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lunedì 17 giugno 2024

DISsonoria: QUELLO CHE NON C'È - Afterhours


- di Saso Bellantone

Ho questa foto di pura gioia
È di un bambino con la sua pistola
Che spara dritto davanti a sé
A quello che non c'è
Ho perso il gusto, non ha sapore
Quest'alito di angelo che mi lecca il cuore
Ma credo di camminare dritto sull'acqua e
Su quello che non c'è
Arriva l'alba o forse no
A volte ciò che sembra alba non è
Ma so che so camminare dritto sull'acqua e
Su quello che non c'è
Rivuoi la scelta, rivuoi il controllo
Rivoglio le mie ali nere, il mio mantello
La chiave della felicità è la disobbedienza in sé
A quello che non c'è
Perciò io maledico il modo in cui sono fatto
Il mio modo di morire sano e salvo dove m'attacco
Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia
Quello che non c'è
Curo le foglie, saranno forti
Se riesco ad ignorare che gli alberi son morti
Ma questo è camminare alto sull'acqua e
Su quello che non c'è
Ed ecco arriva l'alba, so che è qui per me
Meraviglioso come a volte ciò che sembra non è
Fottendosi da sé, fottendomi da me
Per quello che non c'è
Per quello che non c'è
Per quello che non c'è
Per quello che non c'è

Quello che non c'è... o c'è?
Chi e/o che cosa c'è? Che cosa esiste? Che cos'è l'esistenza? Chi e/o che cosa c'è al di essa? Sopra, sotto, a destra, a sinistra, avanti, indietro, dentro e/o al di fuori di essa? Esiste davvero l'aldilà? E l'aldiqua c'è davvero? Io stesso ci sono, esisto realmente? Si può rispondere definitivamente a queste domande oppure qualunque risposta è solo frutto dell'immaginazione, in quanto si è di fronte a dei vicoli ciechi? A delle strade senza via d'uscita? Ha senso continuare a porsi tali interrogativi oppure è preferibile rinunciare a queste impasse?
Non esiste una soluzione ultima per questi enigmi. Alcuni continuano a porsi tali questioni, altri abbandonano l'impresa, mentre altri ancora hanno già la tavola imbandita. Nessuno, tuttavia, fa la cosa giusta, perché non si ha la certezza di quel che è giusto innanzi a tali rompicapi. Si prende una posizione e sulla base di essa si prova a sbrogliare la matassa della propria vita. C'è chi ci riesce, chi invece no. Ma in entrambi i casi non si fa altro che parlare la medesima lingua: quella dell'illusione.
Fin da piccoli, fino al sopraggiungere – per dirla con Piaget – dello stadio preoperatorio formale dei processi mentali e astratti – una fase cioè in cui si sviluppa il pensiero ipotetico-dedutivo –, si tende a considerare come veri e reali dei fatti che concretamente non lo sono. Per esempio, si crede che pupazzi, personaggi degli anime o forze naturali abbiano una vita vera e indipendente, possano comunicare con noi o tra di loro, abbiamo emozioni proprie. Tale animismo condiziona lo sviluppo di ogni essere umano e soltanto l'educazione e la scolarizzazione possono aiutare a liberarsi di esso. La questione è che si vive già all'interno di una società che lo ha fatto proprio e lo ha assorbito al suo interno per i motivi e gli scopi più disparati, tra i quali la prevedibilità, la sicurezza, l'ordine, il dominio, la garanzia di vita eterna della medesima società e così via.
Si riceve così una formazione (mistico-)religiosa, con la quale l'animismo viene spostato di campo: non più in direzione di pupazzi (feticci), anime e forze naturali ma verso racconti, miti, leggende, tradizioni e testimonianze in base alle quali si fondano la fede e i vari credo. Si trovano, in tal modo, delle risposte pre-confezionate sulle grandi domande intorno all'esistenza e si è chiamati, prima o poi, a scegliere se si è d'accordo oppure no con quelle prescrizioni, con quei dogmi, con quelle spiegazioni.
Proprio qui si presenta il bivio che ognuno ha attraversato almeno una volta nella vita: o si accettano quelle verità rivelate – e dunque si è ben accetti dalla società – oppure no – e si è intesi dalla società come dei fuorilegge, dei pirati, dei banditi.
Questi ultimi sono per la società soltanto un altro problema da inglobare in chiave economico-lavorativa – se proprio non è possibile convertirli. Quelli che contano davvero per essa sono i fedeli, gli osservanti, i praticanti, una certezza cioè, all'interno del mondo dell'economia e del lavoro, che fa funzionare l'intero sistema e lo proietta costantemente al suo domani.
La società si orienta così. Non si cura di chi non accetta quegli articoli di fede, non vuole capirne profondamente le ragioni. Lo etichetta e si assicura soltanto che abbia un profitto e paghi le tasse; che sia stato, in tal modo, incorporato, fatto proprio, sistemato.
A ben vedere, sia il fedele sia il brigante, come già detto, si comportano nel medesimo modo pur prendendo estremi opposti: in entrambi permane una forma di animismo che però conduce il primo, a illudersi che tutto sia così come la fede stabilisce (questa è la sua scelta) e il secondo, a illudersi che non sia così come l'altro crede (questa invece è la scelta dell'altro) e, attraverso il pensiero ipotetico-deduttivo, torna alle domande iniziali, torna alle impasse.
Qual è la differenza tra i due?
Il fedele accetta un'illusione che viene dall'esterno, da altri, mentre il brigante ne produce una interna, personale. Mentre per il primo è tutto chiarito, risolto (ma non per questo vero), per il secondo non vi è nulla di certo se non la consapevolezza di trovarsi all'interno di un labirinto dal quale poter uscire soltanto mediante un evento unico e irripetibile che coincide finalmente con la soluzione ultima a quei grandi interrogativi sull'esistenza.
Questo accadimento, tuttavia, tarda sempre ad arrivare e ciò ferisce, perché ci si rende conto che si è ancora dentro al labirinto, in balia di una vita illusoria. Si finisce così nell'abituarsi a quel ritardo senza sosta e si matura la consapevolezza che pur beffandsi da sé è preferibile una vita da illusi, nella quale ogni avvenimento è vissuto nella sua pienezza, nella quale vivere resta ciò che è più prezioso e la vita stessa mostra il suo volto meraviglioso, malgrado sia impossibile trovare la risposta definitiva al mistero dell'esistenza.

In questo brano degli Afterhours, c'è molto di pedagogia, di psicologia, di sociologia e di filosofia. I protagonisti sono coloro che si pongono le grandi domande sull'enigma dell'esistenza e che non si accontentano delle risposte pre-confezionate dalle fedi, ritenendole illusorie, né sono tentati dalle ricette di altro genere. Sono coloro che sono consapevoli dell'umana tendenza a credere nell'imperscrutabile e che, coscienti che nessuna risposta sia quella definitiva, cercano di non affondare nel mare della vita. Non hanno punti di riferimento, vivono nella confusione continua ma anche nella certezza di essere forti, di riuscire a non sprofondare nonostante il dolore. Sono coloro che amano decidere il proprio destino, che si accettano così come sono, che vogliono essere felici malgrado questa condizione di spaesamento esistenziale. Non accettano questa privazione esistenziale, questo nichilismo, e tuttavia scelgono la vita, non escludendo che forse le cose possano stare diversamente, cioè proprio come gli altri credono. Sono coloro che sperano, malgrado la morte che il genere umano stesso dissemina nell'ambiente in cui vive, consapevoli che la stessa speranza è un'illusione. Coloro che si emozionano innanzi alla bellezza delle cose, che vivono ogni attimo della vita intensamente e per i quali, consapevoli di illudersi da soli, la vita resta comunque un'esperienza meravigliosa.

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