- di Saso Bellantone
Luca Andrieri nasce nel 1975 a
Castrovillari (CS) e a pochi mesi dalla nascita si trasferisce a Bagnara
Calabra a causa dell'improvvisa perdita degli affetti familiari. Nella sua
crescita ha sempre cercato delle risposte a quelle domande che la vita gli ha
portato inevitabilmente innanzi. Così, evitando di chiudersi a riccio nel suo
mondo, cerca queste risposte nella musica che, più di ogni altra forma
artistica, lo ha invogliato, stupito, affascinato. Il primo regalo avuto, non a
caso, è stata proprio una chitarra, la quale è diventata per Luca uno strumento
di vita. Non avendo altre attività, sport o passioni come i suoi coetanei, dopo
i libri di scuola Luca passa il tempo, per dare sfogo alle sue sensazioni. Cominciando
dunque per gioco questo suo rapporto con la musica, nel tempo Luca scrive delle
canzoni, dei testi, lasciati sempre nel cassetto e senza avere una loro fuga
nel mondo esterno. Finché, crescendo sempre più voglia di comunicare agli altri
i suoi sentimenti e le sue paure, decide di iniziare a comunicare agli altri
quello ha dentro, prima facendo piano bar e poi raccogliendo questi suoi
pensieri e sensazioni in un cd, “Io e Luca”. Sposato, attualmente vive a Roma.
Come ti sei avvicinato alla
musica?
Ascolto musica da sempre. Chi non
lo fa. Ascoltavo sempre i cantautori italiani, perché raccontavano pezzi di
storia, di vita, con parole semplici, incastonandole bene nella musica per poi
cantarle e trasmetterle agli altri. Ed io traevo delle belle sensazioni.
C'erano delle frasi, dei versi che ti toccavano perché rispecchiavano qualche
aspetto della tua vita, raccontavano qualcosa che magari avevi vissuto. Da lì
ho preso spunto, pensando che così come facevano loro potevo provare a fare lo
stesso anch'io. Così, ho cercato di raccontare qualche episodio che ho vissuto,
i miei primi amori oppure anche il fatto di andare a giocare, di farsi una
partita al pallone, raccontandoli sotto forma di poesia e di canzoni. A un mio
compleanno, quando mia sorella mi chiese quale regalo desideravo, risposi “Una
chitarra”, proprio perché mi affascinava lo strumento. Avrei preferito un
pianoforte, ma viste le dimensioni scelsi una chitarra. Non me ne sono pentito,
perché ad oggi è lo strumento con cui compongo e che sta sempre assieme a me.
Anche durante le gite scolastiche, al posto dei trolley, io avevo sempre questa
chitarra, la cui funzione era quella di catturare alcuni momenti della mia vita
per poi scriverli, suonarli, raccontarli. È stata, ed è, una bella compagna di
viaggio.
Oggi mi trovo a Roma non in
maniera casuale. L'ho scelta perché durante la vita ho scritto delle cose più o
meno belle. A qualcuno, qualcosa che ho scritto è piaciuta, l'ha fatta sua e ne
ha fatto una canzone che secondo me è tra le più belle della musica italiana.
Per ovvi motivi non posso dire qual è la canzone né qual è l'artista, però sia
l'una sia l’altro, che è romano, sono diventati famosi. Per questo motivo, ho
voluto trasferirmi a Roma per trovare una collaborazione con questo artista,
che c’è stata ma soltanto nella forma dello studio ed io non venivo mai fuori;
cosa che io volevo, non per visibilità e immagine, ma per trasmettere personalmente
quello che avevo dentro, piuttosto che scriverlo su di un foglio di carta e farlo
esprimere da altri. L’una e l’altra cosa sono diverse. Avendo un vissuto, una
storia, avendo tanto da dire, vorrei farlo io, ma questo spazio non mi è stato
mai dato. Però sono rimasto a Roma lo stesso, anche perché è una città
bellissima ed è un'ottima ispiratrice di canzoni, di musica, di parole.
Che cos'è la musica?
La musica è la più bella e
massima espressione che una persona ha dentro di sé, perché gli consente di trasmettere
agli altri le sensazioni che ha dentro. È come fa un pittore con un quadro:
quando ha una sensazione, un'emozione dentro, la esprime su una tela con un
dipinto. Ognuno di noi trova la sua dimensione in qualcosa e per me la musica è
tutto, perché la faccio, la vivo, la considero la massima espressione del propri
sentimenti. Con la musica, con la melodia riesci a trasmettere il dolore, la
tranquillità, la rabbia, qualsiasi emozione ti capiti. Sono stato attratto fin
da piccolo dalla musica e la mia vita è stata circondata da lei. Ho sempre
ascoltato musica. Ricordo perfino i Bee Hive con Licia. C'è stato un momento in
cui dovevo fare il telefilm con Cristina D'avena, per la Fininvest, e dovevo
salire a Milano per cantare delle cose. Avevo superato le selezioni e poi non
ci sono andato per la costrizione dei familiari, per la scuola, e ho dovuto
rifiutare per forza. Anche se non dovessi diventare famoso, per me va già bene così,
perché sono riuscito a mettere su un disco, con sette tracce che non sono fini
a se stesse ma sono sempre storie diverse, che raccontano degli scorci di vita
vissuti.
Cosa pensi riguardo al senso,
allo scopo e agli usi della musica, sia a livello individuale sia sociale, nel
mondo contemporaneo?
Proprio perché è bella, perché è
un mezzo di comunicazione molto importante per chi la fa, chi la canta, chi la
esegue, chi la ascolta, la musica può fare molto e dare molto per il sociale.
Con la musica puoi raccontare qualsiasi cosa e le emozioni che puoi suscitare
con essa possono anche fare una rivoluzione. Puoi sedare gli animi più accessi
e, viceversa, svegliare quelli più spenti. La musica può cambiare diverse scene
e visuali, a seconda delle angolazioni con cui racconta un fatto o un’emozione.
Con la musica puoi dire e fare tutto, dalle grandi rivoluzioni al parlare di
sentimenti più concreti, come l'amore.
I Greci impiegavano il termine
“poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola si è trasformata nel
tempo, di linguaggio in linguaggio, diventando per esempio in italiano
“poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un
creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi
definire la tua musica “poesia”, opera d'arte, creazione nel senso pieno del
termine?
Sì. Le tracce contenute
nell'album “Io e Luca”, come ho sempre fatto anche con tutte le canzoni che
sono ancora rimaste chiuse nel cassetto, sono uscite fuori non per il piacere
della scrittura e della composizione, ma perché è un'esigenza che nasce da
dentro. Molte volte mi ritrovo a guardare un bel film, un tramonto, un quadro e
provo delle emozioni che mi spingono a scrivere. Ho provato a rifiutarmi, ma
inevitabilmente c'è una tempesta dentro di me che mi costringe anche alle tre o
alle quattro di notte a svegliarmi e a mettermi a scrivere, perché quelle
cose che mi hanno ispirato mi erano entrate dentro e in qualche modo le volevo
dire a qualcuno. Il miglior modo per farlo, è metterle in musica. Quindi, sono
sempre delle sensazioni nuove, che scrivo non tanto per il piacere di fare
qualcosa, ma perché è una necessità. All'inizio avevo paura e anche adesso che
è nato questo disco ho sempre paura di sbagliare, di lanciare un messaggio sbagliato
oppure che non si capisca quello che scrivo. C'è sempre quest'ansia, questa mia
paura che non si recepisca con lo stesso sentimento, con la stessa passione
quello che ho voluto dire. Spero di dare a chi ascolta la stesse emozioni che
ho provato per scrivere parole e musica. È bello scrivere un testo, metterlo in
rima, usare la metrica giusta però poi associarci della musica, rendere la
parola una melodia non è semplice. Ma a me viene riesce naturale. Non devo
forzare le cose. Non cerco la giusta rima, scrivo di getto con la chitarra sia
parole sia musica.
Perché canti? Perché senti
l'esigenza di comunicare con la tua musica e le tue canzoni?
Parlo sempre con tante persone.
Ho conosciuto la persona che soffre, quella che vive nel lusso, ho conosciuto
diversi aspetti di vita e ho visto che c'è gente che ha bisogno di esprimere
qualcosa e altri che hanno bisogno di raccontare qualcosa della propria vita.
C'è gente che ha bisogno di sfogarsi, di aprirsi, di ascoltare delle cose
belle, di ascoltare la propria storia o che venga in qualche modo sentita
dall'interlocutore ed io, per molti versi, ho catturato la storia di molte
persone proprio perché c'erano delle cose che mi accomunavano in molti aspetti
a loro. E quindi ho voluto raccontare delle mie cose, proprio perché
ho capito che ci sono delle persone che si possono rispecchiare in quello che
dico, che ne hanno bisogno. Voglio essere io il tramite, voglio portare un
messaggio, voglio trasmettere dei messaggi positivi a chi come me ha sofferto e
soffre ancora, e dare un po’ di speranza.
Che cosa racconti nelle tue
canzoni?
Messaggi di speranza, di amore.
Le mie sono delle canzoni innanzitutto d'amore, ma non solo per la persona che
ti sta a fianco, che vorresti o che hai perso, sono dei messaggi d'amore per la
vita, per una donna, per una mamma, quella per cui è iniziato tutto questo
percorso musicale, amore per chi è capace ancora di emozionarsi, cosa che
spesso manca oggigiorno. Infatti io mi trovo spesso spiazzato e fuori tempo per
molti aspetti, perché adesso ha molta più risonanza la musica che fa rumore, la
musica aggressiva. Quella che faccio io, che è la musica melodica dalla quale
non riesco a discostarmi, è un po' allontanata. Ho pure questa difficoltà di
inserirmi nel mercato musicale proprio per questo, perché la mia è un tipo di
musica che magari andava bene fino a qualche anno fa, mentre adesso ne va bene
un altro tipo. Non riuscirei a fare un altro genere di musica. Luca Andrieri è
proprio questo, il ragazzo melodico, romantico, a cui piace raccontare l'amore,
l'amore in senso lato, universale.
Un cantante, un musicista può
sentirsi tale senza i pubblici?
No. Fino a qualche anno fa io non
riuscivo a stare nemmeno senza piano bar. Ho sempre suonato, nella mia stanza,
ma era una preparazione alle serate. È bello suonare da solo ma nel contempo è
avvilente perché non riesci a trasmettere ad altri. Proprio perché ho questa
cosa di comunicare, di dare agli altri qualcosa, suonare da solo sarebbe come
ripetere a me stesso delle sensazioni già provate e quindi non c'è questo
sfogo, questo scambio con l'altro. Facendo piano bar, ho sempre scelto delle
canzoni che potessero comunicare agli altri un qualcosa di positivo, dei
messaggi di amore e di speranza. Quando invece l’ho accantonato per
concentrarmi su questo progetto, che è durato un anno, io faticavo perché non
avevo la possibilità di cantare agli altri. Adesso che questo lavoro è finito,
finalmente assieme al pensiero e ai messaggi di un De Gregori, di un Baglioni,
di un Venditti posso comunicare agli altri anche i miei pensieri e i miei
messaggi. E questo, quando vedo la gente emozionarsi con le mie canzoni, mi
rende molto felice.
Che cosa significa oggi vivere
come un artista? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa
missione?
Vivere da cantante significa
dapprima spendere un sacco di soldi, proprio perché c'è un lavoraccio dietro.
Io ho fatto tutto da me. Mi sono auto-prodotto, ho comprato i cd vergini per portarli
in sala incisione, sono andato dal grafico, ho fatto la grafica, non c'è stato
nessuno che ha aperto il portafogli se non io stesso. Perché oggi non c'è più
questa figura del produttore di una volta che crede in te e ti dice “Sì tu
vali, tu mi piaci, ti sovvenziono io”. Questo, economicamente parlando.
Dall'altra parte, vivere da cantante è bello perché non hai limiti, puoi dire
ciò che vuoi, come lo vuoi e quando lo vuoi, proprio perché la musica è universale.
I sacrifici sono tanti però, ed io li ho affrontati, nella speranza che a
qualcuno piacerà ascoltare le mie canzoni.
Cosa ti spinge a tornare nel
Sud?
L'amore per il Sud. Ho sempre
scritto per il Sud o per il mio paese e per la gente del mio paese. C'è stata
una canzone che avevo intitolato “Città del Sud”, mentre adesso nell'album “Io
e Luca” c'è “La mia piccola città”. Quello che mi spinge a tornare è la gente,
l'armonia che si respira, la serenità di quando incontri una persona e la puoi
guardare negli occhi, comprendendo la sua limpidezza e purezza. È una cosa
bella, che però salendo un pochino nello stivale non avviene quasi mai. Anzi,
spesso trovi dei cuori che sono chiusi, sbarrati. Quando vengo al Sud, io mi
ossigeno a pieni polmoni, per poi portare con me tutto questo ossigeno che deve
durare fino al prossimo anno. Non mi spinge nessuno a venire qua. È come la
musica. È una necessità, ed è una cosa fondamentale nella mia crescita come
persona, non come artista. Qui basta uscire sul corso, ti salutano tutti, sei
l'amico di tutti. Mi piace parlare con tutti, mi piace ascoltare tutti, dal
momento che oggi difficilmente trovi qualcuno che ti ascolta. Io di solito
ascolto tutti quanti e, forse, è proprio questa la forza che mi fa andare
avanti nelle mie cose: parlare con tutti ed essere l'amico di tutti. Io questo
voglio essere: l'amico di tutti, indistintamente. Roma è bella solo
artisticamente. C'è il bel monumento, c'è il Colosseo, ci sono dei bei
appartamenti, ma è tutto cemento e a me il cemento non dà niente. Preferisco
toccare una persona, parlare con lei e guardarla nel cuore, negli occhi che sono
la porta del cuore. Guardare una persona negli occhi è una cosa straordinaria. È
questo che mi riporta ogni anno nel Sud.
Il tuo primo album s'intitola
“Io e Luca”: di cosa parla?
Parla di Luca artista. “Io e
Luca” è proprio un guardarsi allo specchio. È Luca che si guarda allo specchio
e si rende conto che dentro di lui c'è proprio questa voglia di esprimersi, di
emozionare e far emozionare, e di emozionarsi lui stesso. Perché è proprio
questo confrontarsi, questo scontro di emozioni, che poi mi fa scrivere, mi fa
avere voglia di scrivere e di cantare ancora. Quindi questo scambio di
emozioni, questo confrontarsi, questo guardarsi allo specchio indica proprio il
fatto che è arrivato il momento di dire qualcosa, di confrontarsi e di parlare
d'amore, perché c'è bisogno che qualcuno parli finalmente di amore, in senso
lato, positivo, vero.
Puoi definirti un sognatore?
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
È di fare sentire il mio pensiero
a tutti quanti, anche per pochi secondi, di fare conoscere questo piccolo
artista dappertutto, a tutti quanti. Anche per una sola frazione di secondo,
vorrei uno spazio tutto mio per far ascoltare quello che ho da dire a tutti
quanti. Proprio perché sono stato tanti anni in silenzio, adesso voglio fare
conoscere Luca Andrieri. Quello che fino a ieri stava a casa, adesso voglio
farlo uscire, voglio far parlare di lui, nel bene e nel male, il quale
quest'ultimo ci sarà sempre. Però vorrei farmi conoscere un po'. Non è essere
esibizionista, però vorrei che tutti comprendessero il mio stato d'animo, anche
perché come me ce ne stanno una marea. Ci sono tante persone che hanno questa
voglia di comunicare qualcosa che hanno dentro di sé. Ho scelto questo cammino
proprio perché voglio far parlare di me e far parlare tutte quelle persone che
stanno in silenzio e che non hanno avuto, come me, la possibilità di fare
questo cd. Voglio parlare per loro.
Chi desidera seguirti e
saperne un po' di più sulla tua musica, dove può rivolgersi?
Alcune parole per i giovani.
Tanti sogni non sono fini a se
stessi. Il mio album dimostra che i sogni, se vuoi, si possono realizzare ed io
il mio l'ho realizzato con questo cd. La musica, per chi la vive come me, è
veramente un mezzo fantastico per comunicare con gli altri, è universale, ti fa
comunicare con tutti. Sono dei sentimenti che tu metti in musica e puoi
comunicare anche a chi non parla la tua stessa lingua. Basta metterci il cuore
e puoi arrivare dove vuoi. Nel mio percorso forse sono stato avvantaggiato
perché ho trovato sempre gente fantastica, sempre gente per bene, e sono
orgoglioso perché sono sempre stato circondato da persone meravigliose. Vorrei
che tutti prendessero una chitarra, cominciassero a strimpellare e tirassero
fuori i propri sentimenti. Tutti hanno i sentimenti, la difficoltà sta nel
farli uscire fuori, però una volta che escono fuori poi vedi che non li fermi
più.
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