- di Saso Bellantone
Un viaggio verso luoghi
sconosciuti, verso culture sconosciute. Un viaggio nell’ignoto, là
dove si è sempre all’oscuro di ciò che sta per accadere e nel bel
mezzo del quale non è più possibile tornare indietro. Un viaggio
dove in ogni momento realtà e sogno sembrano combinarsi tra loro
partorendo l’assurdo, l’impossibile, l’insensato, distruggendo
passo dopo passo quello che finora era ‘la realtà’.
Un viaggio che scava
dentro le più celate paure dell’uomo, che tira a galla le sue più
nere emozioni; un viaggio in cui, ogni volta e gradualmente, si
prende coscienza dell’imminenza della fine, e nel quale non si può
fare a meno di pensare alla fine, alla propria fine. Un viaggio cui
non ci si può sottrarre, che non dà il tempo di prender fiato e che
si è costretti, malgrado sé, a percorrere nella sua interezza,
perché in ogni attimo chiama in causa, coinvolge e minaccia in prima
persona non solo se stessi e la propria sorte, ma anche quella di
coloro con i quali si condivide quella strettissima porzione di
spazio-tempo che viene identificata col proprio mondo, la propria
casa, la propria realtà. Un viaggio che finisce per trascinare
dentro la sorte dell’intero genere umano e che può trovare termine
solo là dove tutto è cominciato.
Pubblicato nel 1897 –
alle soglie del XX secolo, il secolo delle rivoluzioni, del
poliedrico mutamento dell’uomo, delle società, delle nazioni, del
globo terrestre – Dracula di Bram Stoker, in un misto tra
storia, leggenda, epistole, fantasia e allegoria, è la lente
d’ingrandimento su alcuni principali cambiamenti della civiltà
umana, determinandone in qualche modo il buio destino nel tempo a
venire e nella nuova era cui soltanto ci stiamo ancora affacciando:
il lavoro, i rapporti internazionali, la figura della donna, la
conoscenza.
Il lavoro è
quell’attività che accompagna l’uomo per buona parte della sua
esistenza, riempie e colora il suo tempo ‘dandogli da fare’, e
consentendogli di ‘guadagnarsi da vivere’, di badare al proprio
sostentamento. Il lavoro è una delle modalità principali attraverso
la quale ogni persona canalizza la totalità delle proprie forze e
manifesta nella sua quasi interezza il proprio essere. Pur
attraversando Dracula sullo sfondo dall’inizio alla fine, il
lavoro gioca un ruolo fondamentale. Tutto comincia per lavoro: è
metaforicamente in questa sfera che la vicenda ha origine e che le
forze del bene e quelle del male entrano in conflitto tra di loro. È
per tale motivo che comincia il viaggio di Jonathan Harker, è
proprio dietro le mentite spoglie di un mero cliente che si dà a
vedere – anche se solo in seguito se ne diviene consapevoli – la
figura del ‘vampiro’ e che si viene fortuitamente a conoscenza
dei suoi cupi progetti e della sua vera identità ed ambizione; è
nella dimensione del lavoro che la brama di sangue del nosferatu
trova terreno fertile per diffondersi dalla Transilvania
all’Inghilterra e di qui in tutto il globo, mentre gli altri
svolgono i propri compiti, doveri, mansioni all’oscuro dei disegni
e dei profitti del vampiro; è per lavoro che il dottor Seward scopre
il legame dei buchi al collo di Lucy Westenra col vampiro o il legame
di Renfield con quegli; è per lavoro che il dottor Seward chiama in
causa Van Helsing e che questi scopre il pericolo in cui ci si è
imbattuti.
Solo una cosa non avviene
più per lavoro: la lotta da parte di quasi tutti i protagonisti
della storia contro il vampiro e contro il pericoloso morbo di cui è
portatore – che rischia di diffondersi ovunque – per difendere
gli innocenti e le persone care. Mentre Van Helsing si ritrova già
in ballo ed è già pronto a lottare contro il Non-morto e il suo
maleficio, mettendo subito a rischio la propria incolumità al
servizio degli innocenti e delle persone care, forse più
gradualmente avviene la presa di coscienza di dover lottare sia per
il dottor Seward che per Lord Godalming, Quincey Morris e Jonathan
Harker.
Il giovane ed inesperto
Jonathan aveva avuto l’occasione di sbarazzarsi del nosferatu
direttamente in Transilvania, nel momento in cui quegli era più
indifeso, ma qualcosa gli aveva trattenuto la mano: l’insicurezza,
l’incertezza di trovarsi o meno dalla parte giusta. Solo quando la
sua amata Mina si troverà in pericolo, Jonathan deciderà di
prendere posizione e, in una lotta contro il tempo, di fare quello
che non era riuscito a fare qualche mese avanti. Se prima era ancora
alle prime armi e all’oscuro di quanto di pericoloso poteva celarsi
dietro il semplice svolgimento di ciò per cui era pagato, ora e solo
ora – che è diventato tragicamente consapevole di quanto andava
fatto prima, prima che il male colpisse Mina – comprende quanto sia
pesata la sua inesperienza, incertezza ed esitazione, e decide di
mettere a rischio la propria vita per salvare quella dell’amata, e
con lui gli altri, dopo aver fallito nei confronti della povera Lucy
Westenra, contagiata e trasformata anche lei in Non-morta.
Il vampiro e la brama di
sangue sono la metafora di quanto di più pauroso, malefico e
pericoloso possa esserci ovvero, gli uomini stessi e la segreta
ambizione al potere che ognuno cela in sé. Da questa prospettiva, il
romanzo si colora di un’altra luce sottolineando come proprio il
lavoro – quale attività in qualche modo costitutiva e
organizzativa dell’uomo, e non solo – sia lo spazio nel quale si
gioca e si dispiega la segreta ambizione al potere da parte degli
uomini, trasformandoli spesso nella paura, nel male e nel pericolo in
persona agli occhi degli altri uomini. Il lavoro si mostra quindi
come elemento principale nel quale viene a giocarsi – agli occhi di
Bram Stoker nella nuova era – l’eterna partita tra il bene e il
male ma, un po’ per inesperienza, un po’ per insicurezza, un po’
per innocenza, ognuno di noi non comprende sulle prime che sta
giocando ogni volta un ruolo determinante, solo dopo aver effettuato
la scelta sbagliata capiremo il male che abbiamo fatto. Il guaio è
che spesso dietro ogni cliente, allievo e quant’altro può celarsi
ogni volta un ‘vampiro’ e, sebbene noi svolgiamo il nostro
compito con tutta l’obiettività, professionalità e disinteresse
possibili, potremmo scoprire solo quando è troppo tardi – se non
lo facciamo volutamente – di aver reso un servizio a quanti per il
potere vogliono mettere in pericolo la vita degli innocenti e delle
persone che ci stanno più care – quegli uomini ambiziosi che
finiscono per dimenticare, col tempo, di aver intrapreso la folle
corsa al dominio e al potere per tentare di salvaguardare e
potenziare la vita delle persone che girano attorno a loro
all’inizio, e mettendole in pericolo alla fine, chiudendosi dietro
la propria brama ed avidità.
Perciò nel romanzo vi è
anche la figura di Van Helsing, le cui generalità conoscitive
vengono citate una volta sola (p. 147): egli rappresenta la
tradizione, la conoscenza, la storia, incarna la figura ormai rara
del maestro nelle arti, nelle scienze e nello spirito senza l’aiuto
del quale i protagonisti della vicenda poco avrebbero potuto contro
il potere del Non-morto; Van Helsing rinvia alla necessità di una
tale figura nella nuova era e alla necessità del sapere e della
conoscenza del passato e della tradizione, necessario anche per il
semplice operaio, visto che sarà il lavoro lo spazio nel quale
decidere ogni volta la propria sorte e quella di coloro che ci stanno
a fianco.
Altro elemento decisivo è
la figura di Mina Harker, nella quale Bram Stoker vede e riconosce
l’importanza della figura della donna all’interno delle più
disparate questioni politiche, economiche e lavorative, in generale,
che verranno nella nuova era. Mentre all’inizio l’autore
sottolinea come il ruolo della donna e dell’uomo siano ancora
diversi sul finire del XIX secolo – casa e galateo e figli per le
donne, lavoro per gli uomini – in seguito, con l’implicito
riferimento al passaggio verso la nuova era, la figura di Mina Harker
finisce per assumere un ruolo decisivo tanto quanto quello di Van
Helsing per la lotta contro il conte: senza di lei – che via via
segue il proprio percorso di scoperta e conoscenza del male prima e
dopo il contagio – tutto sarebbe stato vano, nonostante la ragione
fondamentale per l’innesco a tutto tondo della lotta contro il
nosferatu e contro il tempo irreversibile della metamorfosi di
Mina, è proprio il suo contagio – cioè il rischio che anche lei
diventi avida di potere come il vampiro.
Il lavoro, la conoscenza
e l’importanza della donna saranno dunque, agli occhi di Bram
Stoker, il luogo e i protagonisti delle vicende umane, legate come
sempre alle scelte dei singoli individui, l’unico vero sito nel
quale si giocherà assiduamente l’eterno scontro tra le forze del
bene e quelle del male; ma vi sono ancora altri due elementi
silenziosi e che appaiono sullo sfondo, che determineranno le sorti
della civiltà a venire e del globo: l’amore e l’amicizia,
l’amore intramontabile e intaccabile di Jonathan e Mina, il forte
sentimento di amicizia e di unione, di fiducia che ha legato insieme
le speranze di tutti i personaggi del romanzo in vista della vittoria
contro il vampiro, contro il male.
Infine, non resta che il
monito dell’autore nei confronti dell’avidità, dell’ambizione,
del desiderio di potere incarnato dalla figura di Dracula, per il
quale la brama di sangue non ha fatto altro che trasformare la sua
vita in un incubo, nel quale rendere un inferno anche la vita degli
altri e, alla fine, solo per scoprire di aver ottenuto così una vita
maledetta: il Non-morto infatti è colui che ha dimenticato
l’innocenza insita in sé dalla nascita e che il desiderio di
potere finisce per farci dimenticare di avere in ognuno di noi;
questo è il morbo che Dracula vuole diffondere su ogni angolo della
terra, questo è il vero nemico che i protagonisti combattono, per
salvaguardare l’innocenza di tutti. Bisogna guardarsi perciò dal
diventare Non-morti: si diventa tali quando si perde la purezza e la
semplicità che è in ognuno di noi, quando si smarrisce il desiderio
di vivere insieme agli altri per il semplice stare gioiosamente con
essi, quando ci si lascia andare al potere e all’ambizione, unico
germe col quale, se si diffondesse a macchia d’olio, rischieremmo
di vivere, attimo dopo attimo, un’intera esistenza dannata e
maledetta, dove la morte non apparirebbe più come un dono, ma come
l’impossibilità di cambiare il proprio passato, la propria vita
vissuta e il brutto ricordo di noi resterebbe immutato nelle menti
degli altri.
È questo il messaggio
che Bram Stoker, precorrendo i tempi, vuole comunicarci, quando si
pronuncia per mezzo di Van Helsing in merito ai Non-morti, spiegando
che
«quando essi diventano
tali, col mutamento viene la maledizione dell’immortalità: loro
non possono morire, ma devono secolo dopo secolo aggiungere nuove
vittime e moltiplicare i mali del mondo; perché tutti che muoiono
preda di un Non-morto diventano anche loro non-morti e predano poi
gli altri. E così il cerchio sempre più si allarga, come le
increspature che fa un sasso gettato in acqua» (p. 278)*.
* Recensione del marzo
2007.
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