- di Saso Bellantone
Orologi. Tre orologi deformi e uno consunto dalle formiche. Due si trovano su un solido geometrico, sul quale si regge a stento un albero morto; uno è appeso sul ramo dell’albero avvizzito; e l’altro è sul volto di un uomo addormentato sulla sabbia di una baia irreale. I solidi, alcuni monti lontani e la luce abbagliante di un sole che non si vede, nella quale si confondono cielo e mare, delimitano l’insenatura. La persistenza della memoria (1931) di Salvador Dalì parla del tempo. Più esattamente, di due tempi: cronologico e mnemonico-onirico. Il primo, è il tempo quantificabile e misurabile, è la convenzione mediante la quale l’essere umano regola la propria esistenza assieme agli altri e attribuisce senso agli avvenimenti. Il secondo, invece, è un tempo incalcolabile e indipendente dalla volontà umana, nel quale sorgono spontaneamente ricordi e sogni.
Queste due tipologie di tempo rappresentano due livelli della realtà completamente differenti tra loro: il conscio e l’inconscio, il convenzionale e il repentino, l’esterno e l’interno, il sensibile e lo psichico.
Cristallizzando e offrendo all’osservatore una visione trasfigurata, assurda, irreale, dunque appartenente alla tipologia di realtà connessa al tempo mnemonico-onirico, nella quale, per contrasto, si pronuncia anche sulla tipologia di realtà legata al tempo cronologico, La persistenza della memoria pone un interrogativo: quale, tra le due, è la realtà? Quale il vero tempo?
Il tempo cronologico mostra una realtà quella fuggevole, transitoria, che passa, nella quale tutto ciò che nasce dirige alla propria fine e niente può tornare indietro. Il tempo mnemonico-onirico invece manifesta una realtà improvvisa, eterna, continua, dove, malgrado la volontà umana, tutto permane e si può persino tornare indietro. Può forse quest’ultima realtà essere quella vera? Può forse conservarsi quando il tempo della vita umana, o di una sola vita umana, è scaduto, è passato, è finito? Chissà se la risposta a questo quesito consiste nella luce abbagliante dell’opera, nella quale cielo e mare si confondono. Che cosa c’è oltre? Un sole, o qualcos’altro? Non è possibile vedere né capire, perché quella luce è così splendente da rendere ciechi. Allora, non resta altro che chiudere gli occhi o dormire, per sperimentare il tempo mnemonico-onirico e la realtà che in esso emerge e continuare a porsi l’interrogativo.
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