- di
Saso Bellantone
Me
ne vado per le strade
strette
oscure e misteriose:
vedo
dietro le vetrate
affacciarsi
Gemme e Rose.
Dalle
scale misteriose
c'è
chi scende brancolando:
dietro
i vetri rilucenti
stan
le ciane commentando.
…
La
stradina è solitaria:
non
c'è un cane: qualche stella
nella
notte sopra i tetti:
e
la notte mi par bella.
E
cammino poveretto
nella
notte fantasiosa,
pur
mi sento nella bocca
la
saliva disgustosa. Via dal tanfo
via
dal tanfo e per le strade
e
cammina e via cammina,
già
le case son più rade.
Trovo
l'erba: mi ci stendo
a
conciarmi come un cane:
da
lontano un ubriaco
canta
amore alle persiane.
Che senso ha la vita quando essa stessa è capitalizzata? Non si
spreca nulla. Ogni giorno, dalla mattina alla sera, si programma
tutto. I tempi, gli spazi, le condotte, i pensieri, persino i cinque
sensi. Condannati per nascita alla morte e alla sofferenza, si
sopravvive tentando ripetutamente di scansare le pene inflitte dalla
società di massa, consumistica, capitalistica. Si ha sempre
appetito. Non soltanto, però, di cibo. Si ha fame anche di lavoro,
di una casa, di una famiglia, di amore, di amicizia, di leggerezza.
Si è continuamente affamati del proprio destino. Tragico, aleatorio,
insicuro. Si sopravvive nella preoccupazione che l'attimo che viene
non sia peggiore di quello appena passato. Si è infelici.
Consapevoli di far parte di quell'immenso esercito di pierrot senza
armi né munizioni, si tira avanti a scapito degli altri, prima che
gli altri stessi tirino i nostri fili a vantaggio per loro. Sembra di
stare in un logoro teatro, nel quale innumerevoli burattini sono
costretti a recitare perennemente la medesima scena. Non c'è posto
per il diverso, il nuovo, l'imprevedibile. Tutto è soppesato e
calcolato con certezza matematica. Si è incatenati alla logica della
ripetizione consumistica come cani moribondi in attesa di rosicchiare
l'osso, marchiato col simbolo dell'euro, caduto per sbaglio dalle
mani dei propri insaziabili padroni.
Vi è ancora tuttavia qualche impertinente che, svincolandosi dai
lacci della schiavitù e del dolore per alcuni istanti, riesce a
uscir fuori dal circolo vizioso del capitalismo e a trarre piacere
dallo spreco. Non pianifica nulla, non ha appetito di sé, è felice,
perché gode dello sprecare questi pochi attimi nella piena e totale
libertà, casualità, fuggevolezza. Proprio come descrive Dino
Campana ne La petite promenade du poète.
Questo sfrontato d'un poeta, si muove per le stradine oscure e ignote
della città, e gode nell'osservare, nel vedere ancora la bellezza,
la semplicità, l'affabilità di tutto ciò che gli altri non
riescono a scorgere più. Le donne che si affacciano a una finestra o
che civettano tra loro in casa. Chi scende le scale a fatica. La
stradina silenziosa e solitaria. La luce delle stelle sopra i tetti
delle case. Il fascino della notte. Innanzi a questo spettacolo che
genera innumerevoli fantasie, il poeta si sente povero delle risposte
ai grandi interrogativi dell'esistenza e prova il disgusto nei
confronti della società massificata, consumistica, capitalizzata.
Per questo motivo, continua a camminare e si allontana dal fetore di
questa società finché, quando le case sembrano ormai dileguarsi,
ecco che trova la natura. Fresca, pulita, sana. Ancora là, a due
passi dalla fetida società. Non c'è più nulla da osservare. Mentre
un uomo alticcio canta invano il proprio amore a donne chiuse dietro
le persiane, il poeta s'abbandona all'amore gratuito della terra, si
stende e si rotola sull'erba selvaggia, per sporcarsi, proprio come
un cane, del sano contatto con la terra e appagarsi di essa.
Leggendo oggigiorno La petite promenade du poète di Dino
Campana, si ha la possibilità di raffrontare l'omologata e
rassegnata forma di vita che ognuno di noi conduce in chiave
capitalistica alla ribelle e battagliera vita del poeta. Mentre nel
primo caso, la vita perde il proprio senso perché costretta ad
accadere nelle circoscritte maglie consumistiche della società
consumistica, nel secondo caso la vita preserva il proprio senso, la
vitalità, vale a dire il suo dinamismo, la sua abbondanza, il suo
sgorgare al di là di ogni limite e convenzione umana. Questo
confronto, naturalmente, offre l'occasione, per inverso, di guardare
in faccia la società nella quale si vive e di scorgere la freddezza,
l'indifferenza, l'insensibilità che ha l'essere umano nei confronti
del bello, causata purtroppo dalla paura per il proprio destino, dal
timore di non riuscire a sopravvivere in questo tempo di crisi. La
via del poeta, che apprezza le bellezze della società e di ciò che
sta oltre di essa, è anche la direzione necessaria per uscire non
dalla società bensì dalla crisi che la domina: il ritorno alla
natura. Se la società è regolata dal capitalismo e quest'ultimo
conduce alla schiavitù infelice del consumismo, il ritorno alla
natura offre l'occasione di ripensare l'abitare umano su questo
pianeta, coniugandolo verso l'amore del bello e del naturale e,
anche, della felicità di stare assieme agli altri.
Il poeta, dunque, è sì un impertinente e uno sfrontato ma soltanto
nei confronti della logica capitalistica, di chi la promuove e di chi
la sposa, consapevolmente oppure no. Il suo occhio, la sua voce resta
ancora il sentiero della realtà.
Nessun commento:
Posta un commento