui vive, lo guasta, lo avvelena principalmente con la sua presenza, poi con i suoi concetti. Con le sue idee. Con i suoi sogni più remoti. Crede di poter dominare gli elementi, la materia e l'antimateria, invece non riesce a governare neanche se stesso. Secoli, millenni di evoluzione, di storia, ma ad ogni passo diventa più bestiale del passo precedente. Sempre più assoggettato ai propri istinti, narcisistici e di continuazione delle specie. Si camuffa da supereroe, giustiziere, redentore e garzone, mentre dentro di sé cura con estrema meticolosità il germe del capitalista, dell'arrogante, del tiranno. Ama sfruttare il pianeta, cedendo ai posteri le sfide per la sopravvivenza. Ama approfittare degli altri, per instaurare il proprio egoistico impero. Nato dal caso o dal nulla, attraversa il sentiero degli istanti edificando sulla polvere il proprio dominio provvisorio. Ma di quale regno l'essere umano crede di essere il sovrano? Della precarietà? O soltanto delle proprie egocentriche allucinazioni? Con il lessico della guerra, della violenza, della potenza, rende il mondo un baccano di voci stridenti dal dolore e dalla morte. Urla, che piegano la coscienza come ferro impotente sotto i colpi del martello dell'inevitabilità. Sono irrefrenabili queste grida. Fanno male, perché sono il frutto della banalità della vita. Vita, troppo presa alla leggera, intesa come un gioco oltre misura, fuori da ogni limite, finché non si cozza contro quel muro, la morte, dal quale non è più possibile cominciare il gioco da capo... Ma quassù c'è pace. Si sta bene. Niente grida, niente abusi né speculazione. Qua sopra non esiste sovranità alcuna, se non quella del silenzio e della solitudine. Qui tutto è trasparente, bello, malgrado la tragicità del panorama. Qui la voce della coscienza, come se fosse diventata un tutt'uno con lo scenario circostante, parla chiaro. Non siamo altro che nebbia, isolate bolle di fumo in cerca di una giustificazione o di un dio, destinate a diradarsi alla prima luce del sole.
Nel Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich rappresenta quel che vede l'uomo della conoscenza dall'alto delle vette del pensiero. Sostenendosi alle conoscenze del momento e alle residue forze rimastegli, lo scenario che scorge è la nebbia, la fugacità e transitorietà delle cose. Anche la sua. Tutto appare privo di senso, ingiustificato, superfluo. Il mondo, l'umanità, la storia, l'accadere sembrano sprovvisti di una traiettoria nascosta, di una meta ultima portatrice del significato della vita. Vagando solitario tra le domande che lo affannano, l'essere umano incontra l'impossibilità, l'assenza di una risposta. Vede il fluire continuo delle cose e il loro imperturbabile divenire e si quieta. Sì, trova la pace. In fondo, l'insensatezza e l'informità dell'essere ha già un senso: il suo mero apparire, effimero e sublime. C'è del bello nell'accadere, ed è la malinconia della fugacità. Tutti gli enti riecheggiano tale tristezza ma soltanto l'essere umano l'ha dimenticata. Per questo motivo si angustia rendendo ogni sfera della vita una trincea senza fine. Anziché deturparsi diventando un soldato per nulla, l'essere umano dovrebbe riappropriarsi di questa amarezza, di questa bellezza, perché essa è la strada l'etica e la ragione. Come l'osservatore del dipinto, occorre fermarsi e contemplare l'esistente, scorgere quel frammento che accomuna gli enti: la mortalità. Soltanto così dal finito può nascere l'infinito e, come nebbia, aprirsi per lasciare che le cose dischiudano la propria verità. Dio, nulla, l'autenticità dell'esistente può essere garantita da entrambi. Anziché distorcersi con i mostri partoriti dalla sua follia, l'essere umano dovrebbe soltanto custodire questo segreto assieme ai suoi simili.

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