- di Saso Bellantone
Quando arriva l'autunno,
si chiude un ciclo e uno nuovo comincia.
Si pensa al lavoro, ai
sacrifici da sopportare per il sostentamento proprio e dei propri
cari, alle nuove sfide da affrontare. La vita vissuta si riassume
nelle foglie appassite che cadono qua e là per le strade, metafora
appunto del tempo passato ma anche monito del tempo rimasto.
La vita infatti non è
soltanto ciò che è stato ma anche ciò che sarà. È la sintesi di
due occhi che guardano in direzioni opposte e che s'incontrano
soltanto nel qui ed ora, simile quest'ultimo alla moneta avente due
facce, al Giano avente due volti, al Taijitu contenente lo yin e lo
yang.
È in questo periodo che
il qui ed ora, leggero come l'indefinito nella stagione estiva,
inizia a manifestare la propria pesantezza, la propria gravità. Il
cammino diventa più arduo, i movimenti più faticosi, le orme sul
sentiero del tempo e dei ricordi più profonde. Non sappiamo più chi
eravamo né chi diventeremo. Siamo consapevoli che occorre proseguire
lungo la strada verso la foresta, oltre la quale ve n'è un'altra che
conduce a un'altra foresta ancora e così via, finché resteremo in
questo sogno lucido che è il mistero dell'esistenza.
Fa piacere tuttavia
percorrere alcuni tratti di strada con dei compagni inattesi.
Sulla via, infatti, non
sai mai chi incontri e, quando meno te lo aspetti, ecco spuntare
qualcuno che con gesti semplici ti offre l'occasione di rammentare la
tua identità, la tua provenienza, la tua direzione. È quello che
accade ogni volta con l'amico Mimmo De Pietro.
Mio personale maestro di
vernacolo nicoterese, è una persona sui generis, dalla spiccata
intelligenza e dalla grande umanità, una di quelle persone difficili
da incontrare in questo tempo buio e selvaggio qual è quello
attuale. Ha sempre qualcosa da raccontare, la battuta pronta, è
gentile, attento agli impegni familiari e a quelli collettivi. Ma
soprattutto, è una persona sincera, spontanea, senza secondi fini:
naturale.
Ricordo ancora quando
alcuni anni fa portò dei Tangemi o Tangeli, che dir si voglia. Un
agrume che non conoscevo, la cui bellezza, il cui sapore e il cui
profumo ispirarono la scrittura di un racconto dall'omonimo titolo.
Restò incuriosito della mia ignoranza in materia e fu felice quando
scoprì che quell'agrume era stato il protagonista di un racconto,
dedicato a lui.
Da allora è nata una
bella amicizia. Ci vediamo poco, per via degli impegni, ma ogni volta
è come se ci fossimo incontrati il giorno prima. Mimmo fa ricerca
dialettale per insegnarmi quello che non conosco, io gli sottopongo
delle domande a cui lui, se non lo fa subito, risponderà la prossima
volta che ci vedremo. Un'amicizia intellettuale, così mi piace
definire questo tipo di affinità vissuta con pochi altri, e credo
sia la migliore. Nella società, infatti, nulla si fa per
nient'altro, ci dev'essere qualcosa in cambio. Eppure questo tipo di
amicizia sfugge a quella fattispecie. Si dà la conoscenza per il
piacere della conoscenza stessa, si è amici per il piacere di essere
tali.
Ogni anno, tuttavia,
quando arriva l'autunno, Mimmo non dimentica mai di portare alcuni
Tangemi, simbolo ormai della nostra amicizia. Questa volta, però, li
ha accompagnati a dei melograni, dei frutti adatti all'autunno, la
stagione della riflessione. È in questo periodo, infatti, che i
melograni sono pronti per essere gustati, mentre la pianta comincia a
denudarsi delle sue foglie, restando un tronco spoglio,
apparentemente morto, eppure in piena primavera e a inizio estate
torna a mostrare nuovi germogli.
Non a caso gli antichi
pensavano che il melograno simboleggiasse la rinascita della vita.
Non è un caso se quest'anno Mimmo li ha portati assieme ai Tangemi.
Rappresentano una conferma: un rinnovamento della nostra amicizia e,
con essa, anche la rammemorazione della strada percorsa finora e di
quella ancora da attraversare.
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