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di Saso Bellantone
Ho spento il lume; la finestra aperta
ora la notte nel suo flutto bagna,
mi abbraccia mite come una sorella
e come una compagna.
Eguale nostalgia ci ammala e sogni
che sembrano presagi: con alterna
voce parliamo degli antichi giorni
nella casa paterna.
È
notte. Nulla è più chiaro, anzi più buio della notte. Non è più giorno, non c’è
più luce, niente ha chiarezza fuorché il fatto che sia notte e che, in essa,
sia buio. Buio del tempo, del lavoro o dell’ozio. Buio del calcolo, dei bisogni
e delle aspirazioni. Buio delle relazioni: sociali, affettive, economiche,
intellettuali, di apparenza o di convenienza. Buio delle difficoltà: imprenditoriali,
operaie, casalinghe, statali, fiscali, genitoriali, morali, fisiche e
fisiologiche. Buio delle sensazioni, delle emozioni e anche delle parole.
Quando è notte, la lotta per la sopravvivenza trova la sua fermata. Il tutto
trattiene il fiato ed ecco che, come abbandonandosi a uno stato di sospensione
mai voluto e sempre desiderato, accade il resto. Preciso, necessario, quasi
come inevitabile.
Spegnendo
la fioca luce della abat-jour della propria camera, è come disattivare la
propria mente, scintilla del corpo. Guardando oltre la finestra, è come
scrutare al di là di se stessi. Scorgere le maree del buio che, docili, cominciano
a bagnare la finestra per entrare dentro la nostra camera, è come avvistare il
flutto di un enigma che inumidisce i nostri occhi immateriali e la nostra
stessa carne, e ci travolge con l’affetto del nostro stesso sangue e l’amore
della persona amata.
È
qui, in questo momento senza tempo e in questo luogo senza spazio, che si
sperimenta quel che sfugge quando è ancora giorno e tutto è chiaro: il
pensiero. Qui, si brama ardentemente il passato, qui si vive il futuro come
fosse una profezia. Qui, una volta ciascuno, si discute con la notte e con l’enigma
a proposito del senso dell’esistenza, dell’origine del tutto e anche di noi
stessi.
Nella
poesia Notte, Hermann Hesse dice a
ognuno di noi, metaforicamente, quanto è importante la notte con il suo buio e
il niente con i suoi segreti. Noi fuggiamo entrambi e li impegniamo,
impegnandoci, facendo nulla oppure riempiendoli nella stessa maniera nella
quale viviamo il giorno e il tutto. Secondo Hesse questa, la continuità, non è
la soluzione migliore. l’essere umano ha bisogno della discontinuità, della
frattura, del bisogno di intendere la notte in quanto notte e il niente in
quanto niente. L’essere umano necessita del pensiero, dell’inatteso, dell’impossibile
perché, forse, soltanto ciò avviene è davvero giorno, è davvero il tutto e,
forse, si è davvero se stessi.
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