- di Saso Bellantone
Tra i concetti di civiltà e di cultura vi è una stretta connessione (http://disoblio.blogspot.com/2011/04/dalle-antiche-civilta-alla-civilta.html). Un gruppo di individui può intendersi una civiltà quando sviluppa e condivide storicamente un insieme di elementi: linguaggi, leggi, ordinamenti, culti, miti, saperi, arti, scienze, tecniche, usi, costumi, tradizioni. Lo stesso gruppo può dire di avere una propria cultura non soltanto perché si riconosce come una civiltà mediante l’insieme degli elementi appena elencati, ma quando da questi ultimi ricava un’interpretazione generale della vita. In questo senso, ogni civiltà è una cultura, ogni cultura è una civiltà.
Nel corso dei secoli, molte civiltà, dunque molte culture, sono scomparse e quelle attualmente irriducibili sono pronte a svanire, a causa della globalizzazione. Questo fenomeno coinvolge infatti la totalità degli individui abitanti il pianeta Terra, organizzandoli alla maniera di un’unica civiltà – appunto, planetaria – contrassegnata da medesimi linguaggi, leggi, ordinamenti, culti, miti, saperi, arti, scienze, tecniche, usi, costumi, tradizioni, insomma da una medesima cultura (interpretazione della vita): il capitalismo.
Il capitalismo è quel modo di pensare che, interpretando la vita alla maniera del lavoro, della merce, del denaro, spersonalizza l’esistente e il mondo delle relazioni umane. È il linguaggio che si parla, la legge che si rispetta, il dio che si venera, il sapere che si possiede, le arti, le scienze e le tecniche che si praticano, gli usi, i costumi e le tradizioni che si consolidano giorno per giorno. È quella forma di pensiero che aggredisce il pianeta e che costringe la totalità degli individui a ragionare nel medesimo modo, ossia a calcolare e a capitalizzare. In altre parole ad accumulare merci, beni, ricchezze – e prestigio – da investire per tesaurizzare in seguito altre merci, beni, ricchezze da investire nuovamente dopo e così via, senza fermarsi mai. Portato alle estreme conseguenze, il capitalismo riconduce le merci, i beni, le ricchezze della totalità degli individui – in una parola, la vita di tutti – nelle mani di pochissimi, ognuno dei quali le impiega per lottare “economicamente” con gli altri pochissimi, allo scopo di ottenere il potere: il dominio del pianeta e del genere umano. Pur coinvolgendo la totalità degli individui, il capitalismo si manifesta come una cultura nelle mani di questi pochissimi possidenti, ricchi, multimilionari, potenti – appunto detti “capitalisti” – i quali sono di già, o lo saranno presto, i signori della Terra. Cioè, i signori della civiltà planetaria.
Se lo scenario nel quale viviamo è quello appena descritto, tutto diventa problematico, perché qualsiasi ente e avvenimento non fa che riverberare la cultura, l’interpretazione della vita, il pensiero prevalente la civiltà planetaria: il capitalismo. Questa sorte spetta anche agli eventi culturali. Nel panorama tracciato, l’espressione “evento culturale” avrebbe il senso di un accadimento che si dà nel modo della cultura dominante e che in quest’ultima trova il proprio scopo: il capitalismo. Quell’espressione, quindi, significa né più né meno un “evento capitalistico”, una circostanza nella quale quel che accade non è altro che il capitalismo stesso, ossia tesaurizzazione e investimento senza sosta di merci, beni, ricchezze e prestigio che spersonalizza l’esistente, violenta il pianeta e accresce il potere dei signori della Terra. Se un evento culturale non è altro che un evento capitalistico, che senso ha allora parlare ancora di eventi culturali? Perché si continua a organizzarli e a parteciparvi? A che pro un individuo, o un gruppo, li programma e/o vi prende parte? Nel contesto globalizzato, globalizzante, planetario, capitalistico, gli eventi culturali sono diventati un problema, o meglio, un riflesso del problema dei problemi dell’umano contemporaneo, vale a dire la sua cultura, la sua interpretazione della vita, il suo modo di pensare: il capitalismo. Quanti ne sono consapevoli? È possibile che qualcuno non sia al corrente del fatto che, nell’organizzare e/o nel partecipare a un evento culturale, di fatto, pianifica e aderisce a un evento capitalistico? E se ne fosse cosciente? Perché progettare e/o intervenire a un evento apparentemente culturale ma sostanzialmente capitalistico? È possibile che si continui a usare l’espressione “evento culturale” proprio perché si vuole contrapporre al capitalismo qualcosa che capitalismo non è? Se così fosse, l’espressione “evento culturale” soddisfa tale intenzione? Che cosa significa “evento culturale”?
Il termine “evento” indica un avvenimento – di qualsiasi tipologia, quindi fisico, astrofisico, chimico, giuridico, religioso, politico e via dicendo – che rompe la routine introducendo una novità. Facciamo degli esempi: evento è il cadere e il conseguente frantumarsi, all’interno di una camera vuota, di una lampadina, staccatasi improvvisamente dal lampadario; evento è il sopraggiungere di un’idea mai pensata; evento è il passaggio di una stella mai vista, la scoperta di una cura farmacologica, l’approvazione di una legge, l’assistere a un miracolo o la creazione di una Carta Costituzionale. Evento è l’accadere del nuovo in un preciso spazio-tempo ma è tale soltanto se c’è un osservatore (soggetto) che si accorge di esso. Se non ci fosse, non sarebbe un evento né si potrebbe parlarne al riguardo. Un evento è un avvenimento nuovo per un soggetto (almeno) o per una comunità. Per esempio: morire non è evento per colui che muore ma lo è per gli altri che assistono o giungono a conoscenza della sua morte. Quindi, “evento” è l’accadere del nuovo per un soggetto o per una comunità.
Da “cultura”, il termine “culturale” indica il modo dell’accadere di un dato fenomeno riguardante una civiltà, la quale si riconosce come tale mediante un insieme di attività intellettuali e pratiche, dalle quali trae e condivide una medesima interpretazione della vita (vedi sopra).
Un “evento” può dirsi “culturale” quando chiama in causa, mediante una, alcune o l’intero insieme di attività proprie di una civiltà, l’interpretazione della vita di quest’ultima, introducendo una novità. Nell’era della civiltà planetaria avente una medesima cultura/interpretazione della vita, il capitalismo, non è possibile parlare di “evento culturale” proprio perché in tali circostanze non si assiste ad alcuna novità. Nel corso di ogni evento culturale si fa esperienza non del nuovo bensì del solito, dell’abituale, del noto, vale a dire la riduzione della totalità degli enti a merce, bene, ricchezza da tesaurizzare e investire continuamente; la spersonalizzazione dell’esistente; l’abuso del pianeta; l’assicurazione del potere dei signori della Terra. Si esperisce, ogni volta, il capitalismo stesso, la sua logica. Per questo motivo è preferibile parlare di “evento capitalistico” e non di “evento culturale”. Ciò nonostante, si continua a impiegare quest’ultima espressione, organizzando e partecipando a eventi culturali. Perché? Sembra che l’essere umano non riesca a farne a meno. Quale bisogno lo spinge a impiegare quell’espressione e a organizzare e a partecipare agli eventi culturali? A ben vedere, due diversi tipi di bisogno: l’uno capitalistico, l’altro anti-capitalistico.
Consci che il marchio dominante la nostra era è il capitalismo, alcuni organizzano e/o partecipano a eventi culturali per il bisogno di tesaurizzare e investire merci, beni, ricchezze, prestigio, insomma per il bisogno del potere; altri perché sono mossi da un bisogno estraneo al capitalismo. Mentre i primi intendono il termine “culturale” come un sinonimo di “capitalistico”, i secondi invece lo considerano come qualcosa di radicalmente diverso. Associandolo infatti ai saperi, alle arti, alle scienze, insomma alla “conoscenza” – erroneamente, in quanto “cultura”, nella nostra società planetaria, è il capitalismo stesso – questi ultimi organizzano e partecipano a eventi culturali perché credono, nel corso di queste circostanze, di trovarsi in una regione “altra dal capitalismo”, nella quale cioè il capitalismo non c’è più, non è più. Di quale regione si tratta?
Se il capitalismo è la cultura dominante la civiltà planetaria, allora questa regione “altra dal capitalismo” è un luogo nel quale la cultura dominante e la civiltà che ne scaturisce, quella planetaria, non trovano asilo. Si tratta di uno spazio insomma nel quale l’interpretazione della vita e la forma d’organizzazione della totalità degli individui legate al capitalismo non hanno più alloggio e nel quale, invece, possono trovare dimora “altre” interpretazioni della vita, “altre” forme d’organizzazione della totalità degli individui, in breve una “altra” cultura e civiltà. Chi organizza e partecipa a un evento culturale per questo motivo e secondo questa prospettiva, non lo considera dunque un “evento capitalistico” ma un “evento altro dal capitalismo”, nel quale cioè possono accadere una cultura e una civiltà, dunque un’interpretazione della vita e una forma d’organizzazione della totalità degli individui, “altri” dal capitalismo, al di fuori di esso, estranei a esso. In questo senso, tale “evento altro del capitalismo” non può che essere un “evento del pensiero”.
Nell’era del capitalismo e della civiltà planetaria, un evento culturale può essere considerato un “evento” soltanto quando introduce qualcosa di nuovo rispetto al capitalismo. Che altro, se non il pensiero, può essere inteso una novità nello scenario capitalistico in atto? All’interno del capitalismo, infatti, non esiste pensiero ma soltanto calcolo, il quale si manifesta nel modo del tesaurizzare e dell’investire senza sosta beni, merci, ricchezze e prestigio allo scopo del potere. Nel capitalismo non c’è tempo per il pensiero, soltanto per il calcolo. Un evento culturale, quindi, può essere veramente un “evento” soltanto se strappa il tempo al calcolo per offrirlo gratuitamente al pensiero. Quando un evento culturale avviene alla maniera di un evento del pensiero, che cosa, di fatto, si pensa? Un’altra cultura, un’altra civiltà, un’altra interpretazione della vita, un’altra forma di organizzazione della totalità degli individui. In altre parole, un modo di pensare e di abitare il mondo diversi, alternativi a quelli capitalistici. Nel corso di un evento culturale, cioè di un evento del pensiero, si affronta la questione del capitalismo, ma tale problema non è altro se non la questione stessa del pensiero: che cosa significa pensare, nell’era del capitalismo? La risposta, forse, consiste proprio in quel che accade quando, durante un evento culturale, il termine “calcolo”, inteso nel senso di tesaurizzare e investire allo scopo del potere, è lasciato all’abbandono e quel che si esperisce è tutt’altro che il capitalismo.
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