IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.

giovedì 13 dicembre 2012

DRACULA di Bram Stoker



- di Saso Bellantone
Un viaggio verso luoghi sconosciuti, verso culture sconosciute. Un viaggio nell’ignoto, là dove si è sempre all’oscuro di ciò che sta per accadere e nel bel mezzo del quale non è più possibile tornare indietro. Un viaggio dove in ogni momento realtà e sogno sembrano combinarsi tra loro partorendo l’assurdo, l’impossibile, l’insensato, distruggendo passo dopo passo quello che finora era ‘la realtà’.
Un viaggio che scava dentro le più celate paure dell’uomo, che tira a galla le sue più nere emozioni; un viaggio in cui, ogni volta e gradualmente, si prende coscienza dell’imminenza della fine, e nel quale non si può fare a meno di pensare alla fine, alla propria fine. Un viaggio cui non ci si può sottrarre, che non dà il tempo di prender fiato e che si è costretti, malgrado sé, a percorrere nella sua interezza, perché in ogni attimo chiama in causa, coinvolge e minaccia in prima persona non solo se stessi e la propria sorte, ma anche quella di coloro con i quali si condivide quella strettissima porzione di spazio-tempo che viene identificata col proprio mondo, la propria casa, la propria realtà. Un viaggio che finisce per trascinare dentro la sorte dell’intero genere umano e che può trovare termine solo là dove tutto è cominciato.

Pubblicato nel 1897 – alle soglie del XX secolo, il secolo delle rivoluzioni, del poliedrico mutamento dell’uomo, delle società, delle nazioni, del globo terrestre – Dracula di Bram Stoker, in un misto tra storia, leggenda, epistole, fantasia e allegoria, è la lente d’ingrandimento su alcuni principali cambiamenti della civiltà umana, determinandone in qualche modo il buio destino nel tempo a venire e nella nuova era cui soltanto ci stiamo ancora affacciando: il lavoro, i rapporti internazionali, la figura della donna, la conoscenza.
Il lavoro è quell’attività che accompagna l’uomo per buona parte della sua esistenza, riempie e colora il suo tempo ‘dandogli da fare’, e consentendogli di ‘guadagnarsi da vivere’, di badare al proprio sostentamento. Il lavoro è una delle modalità principali attraverso la quale ogni persona canalizza la totalità delle proprie forze e manifesta nella sua quasi interezza il proprio essere. Pur attraversando Dracula sullo sfondo dall’inizio alla fine, il lavoro gioca un ruolo fondamentale. Tutto comincia per lavoro: è metaforicamente in questa sfera che la vicenda ha origine e che le forze del bene e quelle del male entrano in conflitto tra di loro. È per tale motivo che comincia il viaggio di Jonathan Harker, è proprio dietro le mentite spoglie di un mero cliente che si dà a vedere – anche se solo in seguito se ne diviene consapevoli – la figura del ‘vampiro’ e che si viene fortuitamente a conoscenza dei suoi cupi progetti e della sua vera identità ed ambizione; è nella dimensione del lavoro che la brama di sangue del nosferatu trova terreno fertile per diffondersi dalla Transilvania all’Inghilterra e di qui in tutto il globo, mentre gli altri svolgono i propri compiti, doveri, mansioni all’oscuro dei disegni e dei profitti del vampiro; è per lavoro che il dottor Seward scopre il legame dei buchi al collo di Lucy Westenra col vampiro o il legame di Renfield con quegli; è per lavoro che il dottor Seward chiama in causa Van Helsing e che questi scopre il pericolo in cui ci si è imbattuti.
Solo una cosa non avviene più per lavoro: la lotta da parte di quasi tutti i protagonisti della storia contro il vampiro e contro il pericoloso morbo di cui è portatore – che rischia di diffondersi ovunque – per difendere gli innocenti e le persone care. Mentre Van Helsing si ritrova già in ballo ed è già pronto a lottare contro il Non-morto e il suo maleficio, mettendo subito a rischio la propria incolumità al servizio degli innocenti e delle persone care, forse più gradualmente avviene la presa di coscienza di dover lottare sia per il dottor Seward che per Lord Godalming, Quincey Morris e Jonathan Harker.
Il giovane ed inesperto Jonathan aveva avuto l’occasione di sbarazzarsi del nosferatu direttamente in Transilvania, nel momento in cui quegli era più indifeso, ma qualcosa gli aveva trattenuto la mano: l’insicurezza, l’incertezza di trovarsi o meno dalla parte giusta. Solo quando la sua amata Mina si troverà in pericolo, Jonathan deciderà di prendere posizione e, in una lotta contro il tempo, di fare quello che non era riuscito a fare qualche mese avanti. Se prima era ancora alle prime armi e all’oscuro di quanto di pericoloso poteva celarsi dietro il semplice svolgimento di ciò per cui era pagato, ora e solo ora – che è diventato tragicamente consapevole di quanto andava fatto prima, prima che il male colpisse Mina – comprende quanto sia pesata la sua inesperienza, incertezza ed esitazione, e decide di mettere a rischio la propria vita per salvare quella dell’amata, e con lui gli altri, dopo aver fallito nei confronti della povera Lucy Westenra, contagiata e trasformata anche lei in Non-morta.
Il vampiro e la brama di sangue sono la metafora di quanto di più pauroso, malefico e pericoloso possa esserci ovvero, gli uomini stessi e la segreta ambizione al potere che ognuno cela in sé. Da questa prospettiva, il romanzo si colora di un’altra luce sottolineando come proprio il lavoro – quale attività in qualche modo costitutiva e organizzativa dell’uomo, e non solo – sia lo spazio nel quale si gioca e si dispiega la segreta ambizione al potere da parte degli uomini, trasformandoli spesso nella paura, nel male e nel pericolo in persona agli occhi degli altri uomini. Il lavoro si mostra quindi come elemento principale nel quale viene a giocarsi – agli occhi di Bram Stoker nella nuova era – l’eterna partita tra il bene e il male ma, un po’ per inesperienza, un po’ per insicurezza, un po’ per innocenza, ognuno di noi non comprende sulle prime che sta giocando ogni volta un ruolo determinante, solo dopo aver effettuato la scelta sbagliata capiremo il male che abbiamo fatto. Il guaio è che spesso dietro ogni cliente, allievo e quant’altro può celarsi ogni volta un ‘vampiro’ e, sebbene noi svolgiamo il nostro compito con tutta l’obiettività, professionalità e disinteresse possibili, potremmo scoprire solo quando è troppo tardi – se non lo facciamo volutamente – di aver reso un servizio a quanti per il potere vogliono mettere in pericolo la vita degli innocenti e delle persone che ci stanno più care – quegli uomini ambiziosi che finiscono per dimenticare, col tempo, di aver intrapreso la folle corsa al dominio e al potere per tentare di salvaguardare e potenziare la vita delle persone che girano attorno a loro all’inizio, e mettendole in pericolo alla fine, chiudendosi dietro la propria brama ed avidità.
Perciò nel romanzo vi è anche la figura di Van Helsing, le cui generalità conoscitive vengono citate una volta sola (p. 147): egli rappresenta la tradizione, la conoscenza, la storia, incarna la figura ormai rara del maestro nelle arti, nelle scienze e nello spirito senza l’aiuto del quale i protagonisti della vicenda poco avrebbero potuto contro il potere del Non-morto; Van Helsing rinvia alla necessità di una tale figura nella nuova era e alla necessità del sapere e della conoscenza del passato e della tradizione, necessario anche per il semplice operaio, visto che sarà il lavoro lo spazio nel quale decidere ogni volta la propria sorte e quella di coloro che ci stanno a fianco.
Altro elemento decisivo è la figura di Mina Harker, nella quale Bram Stoker vede e riconosce l’importanza della figura della donna all’interno delle più disparate questioni politiche, economiche e lavorative, in generale, che verranno nella nuova era. Mentre all’inizio l’autore sottolinea come il ruolo della donna e dell’uomo siano ancora diversi sul finire del XIX secolo – casa e galateo e figli per le donne, lavoro per gli uomini – in seguito, con l’implicito riferimento al passaggio verso la nuova era, la figura di Mina Harker finisce per assumere un ruolo decisivo tanto quanto quello di Van Helsing per la lotta contro il conte: senza di lei – che via via segue il proprio percorso di scoperta e conoscenza del male prima e dopo il contagio – tutto sarebbe stato vano, nonostante la ragione fondamentale per l’innesco a tutto tondo della lotta contro il nosferatu e contro il tempo irreversibile della metamorfosi di Mina, è proprio il suo contagio – cioè il rischio che anche lei diventi avida di potere come il vampiro.
Il lavoro, la conoscenza e l’importanza della donna saranno dunque, agli occhi di Bram Stoker, il luogo e i protagonisti delle vicende umane, legate come sempre alle scelte dei singoli individui, l’unico vero sito nel quale si giocherà assiduamente l’eterno scontro tra le forze del bene e quelle del male; ma vi sono ancora altri due elementi silenziosi e che appaiono sullo sfondo, che determineranno le sorti della civiltà a venire e del globo: l’amore e l’amicizia, l’amore intramontabile e intaccabile di Jonathan e Mina, il forte sentimento di amicizia e di unione, di fiducia che ha legato insieme le speranze di tutti i personaggi del romanzo in vista della vittoria contro il vampiro, contro il male.
Infine, non resta che il monito dell’autore nei confronti dell’avidità, dell’ambizione, del desiderio di potere incarnato dalla figura di Dracula, per il quale la brama di sangue non ha fatto altro che trasformare la sua vita in un incubo, nel quale rendere un inferno anche la vita degli altri e, alla fine, solo per scoprire di aver ottenuto così una vita maledetta: il Non-morto infatti è colui che ha dimenticato l’innocenza insita in sé dalla nascita e che il desiderio di potere finisce per farci dimenticare di avere in ognuno di noi; questo è il morbo che Dracula vuole diffondere su ogni angolo della terra, questo è il vero nemico che i protagonisti combattono, per salvaguardare l’innocenza di tutti. Bisogna guardarsi perciò dal diventare Non-morti: si diventa tali quando si perde la purezza e la semplicità che è in ognuno di noi, quando si smarrisce il desiderio di vivere insieme agli altri per il semplice stare gioiosamente con essi, quando ci si lascia andare al potere e all’ambizione, unico germe col quale, se si diffondesse a macchia d’olio, rischieremmo di vivere, attimo dopo attimo, un’intera esistenza dannata e maledetta, dove la morte non apparirebbe più come un dono, ma come l’impossibilità di cambiare il proprio passato, la propria vita vissuta e il brutto ricordo di noi resterebbe immutato nelle menti degli altri.
È questo il messaggio che Bram Stoker, precorrendo i tempi, vuole comunicarci, quando si pronuncia per mezzo di Van Helsing in merito ai Non-morti, spiegando che
«quando essi diventano tali, col mutamento viene la maledizione dell’immortalità: loro non possono morire, ma devono secolo dopo secolo aggiungere nuove vittime e moltiplicare i mali del mondo; perché tutti che muoiono preda di un Non-morto diventano anche loro non-morti e predano poi gli altri. E così il cerchio sempre più si allarga, come le increspature che fa un sasso gettato in acqua» (p. 278)*.

* Recensione del marzo 2007.

Nessun commento:

Posta un commento