- di Saso Bellantone
Quando si esce di casa,
si conosce già cosa c’è al di fuori: stesse strade, stesse case,
stesse persone. Si ha la sensazione di muoversi quotidianamente
dentro la pellicola di un film che, concluso il giorno prima, è
appena ricominciato da capo. Questa interminabile ripetizione, che
non conosce mai il nuovo, dovrebbe annoiare a tal punto da indurre
alla decisione di non uscire più. E invece, ci si abitua ad essa in
maniera talmente rapida che nel percorrere le medesime strade,
osservando le medesime case, incontrando le medesime persone si
inizia quasi a provare piacere. Le persone… Il piacere che si prova
ogni volta che s’incontra qualcun altro, scaturisce dalla credenza
di sapere tutto su di lui: dove abita, che lavoro fa, qual è il suo
carattere, la sua visione del mondo, i suoi gusti estetici, morali,
politici, religiosi, sessuali, sportivi, letterari, cinematografici e
così via. Giudicando tutti dei libri aperti, si affronta
piacevolmente la solita routine nella sicurezza di avere tutto, e
tutti, sotto controllo. Ma quando ci si accorge di un dettaglio, di
un particolare, di una minuzia mai notata prima, ecco che crolla ogni
sicurezza: il piacere della ripetitività si trasforma nella paura
dell'ignoto e la solita pellicola trasfigura in una sceneggiatura mai
scritta.
La sfumatura annebbia
ogni cosa: le strade, le case, le persone, quelle stesse persone che,
poco prima, sembravano dei libri aperti, adesso costituiscono
l'enigma. Mentre prima le si giudicava equilibrate, buone, giuste,
mansuete, ragionevoli, adesso appaiono sregolate, cattive, ingiuste,
violente, prive di ragione. Come spiegare questa metamorfosi, questo
lato oscuro delle persone? È reale o è un'illusione? C'è sempre
stato e non si è stati capaci d'intravederlo, oppure è appena
affiorato e lo si è scorto perché sono cambiati i nostri occhi?
Qual è l'effettiva identità delle persone? Quella che si conosceva
prima, quella appena scoperta, o entrambe? E la nostra? E se avessimo
anche noi un lato oscuro? Chi siamo veramente ? Siamo buoni, cattivi,
o tutti e due? E se fossimo cattivi? Se provassimo piacere
nell'essere tali e dimenticassimo di essere anche buoni?
Lo strano caso del
dottor Jekyll e del signor Hyde (1886),
di Robert Louis Stevenson, è un'attualissima indagine nelle viscere
dell'animo umano, alla ricerca di quegli elementi minuti che
costituiscono le fondamenta della personalità. Quest'ultima, secondo
Stevenson, è “un sistema di entità multiformi, incongrue e
indipendenti”, è costituita da due istinti, due forze, due esseri
che, rappresentando rispettivamente i domini del bene e del male, si
danno quotidianamente battaglia nella coscienza, per imporre il
proprio dominio sull'altro. La natura umana, dunque, è duplice:
buona e cattiva a un tempo, conscia e inconscia, Jekyll e Hyde. In
questo senso, il destino di un individuo è condizionato dal
prevalere o no di una forza sull'altra e quello degli altri dipende
dall'esito dello scontro tra le forze antitetiche si combattono nella
coscienza del singolo. In un caso, si opera per il bene proprio e
della collettività, nell'altro si opera per il male, per
l'appagamento sfrenato dei propri istinti e piaceri, a scapito degli
altri. Consapevoli di ciò, è possibile proporsi di controllare
queste pulsioni contrastanti, queste forze antagoniste? Si può
tentare, ma non è così facile. Basta un attimo, infatti, basta una
semplice pozione – o una droga, un alcolico, un profumo, un evento,
un incontro, un'idea – ed ecco che il signor Hyde salta fuori a
combinare guai seri, mandando in stand by il dottor Jekyll. Ogni
volta che si verifica questo scambio di personalità, cresce la
consapevolezza che rispedire Hyde da dove è emerso diventa sempre
più difficile. Ma bisogna combattere, restare dalla parte di Jekyll
ed evitare la pozione – o le pozioni – che evoca Hyde, prima che
sia troppo tardi: prima, cioè, che lo scambio sia conclusivo e ci si
rispecchi totalmente in lui, dimenticandosi per sempre di essere
anche Jekyll.
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