- di Saso Bellantone
La solitudine è vuota, fredda, triste.
La compagnia è piena, calorosa, gaia. La solitudine angoscia, perché è silente,
inodore, insipida, buia, surreale. La compagnia quieta perché è fragorosa,
profumata, saporita, luminosa, reale. Si vive fuggendo la solitudine, cercando
la compagnia. Tentando cioè di riempire quel vuoto, di riscaldare quel freddo,
di ravvivare quella amarezza circostante che avvelena il tempo… il proprio. Ci
si sente intossicati dal niente, come una clessidra inversa riempita da eterei
granelli di sabbia, i cui vetri sono pronti a spezzarsi. I granelli pesano come
incudini su di una tela di ragno priva delle sue geometrie, perché ci si sente
privi di tutto: dei suoni, delle essenze, dei sapori, dei colori, delle cose,
degli eventi, delle persone… di un mondo. Quando si è soli ci si sente come stranieri,
quasi apolidi in un limbo cronometrante soltanto la propria dannazione.
A volte, però, le impalpabili sbarre
della propria prigione svaniscono in un battito di ciglia. Si avverte uno strano
senso di sazietà, di calore, quasi come una panacea svincolante da ogni forma
di lancetta. Ci si sente totalmente sani, integri come una sfera di cristallo
che non si è mai frantumata in terra. Come una nota che, dondolando su di un
rigo assieme ad altre note, prende forma, sostanza, realtà. Ciò avviene quando
nel riflesso degli occhi di chi ci sta innanzi e ci sorride, ci parla o ci
tende una mano, si comincia a scorgere se stessi… e captiamo l’inizio.
È il principio di qualcosa di diverso,
di nuovo. La presenza d’altri frantuma la condizione di isolamento nella quale si
galleggiava, svincola dalle viscere dell’incubo imperituro nel quale si era
precipitati e offre consistenza, definizione, ebbrezza. Si prova piacere del mondo
e della società ai quali si accede per mezzo d’altri e, per restarvi, si fa
squadra, branco, gruppo. Ci si influenza a vicenda, ci si contamina per stabilire
un’intesa di tempi, di linguaggi, di mode, di gusti, di condotte, di ragionamenti
e anche di emozioni. Occorre essere in sintonia su tutto, su qualsiasi fenomeno
o situazione concreta o astratta. Pena: l’esclusione dal gruppo e, quindi, la
cacciata dal mondo. Quando si esordisce agli altri e nel mondo, la sintonizzazione
è ancora latente e lenta, perché gli altri osservano, studiano e compongono il nostro
puzzle per tenerci in pugno. Poi, è necessario disciplinarsi, lasciarsi
regolare e sottomettersi alla logica comune, per evitare di tornare nella vecchia
cella che ci attende con la porta spalancata. In queste occasioni non è facile
decidere tra la solitudine e la compagnia. Le prime volte accettiamo di
indietreggiare per fuggire la prigione dell’isolamento, ma quando la compagnia comincia
ad angosciare al pari della solitudine, perché è diventata vuota, fredda,
triste, silente, inodore, insipida, buia, surreale; quando ci si rende conto
che gli altri non hanno mai fatto un passo indietro verso di noi ma hanno sempre
tentato di dominarci e, peggio ancora, di illuderci, è inevitabile… si preferisce
l’emancipazione, l’isolamento, il ritorno all’onirico, all’irreale, alla
sospensione di tutto… e intuiamo la fine.
È la conclusione di una interpretazione
errata di sé, dell’alterità e del mondo delle relazioni, incentrata sulla totale
dipendenza altrui. Si comprende che si dipende dagli altri, sì, ma non da
tutti. Soltanto da coloro che, come noi, sono soli perché si sono ribellati al
branco e, quindi, al mondo. Ma, in primis, si capisce che si dipende
esclusivamente da sé e… dall’aria che si respira, dalla luce del sole da cui ci
si lascia irradiare, dalla sicurezza della casa che ci si lascia alle spalle,
dall’incertezza della strada che si percorre, dal sasso e dalla terra che ci
accompagna nel nostro viaggio, dal fascino dei luoghi e dei paesaggi che si scoprono,
dall’acqua che ci disseta, dalla bacca o radice che sazia la nostra fame, dagli
odori che ci invasano, dai colori che ci ipnotizzano, dai suoni naturali che ci
incantano, dal silenzio della notte nel quale riposiamo. Ma anche, dai libri
che leggiamo, dalla musica che ascoltiamo, dalle opere d’arte che contempliamo,
dai film che guardiamo, dall’uso della tecnologia che facciamo, dai fatti che
accadono o nei quali ci ritroviamo, dai ricordi che riaffiorano nella nostra
mente e permangono nel nostro subconscio, dagli umori che ci scuotono, dalle
sensazioni che ci possiedono, dai sogni verso i quali ci orientiamo, dai
bisogni che ci azzerano, dai complessi legami, meccanismi e processi che
regolano il nostro corpo, dai pensieri che ci indiavolano e… soltanto dopo
tutto questo, dagli incontri che facciamo.
In questo momento, si comprende che la
solitudine è trasformata, alterata, è diventata altro da sé in quanto è abitata
dall’infinita schiera delle entità appena elencate e ci si rende conto che non si
è mai soli. Una volta compreso ciò, occorre prima trovare l’armonia con la
legione di compagni che ci appressa in ogni istante, poi ci si può affacciare agli altri e al mondo delle relazioni, proponendosi come l’armonia stessa che
si è. Per evitare la prigione dell’isolamento e quella del branco, occorre
trovare una consonanza con la complessità che costituisce se stessi. Trovata quest’ultima,
sarà possibile trovare e scegliere dei compagni corrispondenti alla consonanza
che si è, in quanto consonanti ognuno con se stesso. Con tali compagni, sarà
possibile risvegliare tanti altri alla consapevolezza che ogni consonanza
microscopica, ogni individuo, appartiene già a una consonanza macroscopica, all’intero
cosmo.
...La solitudine è tranquillità, significa allontanarsi dal caos del mondo per racchiudersi dentro sè stessi e comprendersi a fondo, la solitudine rallegra più della compagnia se la si sa ascoltare... Con tutto ciò che ci circonda dobbiamo sempre essere pronti a star in silenzio,allontanarci un pò solo per capire che non è da noi stessi che dobbiamo scappare ma dalle paure ingenue e cattive che invadono le nostre menti quando si pensa alle preoccupazioni e ossessioni del mondo...
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