- di Saso Bellantone
Ho
questa foto di pura gioia
È
di un bambino con la sua pistola
Che
spara dritto davanti a sé
A
quello che non c'è
Ho
perso il gusto, non ha sapore
Quest'alito di angelo che mi lecca
il cuore
Ma credo di camminare dritto sull'acqua e
Su quello
che non c'è
Arriva
l'alba o forse no
A volte ciò che sembra alba non è
Ma so che
so camminare dritto sull'acqua e
Su quello che non c'è
Rivuoi
la scelta, rivuoi il controllo
Rivoglio le mie ali nere, il mio
mantello
La chiave della felicità è la disobbedienza in sé
A
quello che non c'è
Perciò
io maledico il modo in cui sono fatto
Il mio modo di morire sano e
salvo dove m'attacco
Il mio modo vigliacco di restare sperando che
ci sia
Quello che non c'è
Curo
le foglie, saranno forti
Se riesco ad ignorare che gli alberi son
morti
Ma questo è camminare alto sull'acqua e
Su quello che
non c'è
Ed
ecco arriva l'alba, so che è qui per me
Meraviglioso come a volte
ciò che sembra non è
Fottendosi da sé, fottendomi da me
Per
quello che non c'è
Per
quello che non c'è
Per
quello che non c'è
Per
quello che non c'è
Quello
che non c'è... o c'è?
Chi
e/o che cosa c'è? Che cosa esiste? Che cos'è l'esistenza? Chi e/o
che cosa c'è al di essa? Sopra, sotto, a destra, a sinistra, avanti,
indietro, dentro e/o al di fuori di essa? Esiste davvero l'aldilà? E
l'aldiqua c'è davvero? Io stesso ci sono, esisto realmente? Si può
rispondere definitivamente a queste domande oppure qualunque risposta
è solo frutto dell'immaginazione, in quanto si è di fronte a dei
vicoli ciechi? A delle strade senza via d'uscita? Ha senso continuare
a porsi tali interrogativi oppure è preferibile rinunciare a queste
impasse?
Non
esiste una soluzione ultima per questi enigmi. Alcuni continuano a
porsi tali questioni, altri abbandonano l'impresa, mentre altri
ancora hanno già la tavola imbandita. Nessuno, tuttavia, fa la cosa
giusta, perché non si ha la certezza di quel che è giusto innanzi a
tali rompicapi. Si prende una posizione e sulla base di essa si prova
a sbrogliare la matassa della propria vita. C'è chi ci riesce, chi
invece no. Ma in entrambi i casi non si fa altro che parlare la
medesima lingua: quella dell'illusione.
Fin
da piccoli, fino al sopraggiungere – per dirla con Piaget – dello
stadio preoperatorio formale dei processi mentali e astratti – una
fase cioè in cui si sviluppa il pensiero ipotetico-dedutivo –, si
tende a considerare come veri e reali dei fatti che concretamente non
lo sono. Per esempio, si crede che pupazzi, personaggi degli anime o
forze naturali abbiano una vita vera e indipendente, possano
comunicare con noi o tra di loro, abbiamo emozioni proprie. Tale
animismo condiziona lo sviluppo di ogni essere umano e soltanto
l'educazione e la scolarizzazione possono aiutare a liberarsi di
esso. La questione è che si vive già all'interno di una società
che lo ha fatto proprio e lo ha assorbito al suo interno per i motivi
e gli scopi più disparati, tra i quali la prevedibilità, la
sicurezza, l'ordine, il dominio, la garanzia di vita eterna della
medesima società e così via.
Si
riceve così una formazione (mistico-)religiosa, con la quale
l'animismo viene spostato di campo: non più in direzione di pupazzi
(feticci), anime e forze naturali ma verso racconti, miti, leggende,
tradizioni e testimonianze in base alle quali si fondano la fede e i
vari credo. Si trovano, in tal modo, delle risposte pre-confezionate
sulle grandi domande intorno all'esistenza e si è chiamati, prima o
poi, a scegliere se si è d'accordo oppure no con quelle
prescrizioni, con quei dogmi, con quelle spiegazioni.
Proprio
qui si presenta il bivio che ognuno ha attraversato almeno una volta
nella vita: o si accettano quelle verità rivelate – e dunque si è
ben accetti dalla società – oppure no – e si è intesi dalla
società come dei fuorilegge, dei pirati, dei banditi.
Questi
ultimi sono per la società soltanto un altro problema da inglobare
in chiave economico-lavorativa – se proprio non è possibile
convertirli. Quelli che contano davvero per essa sono i fedeli, gli
osservanti, i praticanti, una certezza cioè, all'interno del mondo
dell'economia e del lavoro, che fa funzionare l'intero sistema e lo
proietta costantemente al suo domani.
La
società si orienta così. Non si cura di chi non accetta quegli
articoli di fede, non vuole capirne profondamente le ragioni. Lo
etichetta e si assicura soltanto che abbia un profitto e paghi le
tasse; che sia stato, in tal modo, incorporato, fatto proprio,
sistemato.
A
ben vedere, sia il fedele sia il brigante, come già detto, si
comportano nel medesimo modo pur prendendo estremi opposti: in
entrambi permane una forma di animismo che però conduce il primo, a
illudersi che tutto sia così come la fede stabilisce (questa è la
sua scelta) e il secondo, a illudersi che non sia così come l'altro
crede (questa invece è la scelta dell'altro) e, attraverso il
pensiero ipotetico-deduttivo, torna alle domande iniziali, torna alle
impasse.
Qual
è la differenza tra i due?
Il
fedele accetta un'illusione che viene dall'esterno, da altri, mentre
il brigante ne produce una interna, personale. Mentre per il primo è
tutto chiarito, risolto (ma non per questo vero), per il secondo non
vi è nulla di certo se non la consapevolezza di trovarsi all'interno
di un labirinto dal quale poter uscire soltanto mediante un evento
unico e irripetibile che coincide finalmente con la soluzione ultima
a quei grandi interrogativi sull'esistenza.
Questo
accadimento, tuttavia, tarda sempre ad arrivare e ciò ferisce,
perché ci si rende conto che si è ancora dentro al labirinto, in
balia di una vita illusoria. Si finisce così nell'abituarsi a quel
ritardo senza sosta e si matura la consapevolezza che pur beffandsi
da sé è preferibile una vita da illusi, nella quale ogni
avvenimento è vissuto nella sua pienezza, nella quale vivere resta
ciò che è più prezioso e la vita stessa mostra il suo volto
meraviglioso, malgrado sia impossibile trovare la risposta definitiva
al mistero dell'esistenza.
In
questo brano degli Afterhours, c'è molto di pedagogia, di
psicologia, di sociologia e di filosofia. I protagonisti sono coloro
che si pongono le grandi domande sull'enigma dell'esistenza e che non
si accontentano delle risposte pre-confezionate dalle fedi,
ritenendole illusorie, né sono tentati dalle ricette di altro
genere. Sono coloro che sono consapevoli dell'umana tendenza a
credere nell'imperscrutabile e che, coscienti che nessuna risposta
sia quella definitiva, cercano di non affondare nel mare della vita.
Non hanno punti di riferimento, vivono nella confusione continua ma
anche nella certezza di essere forti, di riuscire a non sprofondare
nonostante il dolore. Sono coloro che amano decidere il proprio
destino, che si accettano così come sono, che vogliono essere felici
malgrado questa condizione di spaesamento esistenziale. Non accettano
questa privazione esistenziale, questo nichilismo, e tuttavia
scelgono la vita, non escludendo che forse le cose possano stare
diversamente, cioè proprio come gli altri credono. Sono coloro che
sperano, malgrado la morte che il genere umano stesso dissemina
nell'ambiente in cui vive, consapevoli che la stessa speranza è
un'illusione. Coloro che si emozionano innanzi alla bellezza delle
cose, che vivono ogni attimo della vita intensamente e per i quali,
consapevoli di illudersi da soli, la vita resta comunque
un'esperienza meravigliosa.
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