- di Saso
Bellantone
Buon meriggio
web,
la scomparsa
di Nelson Mandela avvolge una fascia in segno di cordoglio nel tuo
braccio. Una fascia nera. Nera come il colore della pelle per la cui
libertà Rolihlahla – il nome datogli alla nascita, che significa
“colui che provoca guai” – si è sempre battuto, fondando
associazioni, movimenti, uffici legali e finendo persino dietro le
sbarre. Mandela sarà sempre ricordato per i guai causati ai
promotori e sostenitori dell'apartheid, quella forma di governo cioè
basata su alcune prerogative. Separazione tra bianchi e neri in zone
differenti, territoriali e pubbliche; proibizione della sessualità
promiscua, dell'accesso in precise zone urbane, se non per mezzo di
passaporti speciali, o dell'uso di determinate strutture pubbliche;
messa al bando di ogni opposizione comunista; obbligo della
registrazione per razza; discriminazione lavorativa; confinamento nei
ghetti. Mandela è stato un esempio di libertà per molti
connazionali, con i quali, persino dietro le sbarre e nei campi di
battaglia, è riuscito a far crollare tale regime e ad instaurare nel
Sudafrica non soltanto la democrazia, ma anche l'uguaglianza tra gli
esseri umani, indipendentemente dal colore della pelle, e la libertà.
Anzi, le libertà. Oggi tutte le proibizioni, i divieti, le
prescrizioni e gli obblighi sopra citati non ci sono più... in
Sudafrica. Ma nella democrazia planetaria, oggi, può dirsi lo
stesso?
Guardandolo
con occhi altri, il globo sembra essere un Apartheid
economico, suddiviso
cioè tra chi ha i soldi (celebrità, autorità, potere) e chi non ce
li ha. I primi sono liberi, specialmente dal lavoro, i secondi sono
schiavi, soprattutto del lavoro. I ricchi sono proprietari: di case,
terreni, aerei, treni, navi, aziende, banche, partiti, canali
televisivi, radio, giornali e persone. I poveri non possiedono
nemmeno se stessi. Infatuati subliminalmente dallo stile di vita dei
primi, inoculato nella loro psiche e nel loro inconscio per mezzo
degli strumenti di comunicazione di massa, i poveri sognano di
diventare dei ricchi e di imitare questi ultimi in ogni livello della
società.
Di abitare
nei luoghi “dei” ricchi, in ville sfarzose o case talmente
accessoriate, ecologiche e tecnologiche a un tempo, da evocare quelle
lette nelle pagine o viste nelle pellicole dei maestri della
fantascienza. Di sposarsi “tra” ricchi, con cerimonie
lussuosissime e privatissime svolte in castelli medievali, antichi
templi e monasteri o in isole felici sperdute nell'oceano, nel
deserto o nelle più alte vette del globo. Di frequentare i locali
“dei” ricchi, come i bilionaire, gli attici, i privè, le sfilate
di moda, le serate di gala, i casinò, i camping, le spiagge, i
ristoranti, i villaggi e i negozi creati dai ricchi per i ricchi. Di
accedere alle prime classi di aerei e treni, di entrare negli stadi e
nelle strutture pubbliche per mezzo di accessi riservati. Di guidare
costosissime automobili e motociclette. Di possedere le tecnologie
più recenti. Di vestire capi firmati. Di diventare, insomma, dei vip
a tutti gli effetti, aventi cioè tanti soldi, che è uguale ad avere
tanto successo, che è uguale ad avere tanta influenza nelle stanze
dei bottoni di ogni dimensione della nostra società, che è uguale
ad avere potere.
Imbambolandosi
con queste fantasticherie, i poveri non si rendono conto di aspirare
ad emanciparsi da se stessi, cioè da quell'unico elemento che li
tiene ancorati a quell'idea di umanità e di buon senso che li
contraddistingue e li fa essere, ognuno, unici: la povertà.
Che
significato ha l'attuale scaldarsi per essere tutti (di nuovo)
benestanti? Un'uguaglianza economica, e cioè l'avere tutti quanti un
conto in banca illimitato e imperituro, può forse risolvere
definitivamente i reali problemi nei quali si è coinvolti? I
malanni, le deformità, le imperfezioni genetiche non dovrebbero
essere curabili o correggibili gratuitamente? Le attività e le
pratiche inquinanti, con le quali uccidiamo il pianeta, non
dovrebbero essere sostituite da condotte ecologiche, a tutela di
esso? Le calamità naturali non dovrebbero essere previste e
prevenute? Internet, il cellulare, l'energia elettrica, l'acqua
potabile, il carburante, l'igiene cittadino, la salute, l'istruzione,
la formazione continua, la pensione, un tetto sotto il quale abitare,
ristorarsi, recuperare le forze e condividere il tempo che resta con
le persone che si ama e da cui si è amati, non dovrebbero essere
fruibili gratuitamente da tutti per diritto? Senza tassazione alcuna?
L'essere umano non dovrebbe avere per diritto naturale un lavoro col
quale sentirsi parte della comunità nella quale vive? I mezzi
pubblici non dovrebbero essere gratuiti per tutti? E se così non è
possibile, l'azienda non dovrebbe decurtare dalla busta paga le spese
che l'impiegato o l'operaio sostiene per andare a lavorare? Lo Stato
non dovrebbe conteggiare le spese a cui il disoccupato fa fronte per
trovarsi un lavoro o affrontare un concorso? L'Iva, l'Irpef, l'Inps,
le spese di registrazione, di gestione, di invio e ricezione
documenti, di assicurazione, di bollo, non dovrebbero essere
aboliti? L'essere umano non dovrebbe nascere senza problema economico
alcuno?
No, mio caro
web, non è essendo tutti quanti dei vip che è possibile affrontare
questi problemi, perché avendo le tasche piene si baderebbe soltanto
alla fama, al successo, al potere e alla differenziazione in classi,
conseguente, tra chi ha soldi e chi non ne ha. Perché per essere dei
vip, è necessario che qualcuno non lo sia. E ciò vuol dire che
occorre che qualcuno sia squattrinato, sventurato, povero e pazzo,
affinché qualcun altro sia benestante, fortunato, ricco e potente.
È
preferibile che siano tutti quanti in rosso, in bancarotta,
nullatenenti, per accorgersi di quei problemi e per accorgersi che
tante di quelle tassazioni non hanno diritto ad esistere. Sono
soltanto delle invenzioni per creare distinzioni sociali, gruppi,
divisioni tra ricchi e poveri, vip e sconosciuti, potenti e
impotenti.
Possibile,
mio caro web, che, malgrado non si sia ancora diventati tutti poveri,
non ci sia un Mandela dentro di noi? Possibile che nessuno si sia
accorto dell'Apartheid
economico nel quale
viviamo e nel quale siamo costretti? Possibile che non ci sia nessuno
che affermi “Non importa quanto stretto sia il passaggio/quanta
piena di castighi la vita/, io sono il padrone del mio destino;/io
sono il capitano della mia anima”(Invictus,
di W. E. Henley), e che si batta per la giustizia? Per il diritto ad
abitare questo mondo, sgravati dal peso delle diaboliche invenzioni
umane in vista del potere?
Riposa
in pace, Nelson, per un po' di tempo. Riposa in pace, e rinasci. Urge
un Rolihlahla per il pianeta. Noi, “neri” dell'Apartheid
economico,
abbiamo bisogno di “qualcuno che provochi guai”. Per il nostro
bene.
Medita web, medita...
pubblicato su Cmnews.it
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