- di Saso Bellantone
Può darsi che io
non arrivi
a un
certo giorno,
può darsi
che penzolando a un
capo del ponte
lascerò cadere la mia
ombra sull’asfalto…
E può darsi
che, anche dopo
quel certo giorno,
io sia ancora in vita
irsuto di bianco
pelo…
Se sarò vivo
dopo quel certo giorno,
appoggiandomi ai muri
per la
periferia della città
suonerò il violino e
canterò una canzone
ai vecchi, intorno a
me,
che, come me, saranno
sopravvissuti all’ultima battaglia.
E dovunque volgerò
l’occhio,
tutto sarà allegro, splendido,
e la sera stupenda,
e ascolterò il passo
di gente nuova
che intona nuove
canzoni.
È davvero infausto il tempo presente,
“critico” in modo onnicomprensivo: nell’economia, nel lavoro, nello Stato,
nella famiglia, nella casa, nei templi, nei valori, nella coscienza. Ovunque ci
si trovi o si getti lo sguardo, non si scorge altro che insicurezza,
instabilità, fragilità. La vita è talmente liquida che, alle volte, ci si
chiede se è tutto vero o se si è soltanto in un sogno. La generale friabilità
dell’esistenza rende incerti sull’attimo che viene. Si giudica buio il proprio
destino e tuttavia si tenta di gettare una scintilla di luce per vedere cosa
c’è oltre l’ignoto, se il proprio abisso oppure altro, magari un giorno in cui
l’oscurità e la precarietà sono soltanto meri ricordi. All’inizio, il frammento
di luce mostra la stessa incertezza che costituisce la nostra quotidianità: si
teme, disperati, di non vedere mai quel giorno o di farla finita prima,
lasciandosi penzolare da un cappio stretto attorno al collo. Poi, però, ecco
che dalla scheggia di luce balena un po’ di speranza e s’intravede la propria
vecchiaia. Giunto quel tanto agognato giorno, dopo aver lottato e resistito per
così tanto tempo, si concederà alle proprie stanche membra il meritato riposo.
Nelle zone suburbane di ogni città e paese, si festeggerà assieme agli altri
vecchi sopravvissuti la possibilità di costruire una società diversa, felice,
bella, dove è incantevole anche il venir della sera, perché sarà una società
nuova, fatta da persone altrettanto diverse, stupende, belle.
Può darsi, di Nazim Hikmet, è un’attualissima poesia nei cui versi
è possibile scorgere l’insicurezza che l’essere umano prova vivendo la
brutalità e assurdità del tempo presente, dominato da una “crisi” che pervade
in maniera onnicomprensiva la nostra società. Innanzi a questo orribile
panorama, l’essere umano non riesce a capire come andrà a finire, non sa se un
giorno sarà tutto finito né se mai vi arriverà. È certo di morire prima, sì,
per mano del fato, altrui o propria, ma è anche sicuro che non può fare a meno
di resistere, di lottare, di sperare di arrivare a quel giorno dove, come un
messianismo secolarizzato e realizzato, potrà cominciare un mondo diverso, con
persone aventi un modo di pensare, e di vivere, diverso. La posta in gioco,
dunque, non è la vita ma l’idea che una società nuova e differente da quella
attuale è ancora realizzabile. La festa futura, la visione di questa società
priva di ogni differenziazione sociale e ritmata dal rispetto, dalla
tolleranza, dalla comprensione, dall’amore per altro, è la chiave di violino
che, con coraggio, deve orientare i nostri passi sul confuso pentagramma della
sofferente e amara vita attuale.
una bellissima poesia,che fa meditare,mi piace
RispondiEliminacome tutte le poesie di NAZIM HIKMET