- di Saso Bellantone
Una croce logorata. Sembra sospesa in un
ambiente surreale. Su di essa, vi è ancora il corpo di un uomo, usurato al pari
della croce. È ancora sanguinante, perché è attraversato da svariate lance di
ferro, che lo tengono saldamente fissato alla croce. Il sangue attraversa le ferree
lance e da queste ultime gocciola, trasformandosi in una densa marea d’olio,
sospesa al pari del Crocifisso in questa atmosfera assurda. La sofferenza del Cristo è una delle
opere mistiche con cui Mimmo Fadani vuole riflettere sulla questione della
salvezza e sulla condizione umana.
Secondo le fonti bibliche, dopo la morte
in croce, il corpo di Gesù di Nazareth, detto il Cristo (che significa L’Unto,
il Messia), è stato deposto e collocato in una tomba, il Sepolcro, dal quale,
dopo tre giorni, è tornato in vita, è risorto. Nelle Lettere, le fonti più vicine ai fatti in questione (risalenti agli
anni ’50 d.C.), l’apostolo Paolo chiarisce che la morte e la resurrezione del
Messia Gesù rientrano in un piano per la salvezza degli uomini, ordinato da Dio
fin dalla notte dei tempi. Dopo tali avvenimenti, secondo l’apostolo, il Messia
tornerà tra gli uomini per separare i giusti dagli ingiusti: salverà i primi,
premiandoli con la vita eterna, condannerà i secondi alla morte definitiva nel
nulla che consuma tutto l’esistente. Secondo Paolo, alla salvezza si accede mediante
fede, speranza e amore ma anche restando vigili perché il Messia giunge “come
un ladro nella notte”. Inoltre, prima che si compia definitivamente la
salvezza, spiega Paolo, dovranno svolgersi altri eventi: la comparsa dell’anti-messia
(anti-keimènos) e il manifestarsi della forza frenante (katéchon). Soltanto
dopo questi fatti, il disegno di salvezza divino giungerà al suo compimento
ultimo.
Ne La
sofferenza del Cristo, il piano divino di salvezza sembra essere
sospeso, interrotto, fermato, malgrado il tempo cronologico vada avanti. Il
Messia Gesù infatti non è morto, non è stato deposto, non è stato sepolto né è
risorto. È ancora crocifisso, anzi è ancorato solidamente alla croce per via
delle lance di ferro che gli penetrano la carne da parte a parte, formando
quasi una prigione dalla quale gli è impossibile liberarsi. Il corpo e la croce
sono corrosi dal tempo cronologico che scorre inesorabilmente ma le lance,
simbolo del progresso umano, costituiscono la forza che frena il piano divino
di salvezza, che fanno permanere il Messia nel suo martirio, nella sua sofferenza
e nel suo dissanguamento. Il sangue che cola dalle lance e si trasforma in
olio, l’olio delle macchine e della tecnologia umana, rappresenta la
connessione tra due tempi: quello della salvezza, sospeso, e quello del mondo,
che prosegue spietato e infaticabile, costringendo il Messia Gesù a patire il
proprio supplizio, senza possibilità di fermata, di liberazione, di fine.
Ne La
sofferenza del Cristo, Mimmo Fadani si pronuncia nei confronti del disegno
divino di salvezza ma anche nei confronti della condizione umana. Preferendo
alla fede nel Messia Gesù la fiducia nel progresso tecnologico allo scopo di
emanciparsi dalla propria condizione morente e imperfetta, è l’essere umano stesso
ad obbligare il Messia alla tortura della croce e, quindi, a sospendere il
piano divino di salvezza. In questa maniera, inoltre, non si rende conto che,
condannando il Messia Gesù alla sofferenza della croce, l’essere umano condanna
anche se stesso allo stesso martirio senza sosta alcuna né possibilità di
redenzione.
Con quest’opera, Mimmo Fadani vuole far
riflettere sul progresso tecnologico e sulla fiducia che gli esseri umani
ripongono in quest’ultimo, per la risoluzione ultima di tutti i loro mali. La risposta
di Mimmo Fadani è di cambiare strada, di tornare alla fede in Dio e nel Messia
Gesù, unica possibilità di salvezza per gli esseri umani, perché continuando
fiduciosi nel sentiero del progresso non si fa altro che prolungare la propria
sofferenza per un tempo incalcolabile, se non eterno.
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