Disoblio ti augura un buon Natale...
IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.
mercoledì 25 dicembre 2013
martedì 24 dicembre 2013
Non tutto è ciò che è, ma ciò che sembra
lunedì 23 dicembre 2013
OLTREWEB: Homo consumante e consumato
- di Saso Bellantone
Buon meriggio
web,
il Natale è
alle porte e come ogni anno ti prepari a passare questa ricorrenza
come di consueto, vale a dire dando fuoco alle polveri rimaste dei
tuoi risparmi e del tuo essere. I lunghi dodici mesi nei quali hai
dovuto disperatamente sopravvivere sono ormai trascorsi e adesso puoi
distenderti, puoi perderti nel labirinto di negozi e supermercati per
trovare doni costosi e inutili per ogni parente e amico e per
imbandire lussuosamente la tavola di tutti quegli alimenti e pietanze
che, com'è consuetudine, finiranno nella pattumiera.
Non è una
questione di apparenza. So che non vuoi darti a vedere. È una
tradizione. Un rito. Nel corso di ogni festa o ricorrenza occorre
abbondare, eccedere, dilapidare tutto ciò che si ha affinché il
Sole, passando per la porta degli dei, compia un nuovo giro e
consenta alla natura di rinascere e di offrire in maniera gratuita e
oltre misura tutti i beni e i prodotti necessari alla vita... e
all'essere umano.
Gli antichi
sapevano questo. Infatti ogni anno sciupavano tutti i beni posseduti,
per assicurarsi il favore della Dea Madre e ottenere in cambio un
numero di beni maggiore di quelli distrutti, consumati, sprecati.
Ma tu, mio
caro web, che sai benissimo che è la Terra a girare intorno al Sole
e che è grazie a questo moto di rivoluzione che accadono le
stagioni, dal cui mutamento sono causati i beni e i prodotti
naturali, per quale motivo ogni anno, puntualmente, così come
facevano i tuoi antenati, continui a distruggere, a consumare, a
sprecare tutto quello che hai, anzi, tutto quello che ti è rimasto?
Perché è
un'usanza? No. Perché trovi godimento o giovamento nel farlo? No. E
allora perché? Perché ti è rimasto soltanto questo? Vale a dire
distruggere, consumare, sprecare? Sì.
L'essere
umano si è ormai arroccato nell'homo consumans e non ha più
intenzione di procedere oltre nella propria scala evolutiva. Anzi,
non ci riesce. La crisi dell'economia stivalica, continuamente
mascherata dai mass-media nel paese delle meraviglie ma vissuta
realmente e dolorosamente dalla gente, ha cancellato ogni speranza,
ogni possibilità di uscire dal circolo vizioso del consumo. Manca il
lavoro, le aziende chiudono, gli enti non assumono, i giovani sono
sfruttati senza contratto né stipendio alcuno e abbandonati con un
semplice “grazie, ti faremo sapere”, gli anziani rubano gli
alimenti abbandonati nei mercati di periferia, le tasse aumentano e
si moltiplicano, e nessuno tra politici e potenti trova il coraggio
di dire basta a questo sistema di bancarotta perfetta, di continuo
indebitamento eurunitario, di interminabile spopolamento dello
Stivale, per morte ed espatrio.
Già.
L'essere umano è fermo, statico nel suo volto consumante e
consumato, senza miracoli, né speranze né paradisi artificiali.
Consumato dai prestiti, per pagare casa, bollette, figli, benzina,
ossigeno e quant'altro rientri nella vita sociale. Consumato dalla
consapevolezza che non riuscirà mai a fare pari in bilancio
tantomeno ad essere un domani in attivo. Consumato dal demone
collettivo che lo spinge imperterrito a consumare ogni fuggevole bene
e servizio, obbligatorio ormai per il proprio sostentamento, per
scansare l'estrema ratio di finire sotto un ponte, in gattabuia o tra
le braccia della Dama Nera, come accaduto a tanti altri conterranei.
Ora capisco,
mio caro web, perché continui a distruggere, a consumare, a sprecare
durante ogni Natale, Santo Stefano e Capodanno. Perché sai fare
soltanto questo. Perché ti è rimasto soltanto rovinare, dissipare,
buttare via quello che non sarà mai tuo bensì del tentacolo del
Grande Leviatano del Nord, o del Leviatano stesso, o del dio che lo
comanda, o della casta sacerdotale che sovrintende a tale dio.
E allora
consuma, mio caro web! Distruggi, spreca, dilapida, dissipa,
sgretola, logora tutto ciò che non è tuo. Finché puoi farlo.
Domani, non
potrai fare nemmeno questo.
Medita web,
medita...
pubblicato su Cmnews.it
http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/homo-consumante-e-consumato/
pubblicato su Cmnews.it
http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/homo-consumante-e-consumato/
venerdì 20 dicembre 2013
L'ARTE PERIFERICA: intervista a Serena Sinopoli, voce dei THE SICK DOGS
- di Saso Bellantone
Serena
Sinopoli proviene dalla provincia di Reggio Calabria ma per
continuare a soddisfare le sue esigenze artistiche e musicali ha
scelto di vivere a Cosenza. Da circa due anni ha scoperto la musica e
ha iniziato nel 2010 con un gruppo jazz\bossa fino a ritrovarsi tra
le mani il progetto più interessante della sua esperienza musicale a
cui dedica gran parte del proprio tempo, i THE SICK DOGS. “È
un
progetto nato nell’aprile 2011 quasi per caso, e proprio il caso ha
deciso di unirci, in una visione della musica così ampia, che ha
dato vita (come ho rilasciato nell’ultima intervista) ad
un genere musicale indefinito ma al tempo stesso chiaro. La prima
regola che ci siamo posti è di non prefissarci generi musicali,
sperimentare
ma senza troppi eccessi di libertà musicale o virtuosismi di genere
che, non possono che uccidere la musica come essenza, senza
rispettare chi ti ascolta”.
Come
ti sei avvicinata alla musica?
Inizialmente
ho assorbito (come gran parte di noi) la musica all’interno del
nucleo familiare che mi ha sempre indirizzato verso un certo tipo di
ascolti, jazz, fusion, Blues e quant’altro, che ha influito
tantissimo nel modo di esprimermi. La mia indipendenza musicale mi ha
spinto a ricercare sonorità più varie e tendenzialmente più Rock:
Progressive, Rock&blues, PostRock e contaminazioni.
Che
cos'è la musica?
È
un’esigenza… forse una “filosofia” messa in pratica.
Cosa
pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica, sia a
livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Viviamo
un’epoca in cui la musica non ha più uno scopo prettamente
sociale… perché dovrebbe? Guardandoci intorno ognuno “cura il
proprio giardino”. Gli stessi brani evidenziano tale sentimento
intimistico risaltando gli aspetti più tormentati derivanti da
domande irrisolte che facciamo a noi stessi e alla vita. Gli usi
della musica non sono abbastanza caratterizzanti in quanto,
inconsciamente “scimmiottiamo” un po’ tutti, ciò che è già
esistito e che esiste… inevitabile in un’era di bombardamenti di
rete, televisivi, e via dicendo.
I
Greci impiegavano il termine “poiein” per significare
“creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è
trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano
per esempio , la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se
stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce
il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire i brani
dei Sick Dogs“poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno
del termine?
Li
definisco descrizioni di stati d’animo ignoti, “domande su
domande irrisolte”, viaggi di parole, anche insensate, che
acquisiscono valore dentro la metrica, che pian piano si evolve in
ritmo e comincia a prendere forma attraverso il suono!
Qualsiasi
attività che concerne l’uso del corpo è una sorta di sfogo, un
sollievo che esorcizza le nevrosi che l’essere umano accumula
inconsciamente… Perciò il canto è una terapia, che, essendo uno
dei fenomeni naturali più affascinanti, ho deciso di perfezionare,
sia per me stessa sia per chi mi ascolta affinché sia chiaro il
messaggio che voglio comunicare.
Che
cosa raccontano i brani dei The Sick Dogs?
La
maggior parte dei brani sottolineano aspetti esistenziali (come
nei brani:
IL
DILETTO DEI TAUMATURGHI, STASI, DREAM),
attimi
di vita
(CORNICE E PRESENTE) e
(come già scritto nella precedente risposta) stati d’animo che nel
linguaggio di tutti i giorni, sarebbe difficile spiegare o quasi
impossibile, perciò subentra, nel testo, un gioco di parole e
aggettivi che possono avvicinarsi alla descrizione di tale impulso.
Ovviamente non tutti i brani si concentrano su “tali stati
d’animo”, capita che ci sia un personaggio (GREGOR:
riferimento al personaggio kafkiano),
una storia (LUPAE:
storia
di una prostituta dell’antica Roma che confessa i suoi sentimenti
alla luna),
un elogio ai grandi pensatori (PREGHIERA:
elogio a Platone e al mondo classico).
Una
musicista può sentirsi tale senza i pubblici?
Certo!
Ma il pubblico è donatore di energia, necessaria ad un musicista per
una maggiore rendita artistica.
Che
cosa significa oggi vivere come un musicista e vivere esclusivamente
della propria musica? Quali sacrifici comporta accettare questo
incarico, questa missione?
La
musica è un grande dono! Ma purtroppo sacrificio e missione sono le
parole con cui devi fare i conti tutti i giorni:
SECONDO
PUNTO sono LE SPESE (sala
prove, autoproduzione di cd, di gadget, cambio corde chitarra,
manutenzione degli strumenti ecc…);
TERZO
PUNTO è quello più comune (lavorare
quà e là il più possibile accontentandoti di poco per mantenerti i
bisogni primari:
bollette,
alimenti, affitto ecc…).
Al
momento siamo attivi a Cosenza ma vorremmo far girare il più
possibile la nostra musica viaggiando… Spero sia possibile al più
presto!
Puoi
definirti una sognatrice? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Faccio
già quello che avrei voluto fare da tempo! Dedicarmi alla musica.
Per adesso va bene così…
Chi
vuole saperne di più su di te e sui The Sick Dogs, dove può
rivolgersi?
Come
primo contatto consigliamo la nostra pagina facebook “THE SICK
DOGS” dove potrete trovare tutte le news sulle prossime date ma
soprattutto sull’uscita del nuovo videoclip, e del nuovo ep
CORNICE, che sarà possibile reperire tramite i nostri contatti
facebook. Per ascoltare il nostro primo ep “THE SICK DOGS”
visitate le piattaforme musicali REVERBNATION, BANDCAMP, SOUNDCLOUD
(digitando il nostro nome)! Anche sul nostro canale di YOUTUBE avrete
la possibilità di ascoltare qualche nostro brano (live,
registrazioni in studio, videoclip).
Alcune
parole per i giovani.
Qualsiasi
cosa è possibile! Chiedetevi cosa vorreste fare nella vita e non
pensateci due volte per farlo!
Etichette:
ARTE PERIFERICA
mercoledì 18 dicembre 2013
Andirivieni contingente
"Nella vita non esiste viaggio di sola andata, tutto ritorna: le buone azioni, quelle cattive, il suo viso, un'idea".
martedì 17 dicembre 2013
La simpatia dell'incomprensione...
martedì 10 dicembre 2013
A volte, l'ignoranza è un bene
lunedì 9 dicembre 2013
OLTREWEB: C'è un Mandela dentro di noi?
- di Saso
Bellantone
Buon meriggio
web,
la scomparsa
di Nelson Mandela avvolge una fascia in segno di cordoglio nel tuo
braccio. Una fascia nera. Nera come il colore della pelle per la cui
libertà Rolihlahla – il nome datogli alla nascita, che significa
“colui che provoca guai” – si è sempre battuto, fondando
associazioni, movimenti, uffici legali e finendo persino dietro le
sbarre. Mandela sarà sempre ricordato per i guai causati ai
promotori e sostenitori dell'apartheid, quella forma di governo cioè
basata su alcune prerogative. Separazione tra bianchi e neri in zone
differenti, territoriali e pubbliche; proibizione della sessualità
promiscua, dell'accesso in precise zone urbane, se non per mezzo di
passaporti speciali, o dell'uso di determinate strutture pubbliche;
messa al bando di ogni opposizione comunista; obbligo della
registrazione per razza; discriminazione lavorativa; confinamento nei
ghetti. Mandela è stato un esempio di libertà per molti
connazionali, con i quali, persino dietro le sbarre e nei campi di
battaglia, è riuscito a far crollare tale regime e ad instaurare nel
Sudafrica non soltanto la democrazia, ma anche l'uguaglianza tra gli
esseri umani, indipendentemente dal colore della pelle, e la libertà.
Anzi, le libertà. Oggi tutte le proibizioni, i divieti, le
prescrizioni e gli obblighi sopra citati non ci sono più... in
Sudafrica. Ma nella democrazia planetaria, oggi, può dirsi lo
stesso?
Guardandolo
con occhi altri, il globo sembra essere un Apartheid
economico, suddiviso
cioè tra chi ha i soldi (celebrità, autorità, potere) e chi non ce
li ha. I primi sono liberi, specialmente dal lavoro, i secondi sono
schiavi, soprattutto del lavoro. I ricchi sono proprietari: di case,
terreni, aerei, treni, navi, aziende, banche, partiti, canali
televisivi, radio, giornali e persone. I poveri non possiedono
nemmeno se stessi. Infatuati subliminalmente dallo stile di vita dei
primi, inoculato nella loro psiche e nel loro inconscio per mezzo
degli strumenti di comunicazione di massa, i poveri sognano di
diventare dei ricchi e di imitare questi ultimi in ogni livello della
società.
Di abitare
nei luoghi “dei” ricchi, in ville sfarzose o case talmente
accessoriate, ecologiche e tecnologiche a un tempo, da evocare quelle
lette nelle pagine o viste nelle pellicole dei maestri della
fantascienza. Di sposarsi “tra” ricchi, con cerimonie
lussuosissime e privatissime svolte in castelli medievali, antichi
templi e monasteri o in isole felici sperdute nell'oceano, nel
deserto o nelle più alte vette del globo. Di frequentare i locali
“dei” ricchi, come i bilionaire, gli attici, i privè, le sfilate
di moda, le serate di gala, i casinò, i camping, le spiagge, i
ristoranti, i villaggi e i negozi creati dai ricchi per i ricchi. Di
accedere alle prime classi di aerei e treni, di entrare negli stadi e
nelle strutture pubbliche per mezzo di accessi riservati. Di guidare
costosissime automobili e motociclette. Di possedere le tecnologie
più recenti. Di vestire capi firmati. Di diventare, insomma, dei vip
a tutti gli effetti, aventi cioè tanti soldi, che è uguale ad avere
tanto successo, che è uguale ad avere tanta influenza nelle stanze
dei bottoni di ogni dimensione della nostra società, che è uguale
ad avere potere.
Imbambolandosi
con queste fantasticherie, i poveri non si rendono conto di aspirare
ad emanciparsi da se stessi, cioè da quell'unico elemento che li
tiene ancorati a quell'idea di umanità e di buon senso che li
contraddistingue e li fa essere, ognuno, unici: la povertà.
Che
significato ha l'attuale scaldarsi per essere tutti (di nuovo)
benestanti? Un'uguaglianza economica, e cioè l'avere tutti quanti un
conto in banca illimitato e imperituro, può forse risolvere
definitivamente i reali problemi nei quali si è coinvolti? I
malanni, le deformità, le imperfezioni genetiche non dovrebbero
essere curabili o correggibili gratuitamente? Le attività e le
pratiche inquinanti, con le quali uccidiamo il pianeta, non
dovrebbero essere sostituite da condotte ecologiche, a tutela di
esso? Le calamità naturali non dovrebbero essere previste e
prevenute? Internet, il cellulare, l'energia elettrica, l'acqua
potabile, il carburante, l'igiene cittadino, la salute, l'istruzione,
la formazione continua, la pensione, un tetto sotto il quale abitare,
ristorarsi, recuperare le forze e condividere il tempo che resta con
le persone che si ama e da cui si è amati, non dovrebbero essere
fruibili gratuitamente da tutti per diritto? Senza tassazione alcuna?
L'essere umano non dovrebbe avere per diritto naturale un lavoro col
quale sentirsi parte della comunità nella quale vive? I mezzi
pubblici non dovrebbero essere gratuiti per tutti? E se così non è
possibile, l'azienda non dovrebbe decurtare dalla busta paga le spese
che l'impiegato o l'operaio sostiene per andare a lavorare? Lo Stato
non dovrebbe conteggiare le spese a cui il disoccupato fa fronte per
trovarsi un lavoro o affrontare un concorso? L'Iva, l'Irpef, l'Inps,
le spese di registrazione, di gestione, di invio e ricezione
documenti, di assicurazione, di bollo, non dovrebbero essere
aboliti? L'essere umano non dovrebbe nascere senza problema economico
alcuno?
No, mio caro
web, non è essendo tutti quanti dei vip che è possibile affrontare
questi problemi, perché avendo le tasche piene si baderebbe soltanto
alla fama, al successo, al potere e alla differenziazione in classi,
conseguente, tra chi ha soldi e chi non ne ha. Perché per essere dei
vip, è necessario che qualcuno non lo sia. E ciò vuol dire che
occorre che qualcuno sia squattrinato, sventurato, povero e pazzo,
affinché qualcun altro sia benestante, fortunato, ricco e potente.
È
preferibile che siano tutti quanti in rosso, in bancarotta,
nullatenenti, per accorgersi di quei problemi e per accorgersi che
tante di quelle tassazioni non hanno diritto ad esistere. Sono
soltanto delle invenzioni per creare distinzioni sociali, gruppi,
divisioni tra ricchi e poveri, vip e sconosciuti, potenti e
impotenti.
Possibile,
mio caro web, che, malgrado non si sia ancora diventati tutti poveri,
non ci sia un Mandela dentro di noi? Possibile che nessuno si sia
accorto dell'Apartheid
economico nel quale
viviamo e nel quale siamo costretti? Possibile che non ci sia nessuno
che affermi “Non importa quanto stretto sia il passaggio/quanta
piena di castighi la vita/, io sono il padrone del mio destino;/io
sono il capitano della mia anima”(Invictus,
di W. E. Henley), e che si batta per la giustizia? Per il diritto ad
abitare questo mondo, sgravati dal peso delle diaboliche invenzioni
umane in vista del potere?
Riposa
in pace, Nelson, per un po' di tempo. Riposa in pace, e rinasci. Urge
un Rolihlahla per il pianeta. Noi, “neri” dell'Apartheid
economico,
abbiamo bisogno di “qualcuno che provochi guai”. Per il nostro
bene.
Medita web, medita...
pubblicato su Cmnews.it
venerdì 6 dicembre 2013
Pensieri visivi: LA FIUMANA di Giuseppe Pellizza Da Volpedo
- di Saso Bellantone
Contadini,
pastori, pescatori, fabbri, maniscalchi, muratori, calzolai,
panettieri, vetrai, ceramisti, mercanti, sarti, camerieri, badanti,
maestri, suonatori... È
interminabile la fila di lavoratori che si tenta di elencare.
Lunghissima.
È più facile esporre “chi” c'è dietro tutte quelle
professioni. Uomini e donne. Bambini e anziani. Indossano abiti
semplici, sporchi e logori. Gli unici che possano permettersi.
Trattati con cura, malgrado le macchie e gli strappi, perché non
possono comperarne degli altri. Sono poveri. Senza avere alcuno.
Vivono alla giornata, dormono dove capita. Svolgono qualsiasi
attività consenta loro e ai propri cari di sopravvivere un giorno
ancora. Non hanno sogni né aspettative. Resistono, fieri nella
sofferenza, aiutandosi gratuitamente tra di loro. Specie innanzi alle
crudeltà dei ricchi.
Odiano i ricchi. I ricchi hanno
tutto. Non lavorano mai. Hanno gli abiti più costosi, usati una
volta sola e poi gettati. Hanno soldi, case, terre, tecnologie,
tutto. Vivono alle spalle dei poveri, serviti e riveriti sempre,
dall'alba al tramonto. Non lavorano mai e insegnano ai propri figli
di fare lo stesso. Sono i proprietari dei sogni e sperano, anzi,
fanno di tutto per poter ampliare la propria fortuna con il minimo
sforzo. Impartiscono ordini, voltafaccia e ipocriti, e non aiutano
nessun altro. Nemmeno del proprio rango. A meno che non debbano
ingrossare domani il proprio tornaconto, la propria ricchezza e
autorità, contate sulle teste dei poveri che hanno, e avranno.
La
fiumana
di Giuseppe Pellizza De Volpedo fa pensare al passato, e spinge a
chiedersi se quest'ultimo sia passato davvero oppure stia ritornando.
C'è stato un momento in cui si credeva di cancellare definitivamente
la povertà dalla faccia del pianeta, invece la povertà è
ricomparsa e, con essa, è tornata la separazione nelle classi degli
abbienti e dei nullatenenti. Tale diversificazione però, rispetto a
quelle passate, nella cornice della globalizzazione di tutti i
comportamenti e le dimensioni umane, sembra essere fatale. Decisiva.
Ultima. Sembra proporsi come la base di un nuovo ordine mondiale, nel
quale i primi, ora e sempre, comandano, e i secondi, ora e sempre,
obbediscono.
Le
multinazionali e le banche tengono sotto scacco gli Stati,
decidendone le sorti con semplici click e costringendoli a peripezie
economico-finanziarie per restare a galla. Tali manovre prevedono un
aumento continuo delle tasse, che si ripercuote sull'economia
statale, decretando un aumento del costo della produzione e del
consumo dei beni e dei servizi, e una diminuzione della moneta in
circolo. La gente evita di spendere, riduce le spese il più
possibile. Per assicurarsi il pagamento di tasse, mutui, prestiti e
finanziarie, compra l'essenziale, quei prodotti cioè necessari per
il sostentamento. Il superfluo è scansato accuratamente e, malgrado
le speranze di venir fuori un domani da tale circuito
d'indebitamento, la gente continua a indebitarsi, a fare nuovi mutui,
prestiti e finanziarie per pagare le tasse, e sopravvivere.
Le
aziende chiudono: per il medesimo problema; per i crediti che non
riscuoteranno mai; per il costo del lavoro; per l'IVA, l'INPS, il
CCNL e quant'altro. Gli operai vengono licenziati. Gli enti pubblici
subiscono drastiche riduzioni del personale, comportando un
peggioramento dei servizi. I giovani, neolaureati e professionisti,
espatriano, dopo l'illusione di contratti a progetto o a tempo
determinato, reali e fittizi, dal quale non ne hanno ricavato nulla,
fuorché l'aver fatto un favore alle aziende ed essere mandati a casa
con un semplice grazie. Gli anziani non arrivano al giorno 10 di ogni
mese. Gli immigrati fuggono dalla morte per trovarne una nuova. Si
perde il lavoro, la casa, la famiglia, se stessi. Si impazzisce. Si
diventa criminali, consapevolmente, perché il
dio-denaro-multinazionale-banca non propone alternativa alcuna per
restare onesti.
Innanzi
a tale implosione generale interna, gli Stati chiedono fondi a banche
centrali e ad enti internazionali per il credito, aumentando a loro
volta, da un lato, il debito pubblico che mai riusciranno a
estinguere, dall'altro lato l'implosione stessa. I politici, in
ultima istanza, fingono di operare, di assumere delle posizioni e
delle scelte a favore della gente, assicurandosi, alla fine, che
tutto resti uguale a prima, vale a dire nella forma con la quale sono
giunti al potere e all'aspettativa di radicarsi nel ceto degli
abbienti, dei potenti della terra.
La
povertà è tornata, e all'orizzonte non si vede modo alcuno per
contrastarla, per combatterla. La gente è ormai disperata e
rassegnata. Ha paura di ribellarsi perché sa che sarà presa a
manganellate, incarcerata o trucidata senza battito di ciglia alcuno
di altrettanta gente in uniforme, costretta a fare il proprio dovere,
per non essere manganellata, incarcerata o trucidata anche lei. È la
fine. La falsa democrazia ha condotto alla catastrofe: un orrendo
totalitarismo del mercato, nelle mani di pochi ricchi.
Il
futuro è già segnato e molti ancora non lo sanno. Non sanno che li
spetta tornare nuovamente alla condizione rappresentata da La
fiumana.
Poveri contro ricchi. Poveri, ma stavolta senza speranza di riscatto
alcuno dalla propria misera esistenza.
Etichette:
PENSIERI VISIVI
mercoledì 4 dicembre 2013
Nuovo realismo
"C'è un solo modo per uscire dal labirinto delle idee... radicarsi con più forza nelle profondità della terra".
martedì 3 dicembre 2013
Dispendio senza meta
lunedì 2 dicembre 2013
OLTREWEB: Vittima sacrifi-sconi
- di Saso
Bellantone
Buon meriggio
web,
dopo
una pausa durata anche troppo, la rubrica OLTREWEB torna, richiamata
prepotentemente dalla strana aria che si respira in questi giorni. Ha
il profumo di cambiamento, di metamorfosi, quest'aria. È provocata
da una crisalide che improvvisamente ha deciso di trasformarsi in
farfalla, per volare nel cielo di ogni singolo individuo e difenderne
i diritti fondamentali. Per diventare tale, però, tale ninfa aveva
bisogno di una vittima sacrificale e sembra l'abbia trovata.
Decidendo la decadenza de l'uomo-che-chiede-il-consenso,
la crisalide-Parlamento sta facendo la storia. Si sta purificando di
tutti i mali della politica stivalica ereditati, per chiudere una
pagina (lunga, ahinoi!) della storia politica dello Stivale e di
aprirne una nuova. Ella va verso un nuovo inizio, con il quale
tornare (o cominciare?) a occuparsi seriamente della cosa pubblica,
del bene comune, dello Stato. Ciò perché lo Stato (cioè l'insieme
dei cittadini e del patrimonio mobile e immobile stivalico) soffre.
Sta morendo. E una tale mutazione, generata con il sacrificio umano,
è divenuta necessaria. Doverosa. Inevitabile.
Difatti: gli imprenditori si suicidano. Gli operai vengono
licenziati. Le aziende chiudono. Le attività commerciali dichiarano
fallimento. I giovani espatriano. I pensionati lavorano in nero. I
disoccupati non sanno dove sbattere la testa. Gli inoccupati invece
sanno di doverla picchiare nel muro della disperazione e della morte
certa, non fosse per le associazioni umanitarie e religiose, famiglie
comprese (associazioni non riconosciute, i cui sacrifici non sono
applauditi da nessuno), che danno loro un pasto caldo e un tetto in
cui dormire. Chi fortunatamente lavora ancora, non sa come pagare le
tasse, che aumentano di continuo, né come arrivare a fine mese. I
figli (fortunato chi va ancora a scuola o all'università) diventano
criminali. Si drogano, bevono, spacciano, si prostituiscono, sicuri
di non avere futuro alcuno. Gli immigrati, senza alternativa nel loro
paese d'origine, muiono, o vengono rispediti a calci al mittente, in
spregio alla carta dei diritti fondamentali dell'uomo...
Sì. C'era proprio bisogno di questa mutazione e di questo
sacrificio. È giunta l'ora di rimboccarsi le maniche e di lavorare
per davvero, per ridare un po' di speranza a chi non ne ha più.
Ma sarà proprio così? Il Parlamento stivalico o, meglio, la
politica stivalica ha realmente deciso di darsi da fare? Di operare
PER la gente?
Il profumo di cambiamento che si respira nell'aria è forte, sì, ma
tale intensità sembra celare un cattivo odore, sembra puzzare.
Sembra si tema il malcontento generale che ormai è diventato una
bomba ad orologeria che potrebbe minare dalle fondamenta la
Repubblica stivalica. La gente (sopra sintetizzata, e anche
malamente), potrebbe ribellarsi davvero. Potrebbe scagliarsi contro
la politica stivalica, prenderne brutalmente il posto e fare quello
che non è stato fatto finora.
È
possibile, dunque, che la politica stivalica abbia sacrificato
l'uomo-che-chiede-il-consenso
per salvare il salvabile? Per salvare se stessa? È possibile che le
scissioni di partito, la nascita di nuovi, il cambio di segreteria,
le nuove alleanze siano da intendere in questo senso? È possibile
che dopo Cesare, Robespierre, Bettino Craxi, il Parlamento abbia
deciso di offrire una vittima sacrificale per mantenere il proprio
potere? Per illudere la gente che adesso è l'ora della giustizia?
Della legalità? Della trasparenza? E nel frattempo riassemblare gli
equilibri e continuare a occuparsi degli interessi personali,
assicurandosi ora il mantenimento dello Stivale nella zona-Leviatano
per poi riscuotere pacchetti di potere all'interno del Grande
Leviatano del Nord? E tutto questo, natauralmente, a scapito degli
stivalici creduloni?
Si respira una strana aria in questi giorni. Ha il profumo di
cambiamento, di metamorfosi, quest'aria. Ed è forte. Ma tale
intensità sembra celare un cattivo odore, sembra puzzare. Possibile,
mio caro web, che hai disimparato a riconoscere gli odori? A
distinguere il profumo dal cattivo odore? E se invece non l'avessi
mai dimenticato?
Medita web, medita...
pubblicato su Cmnews.it
http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/oltreweb-vittima-sacrifi-sconi/
pubblicato su Cmnews.it
http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/oltreweb-vittima-sacrifi-sconi/
giovedì 28 novembre 2013
Versieri: NUBI (I) di Jorge Luis Borges
- di Saso
Bellantone
Non vi
sarà mai cosa che non sia
una nube.
Lo son le cattedrali
di vasta
pietra e bibliche vetrate
che il
tempo spianerà. Lo è l'Odissea,
che cambia
come il mare. Se la riapri
sempre
cambia qualcosa. Anche il riflesso
del tuo
viso è già un altro nello specchio
ed il
giorno è un dubbioso labirinto.
Siamo chi
se ne va. La numerosa
nuvola che
si disfa all'occidente
è nostra
effigie. Incessamente
la rosa si
tramuta in altra rosa.
Sei
nuvola, sei mare, sei l'oblio.
Sei anche
tutto quello che hai smarrito.
“Chi
sono?”. Quante volte ci si pone tale interrogativo... Quante volte
se ne esce sconfitti, privi, di una risposta capace di dare senso e
definizione al nostro essere e all'esistenza intera... Sempre. Come
una campana di vetro precipitata improvvisamente dal cielo, questa
domanda ci disorienta, ci isola, lasciandoci in balia di un rompicapo
che sembra quasi una condanna. La domanda è crudele, spietata,
soffocante, mortale. Vorremmo spezzare la parete trasparente che ci
ingabbia con essa e fuggire via, sparire. Vorremmo correre lontano da
essa, seminarla e tornare alla piatta quotidianità, coscienti di
consumarci in maniera tragicamente dolce e dolcemente fatale. Ma
anche se ci siamo riusciti, ecco la calotta di cristallo piombare
nuovamente su di noi, infliggendoci la pena peggiore: la domanda
sulla nostra identità.
Pur fuggendo in capo al mondo o, potendolo fare, in altre dimensioni,
la domanda ci perseguita come predatore bracca la propria preda. Non
c'è scampo: continuando la fuga, la si ritrova ancora al proprio
fianco come un'ombra. La propria.
Quando però la follia è ormai di casa, quando ci si accorge che non
c'è tempo e modo alcuno per scansare l'interrogativo che ci
tormenta, ecco che si trova la forza di arrestarsi, il coraggio di
isolarsi e la determinazione di affrontare faccia a faccia
l'implacabile nemico che continua a pedinarci. E allora la semplicità
della soluzione, della risposta, sfiora l'inimmaginabile: “Sono
tempo”.
Nella poesia Nubi (I), Jorge Luis Borges sottolinea come
l'essenza di ognuno, e dell'esistente intero, sia principalmente il
tempo, la scadenza, il conto alla rovescia, la mortalità. Si è
transitori, passeggeri, provvisori, instabili. Tutto è fragile,
insicuro, effimero come una nube: le cattedrali, l'Odissea, il
riflesso del viso della persona amata, il giorno, una rosa. Tutto
cambia, muta e si tramuta. Siamo tempo, e siamo anche assenza, tempo
cioè delle persone e degli enti spariti, trapassati, deceduti, o
smarriti. Sia avendone memoria, sia obliandola. Siamo temporalità,
divenire, fluire, diversificazione continua, andare e... non tornare
più. Mai più. Come la nuvola che si disfa all'occidente, come
l'onda del mare che s'infrange sulla battigia o sulla scogliera, come
la dimenticanza stessa, siamo privi d'identità. Non somigliamo mai a
quel che siamo stati un attimo prima né somiglieremo a quel che
saremo nell'attimo a venire. Siamo la trasformazione stessa, la
trasfigurazione continua fino alla morte.
Consapevoli dell'atroce indole che ci accomuna all'intero esistente,
non rimane che decidere, finché ci è concesso, in che modo passare
il tempo restante che si è, nella continua metamorfosi cui si è
soggetti che conduce alla fine. Alcuni ripudiano tale destino,
scagliandosi contro un ente supremo e creatore; altri lo accettano
giustificandolo speranzosi all'interno di una cornice ultraterrena o
di un circuito uguale o simile al samsara. Altri ancora, cominciano a
pensare che se c'è bellezza in tutto ciò che muta e svanisce – in
una cattedrale, nell'Odissea, nel viso della persona amata, nel
giorno, in una rosa, in una nuvola, nel mare, nell'oblio,
nell'assenza di una persona cara o in tutte le cose che abbiamo
smarrito – dev'esserci una bellezza anche in loro. E allora tutto
cambia.
Per quanto sia triste, c'è bellezza nella trasformazione continua,
nella mortalità.
martedì 26 novembre 2013
Scintille di buio e di luce
"Il nichilismo non si supera né si attraversa; il nichilismo si naviga, senza mattino né faro alcuno. Nel nichilismo, tu sei il nichilismo stesso ma sei anche la lanterna del mattino e il faro di ogni porto sicuro".
martedì 19 novembre 2013
DISsud: le foto 27
mercoledì 6 novembre 2013
Numerica-mente in fallimento
- di Saso Bellantone
"Una società esclusivamente numerabile e calcolante, priva di una meta intellettuale o spirituale, è destinata al continuo fallimento".
giovedì 31 ottobre 2013
DISsud: le foto 26
sabato 26 ottobre 2013
DISsud: le foto 25
domenica 13 ottobre 2013
Enpasse d'individuazione
"Componi il tuo numero, premi invio e attendi che squilli... Chi risponderà? Te stesso? E chi è... te stesso?"
sabato 5 ottobre 2013
DISsud: le foto 24
sabato 28 settembre 2013
A spesa di idee
"Entra nel tuo pensiero e fa la spesa di idee; quando il sistema sarà fallito definitivamente, saprai da dove cominciare da capo il tuo destino".
lunedì 23 settembre 2013
L'ARTE PERIFERICA: intervista a Luca Andrieri
- di Saso Bellantone
Luca Andrieri nasce nel 1975 a
Castrovillari (CS) e a pochi mesi dalla nascita si trasferisce a Bagnara
Calabra a causa dell'improvvisa perdita degli affetti familiari. Nella sua
crescita ha sempre cercato delle risposte a quelle domande che la vita gli ha
portato inevitabilmente innanzi. Così, evitando di chiudersi a riccio nel suo
mondo, cerca queste risposte nella musica che, più di ogni altra forma
artistica, lo ha invogliato, stupito, affascinato. Il primo regalo avuto, non a
caso, è stata proprio una chitarra, la quale è diventata per Luca uno strumento
di vita. Non avendo altre attività, sport o passioni come i suoi coetanei, dopo
i libri di scuola Luca passa il tempo, per dare sfogo alle sue sensazioni. Cominciando
dunque per gioco questo suo rapporto con la musica, nel tempo Luca scrive delle
canzoni, dei testi, lasciati sempre nel cassetto e senza avere una loro fuga
nel mondo esterno. Finché, crescendo sempre più voglia di comunicare agli altri
i suoi sentimenti e le sue paure, decide di iniziare a comunicare agli altri
quello ha dentro, prima facendo piano bar e poi raccogliendo questi suoi
pensieri e sensazioni in un cd, “Io e Luca”. Sposato, attualmente vive a Roma.
Come ti sei avvicinato alla
musica?
Ascolto musica da sempre. Chi non
lo fa. Ascoltavo sempre i cantautori italiani, perché raccontavano pezzi di
storia, di vita, con parole semplici, incastonandole bene nella musica per poi
cantarle e trasmetterle agli altri. Ed io traevo delle belle sensazioni.
C'erano delle frasi, dei versi che ti toccavano perché rispecchiavano qualche
aspetto della tua vita, raccontavano qualcosa che magari avevi vissuto. Da lì
ho preso spunto, pensando che così come facevano loro potevo provare a fare lo
stesso anch'io. Così, ho cercato di raccontare qualche episodio che ho vissuto,
i miei primi amori oppure anche il fatto di andare a giocare, di farsi una
partita al pallone, raccontandoli sotto forma di poesia e di canzoni. A un mio
compleanno, quando mia sorella mi chiese quale regalo desideravo, risposi “Una
chitarra”, proprio perché mi affascinava lo strumento. Avrei preferito un
pianoforte, ma viste le dimensioni scelsi una chitarra. Non me ne sono pentito,
perché ad oggi è lo strumento con cui compongo e che sta sempre assieme a me.
Anche durante le gite scolastiche, al posto dei trolley, io avevo sempre questa
chitarra, la cui funzione era quella di catturare alcuni momenti della mia vita
per poi scriverli, suonarli, raccontarli. È stata, ed è, una bella compagna di
viaggio.
Oggi mi trovo a Roma non in
maniera casuale. L'ho scelta perché durante la vita ho scritto delle cose più o
meno belle. A qualcuno, qualcosa che ho scritto è piaciuta, l'ha fatta sua e ne
ha fatto una canzone che secondo me è tra le più belle della musica italiana.
Per ovvi motivi non posso dire qual è la canzone né qual è l'artista, però sia
l'una sia l’altro, che è romano, sono diventati famosi. Per questo motivo, ho
voluto trasferirmi a Roma per trovare una collaborazione con questo artista,
che c’è stata ma soltanto nella forma dello studio ed io non venivo mai fuori;
cosa che io volevo, non per visibilità e immagine, ma per trasmettere personalmente
quello che avevo dentro, piuttosto che scriverlo su di un foglio di carta e farlo
esprimere da altri. L’una e l’altra cosa sono diverse. Avendo un vissuto, una
storia, avendo tanto da dire, vorrei farlo io, ma questo spazio non mi è stato
mai dato. Però sono rimasto a Roma lo stesso, anche perché è una città
bellissima ed è un'ottima ispiratrice di canzoni, di musica, di parole.
Che cos'è la musica?
La musica è la più bella e
massima espressione che una persona ha dentro di sé, perché gli consente di trasmettere
agli altri le sensazioni che ha dentro. È come fa un pittore con un quadro:
quando ha una sensazione, un'emozione dentro, la esprime su una tela con un
dipinto. Ognuno di noi trova la sua dimensione in qualcosa e per me la musica è
tutto, perché la faccio, la vivo, la considero la massima espressione del propri
sentimenti. Con la musica, con la melodia riesci a trasmettere il dolore, la
tranquillità, la rabbia, qualsiasi emozione ti capiti. Sono stato attratto fin
da piccolo dalla musica e la mia vita è stata circondata da lei. Ho sempre
ascoltato musica. Ricordo perfino i Bee Hive con Licia. C'è stato un momento in
cui dovevo fare il telefilm con Cristina D'avena, per la Fininvest, e dovevo
salire a Milano per cantare delle cose. Avevo superato le selezioni e poi non
ci sono andato per la costrizione dei familiari, per la scuola, e ho dovuto
rifiutare per forza. Anche se non dovessi diventare famoso, per me va già bene così,
perché sono riuscito a mettere su un disco, con sette tracce che non sono fini
a se stesse ma sono sempre storie diverse, che raccontano degli scorci di vita
vissuti.
Cosa pensi riguardo al senso,
allo scopo e agli usi della musica, sia a livello individuale sia sociale, nel
mondo contemporaneo?
Proprio perché è bella, perché è
un mezzo di comunicazione molto importante per chi la fa, chi la canta, chi la
esegue, chi la ascolta, la musica può fare molto e dare molto per il sociale.
Con la musica puoi raccontare qualsiasi cosa e le emozioni che puoi suscitare
con essa possono anche fare una rivoluzione. Puoi sedare gli animi più accessi
e, viceversa, svegliare quelli più spenti. La musica può cambiare diverse scene
e visuali, a seconda delle angolazioni con cui racconta un fatto o un’emozione.
Con la musica puoi dire e fare tutto, dalle grandi rivoluzioni al parlare di
sentimenti più concreti, come l'amore.
I Greci impiegavano il termine
“poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola si è trasformata nel
tempo, di linguaggio in linguaggio, diventando per esempio in italiano
“poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un
creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi
definire la tua musica “poesia”, opera d'arte, creazione nel senso pieno del
termine?
Sì. Le tracce contenute
nell'album “Io e Luca”, come ho sempre fatto anche con tutte le canzoni che
sono ancora rimaste chiuse nel cassetto, sono uscite fuori non per il piacere
della scrittura e della composizione, ma perché è un'esigenza che nasce da
dentro. Molte volte mi ritrovo a guardare un bel film, un tramonto, un quadro e
provo delle emozioni che mi spingono a scrivere. Ho provato a rifiutarmi, ma
inevitabilmente c'è una tempesta dentro di me che mi costringe anche alle tre o
alle quattro di notte a svegliarmi e a mettermi a scrivere, perché quelle
cose che mi hanno ispirato mi erano entrate dentro e in qualche modo le volevo
dire a qualcuno. Il miglior modo per farlo, è metterle in musica. Quindi, sono
sempre delle sensazioni nuove, che scrivo non tanto per il piacere di fare
qualcosa, ma perché è una necessità. All'inizio avevo paura e anche adesso che
è nato questo disco ho sempre paura di sbagliare, di lanciare un messaggio sbagliato
oppure che non si capisca quello che scrivo. C'è sempre quest'ansia, questa mia
paura che non si recepisca con lo stesso sentimento, con la stessa passione
quello che ho voluto dire. Spero di dare a chi ascolta la stesse emozioni che
ho provato per scrivere parole e musica. È bello scrivere un testo, metterlo in
rima, usare la metrica giusta però poi associarci della musica, rendere la
parola una melodia non è semplice. Ma a me viene riesce naturale. Non devo
forzare le cose. Non cerco la giusta rima, scrivo di getto con la chitarra sia
parole sia musica.
Perché canti? Perché senti
l'esigenza di comunicare con la tua musica e le tue canzoni?
Parlo sempre con tante persone.
Ho conosciuto la persona che soffre, quella che vive nel lusso, ho conosciuto
diversi aspetti di vita e ho visto che c'è gente che ha bisogno di esprimere
qualcosa e altri che hanno bisogno di raccontare qualcosa della propria vita.
C'è gente che ha bisogno di sfogarsi, di aprirsi, di ascoltare delle cose
belle, di ascoltare la propria storia o che venga in qualche modo sentita
dall'interlocutore ed io, per molti versi, ho catturato la storia di molte
persone proprio perché c'erano delle cose che mi accomunavano in molti aspetti
a loro. E quindi ho voluto raccontare delle mie cose, proprio perché
ho capito che ci sono delle persone che si possono rispecchiare in quello che
dico, che ne hanno bisogno. Voglio essere io il tramite, voglio portare un
messaggio, voglio trasmettere dei messaggi positivi a chi come me ha sofferto e
soffre ancora, e dare un po’ di speranza.
Che cosa racconti nelle tue
canzoni?
Messaggi di speranza, di amore.
Le mie sono delle canzoni innanzitutto d'amore, ma non solo per la persona che
ti sta a fianco, che vorresti o che hai perso, sono dei messaggi d'amore per la
vita, per una donna, per una mamma, quella per cui è iniziato tutto questo
percorso musicale, amore per chi è capace ancora di emozionarsi, cosa che
spesso manca oggigiorno. Infatti io mi trovo spesso spiazzato e fuori tempo per
molti aspetti, perché adesso ha molta più risonanza la musica che fa rumore, la
musica aggressiva. Quella che faccio io, che è la musica melodica dalla quale
non riesco a discostarmi, è un po' allontanata. Ho pure questa difficoltà di
inserirmi nel mercato musicale proprio per questo, perché la mia è un tipo di
musica che magari andava bene fino a qualche anno fa, mentre adesso ne va bene
un altro tipo. Non riuscirei a fare un altro genere di musica. Luca Andrieri è
proprio questo, il ragazzo melodico, romantico, a cui piace raccontare l'amore,
l'amore in senso lato, universale.
Un cantante, un musicista può
sentirsi tale senza i pubblici?
No. Fino a qualche anno fa io non
riuscivo a stare nemmeno senza piano bar. Ho sempre suonato, nella mia stanza,
ma era una preparazione alle serate. È bello suonare da solo ma nel contempo è
avvilente perché non riesci a trasmettere ad altri. Proprio perché ho questa
cosa di comunicare, di dare agli altri qualcosa, suonare da solo sarebbe come
ripetere a me stesso delle sensazioni già provate e quindi non c'è questo
sfogo, questo scambio con l'altro. Facendo piano bar, ho sempre scelto delle
canzoni che potessero comunicare agli altri un qualcosa di positivo, dei
messaggi di amore e di speranza. Quando invece l’ho accantonato per
concentrarmi su questo progetto, che è durato un anno, io faticavo perché non
avevo la possibilità di cantare agli altri. Adesso che questo lavoro è finito,
finalmente assieme al pensiero e ai messaggi di un De Gregori, di un Baglioni,
di un Venditti posso comunicare agli altri anche i miei pensieri e i miei
messaggi. E questo, quando vedo la gente emozionarsi con le mie canzoni, mi
rende molto felice.
Che cosa significa oggi vivere
come un artista? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa
missione?
Vivere da cantante significa
dapprima spendere un sacco di soldi, proprio perché c'è un lavoraccio dietro.
Io ho fatto tutto da me. Mi sono auto-prodotto, ho comprato i cd vergini per portarli
in sala incisione, sono andato dal grafico, ho fatto la grafica, non c'è stato
nessuno che ha aperto il portafogli se non io stesso. Perché oggi non c'è più
questa figura del produttore di una volta che crede in te e ti dice “Sì tu
vali, tu mi piaci, ti sovvenziono io”. Questo, economicamente parlando.
Dall'altra parte, vivere da cantante è bello perché non hai limiti, puoi dire
ciò che vuoi, come lo vuoi e quando lo vuoi, proprio perché la musica è universale.
I sacrifici sono tanti però, ed io li ho affrontati, nella speranza che a
qualcuno piacerà ascoltare le mie canzoni.
Cosa ti spinge a tornare nel
Sud?
L'amore per il Sud. Ho sempre
scritto per il Sud o per il mio paese e per la gente del mio paese. C'è stata
una canzone che avevo intitolato “Città del Sud”, mentre adesso nell'album “Io
e Luca” c'è “La mia piccola città”. Quello che mi spinge a tornare è la gente,
l'armonia che si respira, la serenità di quando incontri una persona e la puoi
guardare negli occhi, comprendendo la sua limpidezza e purezza. È una cosa
bella, che però salendo un pochino nello stivale non avviene quasi mai. Anzi,
spesso trovi dei cuori che sono chiusi, sbarrati. Quando vengo al Sud, io mi
ossigeno a pieni polmoni, per poi portare con me tutto questo ossigeno che deve
durare fino al prossimo anno. Non mi spinge nessuno a venire qua. È come la
musica. È una necessità, ed è una cosa fondamentale nella mia crescita come
persona, non come artista. Qui basta uscire sul corso, ti salutano tutti, sei
l'amico di tutti. Mi piace parlare con tutti, mi piace ascoltare tutti, dal
momento che oggi difficilmente trovi qualcuno che ti ascolta. Io di solito
ascolto tutti quanti e, forse, è proprio questa la forza che mi fa andare
avanti nelle mie cose: parlare con tutti ed essere l'amico di tutti. Io questo
voglio essere: l'amico di tutti, indistintamente. Roma è bella solo
artisticamente. C'è il bel monumento, c'è il Colosseo, ci sono dei bei
appartamenti, ma è tutto cemento e a me il cemento non dà niente. Preferisco
toccare una persona, parlare con lei e guardarla nel cuore, negli occhi che sono
la porta del cuore. Guardare una persona negli occhi è una cosa straordinaria. È
questo che mi riporta ogni anno nel Sud.
Il tuo primo album s'intitola
“Io e Luca”: di cosa parla?
Parla di Luca artista. “Io e
Luca” è proprio un guardarsi allo specchio. È Luca che si guarda allo specchio
e si rende conto che dentro di lui c'è proprio questa voglia di esprimersi, di
emozionare e far emozionare, e di emozionarsi lui stesso. Perché è proprio
questo confrontarsi, questo scontro di emozioni, che poi mi fa scrivere, mi fa
avere voglia di scrivere e di cantare ancora. Quindi questo scambio di
emozioni, questo confrontarsi, questo guardarsi allo specchio indica proprio il
fatto che è arrivato il momento di dire qualcosa, di confrontarsi e di parlare
d'amore, perché c'è bisogno che qualcuno parli finalmente di amore, in senso
lato, positivo, vero.
Puoi definirti un sognatore?
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
È di fare sentire il mio pensiero
a tutti quanti, anche per pochi secondi, di fare conoscere questo piccolo
artista dappertutto, a tutti quanti. Anche per una sola frazione di secondo,
vorrei uno spazio tutto mio per far ascoltare quello che ho da dire a tutti
quanti. Proprio perché sono stato tanti anni in silenzio, adesso voglio fare
conoscere Luca Andrieri. Quello che fino a ieri stava a casa, adesso voglio
farlo uscire, voglio far parlare di lui, nel bene e nel male, il quale
quest'ultimo ci sarà sempre. Però vorrei farmi conoscere un po'. Non è essere
esibizionista, però vorrei che tutti comprendessero il mio stato d'animo, anche
perché come me ce ne stanno una marea. Ci sono tante persone che hanno questa
voglia di comunicare qualcosa che hanno dentro di sé. Ho scelto questo cammino
proprio perché voglio far parlare di me e far parlare tutte quelle persone che
stanno in silenzio e che non hanno avuto, come me, la possibilità di fare
questo cd. Voglio parlare per loro.
Chi desidera seguirti e
saperne un po' di più sulla tua musica, dove può rivolgersi?
Alcune parole per i giovani.
Tanti sogni non sono fini a se
stessi. Il mio album dimostra che i sogni, se vuoi, si possono realizzare ed io
il mio l'ho realizzato con questo cd. La musica, per chi la vive come me, è
veramente un mezzo fantastico per comunicare con gli altri, è universale, ti fa
comunicare con tutti. Sono dei sentimenti che tu metti in musica e puoi
comunicare anche a chi non parla la tua stessa lingua. Basta metterci il cuore
e puoi arrivare dove vuoi. Nel mio percorso forse sono stato avvantaggiato
perché ho trovato sempre gente fantastica, sempre gente per bene, e sono
orgoglioso perché sono sempre stato circondato da persone meravigliose. Vorrei
che tutti prendessero una chitarra, cominciassero a strimpellare e tirassero
fuori i propri sentimenti. Tutti hanno i sentimenti, la difficoltà sta nel
farli uscire fuori, però una volta che escono fuori poi vedi che non li fermi
più.
Etichette:
ARTE PERIFERICA
sabato 21 settembre 2013
Mutuli
- di Saso
Bellantone
“Mutuli!
Mutuli-eh!” – così urlavano le donne tanti anni fa, così sono
tornate a urlare oggigiorno. Madri, mogli, fidanzate vestite alla
buona, con il classico faddali, girano instancabilmente per
tutte le strade e le viuzze del paese, tirandosi dietro il
caratteristico carretto auto-prodotto, costituito di una struttura in
ferro con manico regolabile, delle ruote di bicicletta riciclate e
delle lastre di compensato su cui posare le cassette di mutuli,
la bilancia e tutto l'occorrente per la vendita. Le loro voci, come
provenienti dal passato, si scontrano con i fantasmi della
globalizzazione, del consumismo e della post-modernità, riempiendo
l'atmosfera di un colorito paesano, antico, umanizzato. I bambini
piccoli sorridono, rallegrati dalle voci di donna che spezzano la
monotonia quotidiana, le massaie si affacciano dai balconi e dalle
finestre e corrono incontro alle pescivendole, smaniose di preparare
anche quest'anno una di quei prodotti tradizionali che rendono fieri
di essere meridionali e che danno al Sud quel volto che nessuna unità
nazionale o confederazione di Stati può dare: 'u pisci
all'ogghjiu.
Si
tratta di una conserva, il cui scopo, al pari di quella della salsa,
è di assicurarsi una scorta di pesce fresco e genuino per tutto
l'anno. La preparazione è lunga e comincia con la raccolta dei
recipienti, o buccacci,
per tutto l'anno. Giunto il periodo della pesca dei mutuli,
i recipienti vengono lavati e poi fatti asciugare bene su di un
panno. Dopodiché, una volta acquistati i pesci, si passa alla
preparazione vera e propria.
Mentre
grandi calderoni sul fuoco o sui fornelli riscaldano l'acqua fino a
portarla in ebollizione, si provvede alla pulitura dei pesci dalle
interiora. Lavati i pesci sotto l'acqua corrente, si attende che
l'acqua nel calderoni raggiunga la temperatura di ebollizione, si
aggiunge del sale, in quantità proporzionale al peso dei pesci che
si sta per immergere e, una volta fatto ciò, si lascia bollire per
tre ore.
Passato
il tempo di cottura, si scola l'acqua e si passa alla seconda
pulitura, che consiste nella privazione della pelle, della spina e
nella separazione della polpa bianca da quella nera, quest'ultima
contenente il sangue del pesce. Alcuni usano anche questa parte del
pesce, altri invece preferiscono disfarsene, usando per la conserva
soltanto la polpa bianca. Dividendoli a metà, o in quattro parti se
si preferisce, si lascia asciugare i pesci stendendoli su di un panno
e, quando sono perfettamente asciutti, si passa infine alla conserva.
Stringendoli bene l'uno con l'altro, i pesci vengono calati nei
recipienti e ricoperti interamente di olio, di semi o di oliva, a
seconda dei gusti, e il gioco è fatto.
In
genere si lascia riposare il pesce nei buccacci
per un po' di tempo, ma di fatto si può già consumare. Per chiudere
il rito della preparazione del pisci all'ogghjiu,
molti sono soliti cucinare la pasta con il sugo del pesce nero oppure
aprono uno dei buccacci
per testare la salatura.
Come
nel caso della salsa, la preparazione del pisci all'ogghjiu
è un'attività solidale, che crea comunità e familiarità. Ci
riunisce in una sola casa, donne, uomini, bambini e adulti, parenti e
vicini, e si provvede alla preparazione dei buccacci
per tutti quanti. In questo modo, non soltanto si ha la possibilità
di socializzare, di rinforzare il legame familiare o rionale,
confrontandosi e consigliandosi l'un l'altra, non soltanto si ha
disposizione per tutto l'anno del pesce fresco e genuino, ma si ha
anche l'occasione di conservare, affidandola ai posteri, una di
quelle tradizioni che i nostri antenati ci hanno tramandato da tempi
ormai lontani... eppure vicini, se non vicinissimi.
L'attuale
ritorno delle voci delle pescivendole, e la preparazione del pisci
all'ogghjiu, è una metafora del
nostro tempo che preannuncia il tempo che viene.
Se
da un lato per favorire il business della grandi multinazionali del
pesce, ai nostri pescatori non è consentito praticare uno dei
mestieri più antichi, utile per la loro sussistenza, dall'altro lato
il pesce acquistato nei supermercati è di provenienza incerta e, a
volte, pur essendo di qualità scadente o costituito soltanto dagli
scarti di altri confezionamenti, costa anche troppo, allo stesso
modo, o quasi, del pesce di migliore qualità, sempre importato
dall'estero, malgrado provenga paradossalmente dal mar Mediterraneo.
Il
ritorno delle pescivendole in strada sintetizza quello che sta
accadendo nel mercato del pesce, e in altri mercati, coinvolgendo
altri mercati ancora in futuro. Conseguentemente agli accordi
politici internazionali volti alla tenuta economico-finanziaria degli
Stati e di confederazione di Stati contro altri nella guerra della
valuta, si costringe gli imprenditori, i produttori, gli artigiani e
via dicendo a configurare le proprie aziende e attività in maniera
sempre più rispondente al mercato globale, oppure gli si impedisce
loro di lavorare, avvantaggiando le multinazionali. In altre parole,
si elimina la concorrenza, costringendo quanti di generazione in
generazione hanno sempre fatto il medesimo lavoro a chiudere la
baracca e a occuparsi di tutt'altro.
Questo
naturalmente produce non soltanto la perdita irreversibile degli
antichi mestieri e, quindi, dell'identità locale dei popoli, ma
anche povertà, disoccupazione, disperazione e, in ultima istanza,
schiavitù. Il pescatore infatti, per restare nel tema dei mutuli,
che si vede impossibilitato a “pescare” appunto, a causa di
leggi, condizioni economico-fiscali e abitudini dei consumatori
controproducenti, per far sopravvivere se stesso e la propria
famiglia, si vede costretto a svolgere, o a imparare, un mestiere che
non ha mai fatto, e spesso non riesce o, come accade oggigiorno, non
lo trova. Per questo motivo, come avviene anche in altre dimensioni
lavorative, è obbligato a protestare, finché ne ha le forze,
economiche e vitali, oppure a cercare lavoro all'estero.
Il
risultato non è altro che lo spopolamento dei paesi d'origine, che
causa un danno economico locale, cioè agli abitanti che restano in
paese, e nazionale, statale, ossia all'insieme dei lavoratori e delle
aziende rimaste, le cui buste paga, tasse e consumi concorrono alla
formazione dei PIL e, dunque, alla crescita o decrescita economica
dello Stato.
È
evidente che proseguendo in questa maniera, nel mercato del pesce e
in altri mercati, ci si getta ancora più a fondo del baratro
economico in cui ci si trova – dal momento che il debito supera i
duemila miliardi di euro. Ma forse c'è a chi piace che le cose
vadano così e le incentiva, allo scopo di ottenere maggiore potere
all'interno del nuovo ordine mondiale che si sta costruendo.
La
gente tuttavia non è folle al cento per cento, malgrado questo stato
di cose l'abbia voluto proprio lei con il proprio voto, condizionato
dalla rilassamento causato dal benessere vissuto nei decenni passati
e dai messaggi subliminali dei strumenti di comunicazione di massa.
Anzi, sempre più povera e disperata, quando sente la voce delle
pescivendole che passano con i mutuli
per le strade, va nuovamente loro incontro per preparare 'u
pisci all'ogghjiu. E se adesso
sono pochi coloro che lo fanno, molti torneranno presto a farlo,
fiutando l'aria del default che c'è intorno.
L'acquisto
dei mutuli, e la
preparazione del pisci all'ogghjiu,
offre l'occasione di prepararsi al fallimento e di recuperare quelle
tradizioni, quegli usi e quei costumi antichi, portatori di quei
valori comunitari e sapienziali che hanno fatto sopravvivere i nostri
avi e che presto, a scapito della globalizzazione e del consumismo,
garantiranno la nostra sopravvivenza all'interno delle popolazioni
locali.
Si crede ormai che i grandi cambiamenti abbiano origine nella punta della piramide di questa società e si dimentica ogni giorno che, al contrario, tali cambiamenti, attualmente tanto auspicati, possono provenire soltanto dal terreno sottostante la base della medesima piramide, dall'ultimo livello cioè di questa società, dove noi sopravviviamo.
Si crede ormai che i grandi cambiamenti abbiano origine nella punta della piramide di questa società e si dimentica ogni giorno che, al contrario, tali cambiamenti, attualmente tanto auspicati, possono provenire soltanto dal terreno sottostante la base della medesima piramide, dall'ultimo livello cioè di questa società, dove noi sopravviviamo.
Non resta che chiedersi: tonno in scatola o mutuli?
In questa domanda, così come in altre, si gioca il nostro destino e, anche, ripercuotendosi sull'Occidente, sull'Europa o sull'Italia, quello del Sud.
martedì 17 settembre 2013
Dono inverso
"- Allora - disse lo spettro - è cosa fatta? -
- Sì. -
- Sì. E tu, uomo al quale io rinuncio in questo momento, porta questo con te! Il dono che ti ho fatto, puoi farlo a tua volta dovunque andrai. Senza ricuperare la facoltà a cui hai rinunciato, tu d'ora in avanti la distruggerai in tutte le persone che avvicinerai. La tua saggezza ha scoperto che la memoria dei dolori, delle ingiustizie, dei guai è destino di tutta l'umanità e che, se non fosse per questo, l'umanità sarebbe più felice negli altri suoi ricordi. Avanti, sii il benefattore dell'umanità! Tu, che sei liberato da questi ricordi, d'ora innanzi porta involontariamente con te la benedizione di questa libertà. Non puoi rinunciare al potere di diffonderla né alienarlo. Va'! Sii felice per il bene che hai conquistato e per quello che puoi fare! -" (Il patto col fantasma).
Iscriviti a:
Post (Atom)