- di Saso Bellantone
Buon
meriggio web,
temporali
si avvistano all’orizzonte. Acquazzoni, segnalati da tuoni e fulmini affamati d’afa
come avvoltoio bramoso della prossima carcassa. Il vento fa la sua parte. Avvicina
alla costa, con la sua furia, grandi masse di nuvole nere, cariche di pioggia pronta
a lavare via, molecola per molecola, i vapori di una stagione estiva abbrustolita
dalla follia della verità: la crisi.
I
paesi sono stati semivuoti per la maggior parte della stagione. Il turismo
scarso. Le attività commerciali sono state abitate da ombre, tele di ragno e
spettri. Le strade sono rimaste immobili, come le stesse case abitate da morituri,
in attesa del colpo di grazia che tarda sempre ad arrivare. Si è speso con
cognizione di causa. Quanto si è potuto. Si è pesato il centesimo, per
assicurarsi di pagare le tasse, tutte le tasse, e garantirsi un boccone a testa.
Ma
questo è quanto è avvenuto nelle ore diurne. Durante la notte, tutto è
cambiato. I paesi si sono popolati dei soli propri abitanti. È apparso qualche
turista. I commercianti hanno asciugato la loro fronte. Le vie dei paesi hanno
preso vita, assieme alle abitazioni improvvisamente pregne di parole, rumori e
cin cin. Ci si è lasciati andare. Non si è badato a spese, tasse e quant’altro
ma soltanto a dimenticare la folle disperazione della crisi dentro un
bicchiere, pieno di sogni di vite e di luppolo.
Si
è andati avanti così per tutta la stagione, spezzati nel corpo e nella mente da
una crisi, valoriale ed economico-finanziaria che si è toccata con mano. Tutti l’hanno
tastata. Tranne i piccoli, protetti dalla loro stessa innocenza, i giovani in
attesa che Eros li colpisse con una delle sue frecce, i vecchi abbandonati alla
solitudine di una casa vuota, e i pazzi preservati dal labirinto che il destino
ha riservato loro o che loro stessi hanno creato da sé e per sé.
Adesso,
però, che le corvine nuvole aprono le proprie cateratte e rilasciano la pioggia
per lavare via l’estate, tutto cambia di nuovo. L’aria diviene più fresca e
tale frescura sembra chiamare ognuno per nome. Sembra invitare ognuno a uscire
fuori dalla propria abitazione e da se stesso, verso quell’ambiente in cui non
è giorno né notte ma è soltanto piovoso. È un richiamo irresistibile. La pioggia
sembra quasi un evento miracoloso, quasi una panacea, malgrado il malore sia
uno soltanto. E allora ecco che ci si abbandona alla pioggia, ci si lascia inzuppare
da Lei per alimentare quel niente di speranza rimasto nella parte più remota di se stessi e appena apparso innanzi ai propri occhi. Il sogno, cioè, che la
frescura dell’acqua si porti via la malattia penetrata nella carne oltre che
nella mente: la follia della verità, la crisi.
Ma
la pioggia, mio caro web, non è soltanto pioggia. Il farmaco per curare la crisi,
puoi scoprirlo soltanto tu e, forse, tu e la pioggia siete la medesima entità.
Medita
web, medita…
Mi ricorda tanto Cesare Pavese il "meriggio" ricordato nell'incipit. Mi ha evocato la dolce e, per ossimoro, amara, concezione del tempo meridiano, nello scrittore delle Langhe. Legato per simbiosi innata al senso profondo del mito, Pavese ha cercato di slegarsi dai condizionamenti culturali imposti dal sistema, dalla gretta realtà, come offuscata dal sole di un destino oscuro. E così il temporale, le nubi grigie, frutto di un volere che non è solo mito in se, mi evocano quelle sostanziali "forze ctonie", più volte citate velatamente da Pavese, attraverso le quali, nel momento simbolico del "meriggio", si realizza il ritorno ad una dimensione naturale, originale, mediante il contatto primitivo con ciò che si è. Forse perché la pioggia non è soltanto pioggia. Magari perché fuggiamo troppo spesso dal dovere di preservarci la dignità, che questa crisi ci toglie ogni giorno. Siamo vittime inusitate di uno strano e subdolo carnefice. Inusitatamente coscienti di subire, non avvertiamo preventivamente il vento che preavvisa il temporale, e l'odore di terra smossa in balia della tempesta.
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