- di Natale Zappalà (natalezappala.blogspot.it)
Il calendario del reggino brulica
ancora, all'inizio del III millennio dell'era volgare, di feste sacre ispirate
al sovvertimento della quotidianità tramite l'evasione momentanea dalle briglie
della routine.
Le ricorrenze religiose si
contraddistinguono spesso, sulle rive dello Stretto di Scilla in particolare e
nel Mezzogiorno in generale, nell'accostare ai già citati momenti di evasione
dall'ordinaria follia un aspetto, per così dire, “rituale”, costituito di
processioni più o meno lunghe, durante le quali la statua del patrono o della
matrona di turno viene recata in trionfo (occhio ai termini: il trionfo era la
sfilata del generale romano vittorioso, l'imperator, di ritorno
dall'impresa militare) per le vie del borgo o della città.
Molti antropologi o storici delle
religioni hanno opportunamente sottolineato l'innegabile somiglianza che lega
le feste patronali/matronali odierne e le antiche ricorrenze pagane. Si tratta
di similitudini evidenti soprattutto nel caso di Reggio, in merito a cui, le
fonti – gli scritti degli antichi autori, con l'ausilio della documentazione
epigrafica – hanno registrato l'esistenza di celebrazioni in onore ad Apollo,
Artemide, Atena e Dioniso. Non sono tuttavia pervenute informazioni dettagliate
relativamente all'una o all'altra festa, ma certamente in riferimento ai culti
poliadi – in onore alle divinità tutelari della città – si possono desumere
alcuni dati sostanziali.
A Reggio le divinità tutelari,
connesse a livello mitico alla fondazione stessa della polis, erano
Apollo ed Artemide. In occasione di una festa primaverile dedicata ad uno di
questi numi era solito esibirsi un coro di trentacinque giovani proveniente da
Messina, diretti da un maestro ed accompagnati da un flautista. Tale
ricorrenza, risalente quantomeno al V sec. a.C., univa simbolicamente le due
città dello Stretto, i cui destini politici, d'altronde, risultano spesso
intrecciati nel corso della loro storia, basti pensare alla rifondazione della città
peloritana (489/488 a.C.) ad opera del tiranno reggino Anassila.
Al medesimo contesto agonale –
dedicato ad Apollo Archegetes (“fondatore”) sulla scorta della
circostanziata tesi avanzata da Felice Costabile, docente di epigrafia e storia
del diritto romano presso l'Università “Mediterranea” di Reggio Calabria –
vengono ricondotti un rito di purificazione delle donne sposate, consistente
nell'esecuzione di canti corali (“peana”), al termine del quale venivano
raccolti dei ramoscelli d'alloro nella boscaglia intorno al tempio di Apollo
Minore – con buona probabilità identificabile nell'edificio cultuale di età
classica rinvenuto nel 1978 nell'area dell'odierna Rada Giunchi –, che venivano
poi trasportati in Ellade, al santuario di Delfi, sede del celebre Oracolo;
proprio il vaticinio della Pizia, tanto per chiudere il “cerchio rituale” della
memoria antica, aveva indicato a Calcidesi e Messeni provenienti dalla penisola
greca il sito in cui fondare Reggio, nell'ultimo quarto dell'VIII sec. a.C.
Se la lunga durata, sessanta
giorni, di queste presunte Apollinee induce ad ipotizzare una frequenza
pluriennale (magari quattro anni) della ricorrenza, altrettanto solenni
dovevano essere le Artemisie registrate dalla tradizione popolare
cristiana – nonché da molte iscrizioni di età ellenistica e romana – in
riferimento alla venuta di Paolo di Tarso a Reggio, e quindi alla
cristianizzazione della città. Dalle notizie pervenute in proposito si sa che
l'intera cittadinanza in giubilo si recava presso il promontorio Pallantion
– denominazione emblematica, quest'ultima, richiamante delle altre località
sacre ad Artemide, in Grecia e persino a Roma –, la medievale Punta Calamizzi,
vero e proprio simbolo ancestrale della regginità. Sul Pallantion, in
età protostorica, era perito il primo fondatore di Reggio, l'Eolide Giocasto,
morto in seguito al morso di un serpente velenoso ed oggetto di un culto eroico
in epoca classica. Spetterà poi ai Cristiani il compito di convertire in
positivo il ricordo del serpente omicida, edificando in loco la chiesa
di San Giorgio Drakoniaratis, cioè “del serpente”. Ammesso che l'arrivo
di Paolo, tradizionalmente immune, insieme ai suoi discendenti (i cosiddetti
“sanpaolari” del folklore meridionale) al veleno animale, non sia stato
localizzato sul Pallantion, una lingua di terra totalmente pervasa dal
ricordo ossessivo dei rettili, in maniera del tutto casuale.
Ricompattamento del corpo civico,
scansione del tempo e dei cicli stagionali, rottura degli schemi della
quotidianità, temporanea sovversione dell'ordine sociale con ampi spazi di
libertà garantiti alle componenti emarginate come donne, schiavi e meteci
(liberi-non cittadini ivi residenti per ragioni commerciali): questi, in
sintesi, i tratti salienti delle festività pagane di un tempo.
Che cosa è cambiato oggigiorno?
Le processioni cristiane non seguono forse il tracciato viario della città
antica, trasportando la statua del patrono/matrona dalla acropoli al santuario
extra-urbano? Non sono forse i sindaci, massime autorità cittadine al pari di
arconti e pritani del passato, a guidare, con l'ausilio dei sacerdoti, i
cortei? E non sono soprattutto i lavoratori, componenti emarginati della
società del Terzo Millennio dominata da banche, tasse e sprechi, a trarre
giovamento dal giorno di riposo accordatogli?
Poco è cambiato, fra religione,
ritualità e significati pragmatici di entrambe, nel trapasso plurimillenario
che separa Artemide dalla Madonna della Consolazione, ma certamente,
inquadrando i fattori di continuità e rottura che intercorrono fra ieri ed oggi
attraverso una prospettiva storicistica coerente e scientificamente fondata,
ciò che rimane – ed è già molto – sono le nostre radici.
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