E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.
Il buio del pensiero è asfissiante, incalzante, improrogabile. Come ombra delle ombre segue ovunque. Non lascia scampo né riposo né solitudine alcuna. Come nemico immaginario, colpisce da qualunque direzione e in qualsiasi momento. Non c'è difesa né armatura né muraglia capace di fermare i suoi fendenti. Come nero manto di origine ignota, non c'è spazio che non sia avvolto, stretto, rinchiuso nella sua oscurità. Toglie il fiato, altera il ritmo cardiaco, modifica i sensi e la percezione delle cose. Incupisce, scurisce, occulta se stessi e le cose a tal punto da con-fondere vittima, labirinto e Minotauro, ritenendoli un tutt'uno. Ci si muove ciechi, dissennati, deliranti in cerca di quella fiamma, di quella luce, di quella stella che possa schiarire anche per un solo istante quello stato di anonimato, di incomprensione, di annebbiamento che avviluppa tutto e ci si ritrova nuovamente privi di vista, fuori di sé, senza ragione. Come Urobòro o un cane che si morde la coda, il buio del pensiero costringe senza sosta a fare i conti con esso. Obbliga a ottenebrarsi, a confondersi, ad annichilirsi. Vincola, ad occuparsi di esso. Non ci si può sottrarre, non gli si può sfuggire, non c'è redenzione. Si vive, così, alla ricerca, si procede a tentoni, tastando con mano le stesse tenebre nelle quali ci si muove, continuamente inconsapevoli se l'orientamento è quello giusto oppure è l'ennesimo errore. E poi, in un effimero istante, ecco la luce. Come in un battito di ciglia, si apre una prospettiva ampia e meravigliosa e si ritira repentinamente nel buio. Si vede tutto, nel silenzioso clamore di quell'apertura inattesa. La terra spossata, ammaccata e ancora viva; il cielo traboccante, fatale e deperito; una casa candida, incontaminata, innocente.
Nella poesia Il lampo di Giovanni Pascoli, è possibile riflettere sul nichilismo e su cosa vuol dire pensare a partire da esso, dentro di esso e nel tentativo di trovare una via d'uscita. Quest'ultima non è scontata e dipende dalla prontezza del soggetto che pensa di cogliere ciò che si apre in un'illuminazione improvvisa, paragonabile a un evento naturale, come per esempio un lampo che rischiara per un attimo la/nella notte buia.
Questo chiarore passeggero offre la chance di mettere a fuoco alcuni elementi-chiave che consentono di orientare il pensiero, prima che torni nuovamente l'oscurità del nichilismo, e di prendere una scelta:
- la terra, simbolo della storia, colma delle ferite provocate dalla fatica del lavoro e dagli eventi politici e sanguinosi che si sono susseguiti nella storia dell'umanità;
- il cielo, simbolo della metafisica, strapieno di interpretazioni portatrici di catastrofi al genere umano, ormai guasto, che ha esaurito la sua antica funzione;
- la casa, simbolo della mitezza, della semplicità, della genuinità, della trasparenza;
- l'occhio, simbolo del vedere, del pensiero;
- la notte nera, simbolo appunto de nichilismo.
È a partire da questi punti di riferimento che, in balia del nichilismo, è possibile pensare all'occasione di trovare una via d'uscita da esso. Forse Pascoli non la trova. Anzi, pare che ai suoi occhi il nichilismo sia un dato di fatto, una certezza che torna ad essere un punto di riferimento nel sottrarre qualsiasi stella polare con la quale orientare il proprio pensiero. Forse lascia al singolo individuo l'eventualità di operare una scelta a partire da quei concetti-chiave, dei quali definisce il senso e la funzione con pochi termini Forse indica nella casa la nuova stella polare con la quale indirizzare il pensiero, all'interno del vicolo cieco che è il/nel nichilismo. Forse...
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