- di Saso Bellantone
Una donna vicino a un lampione acceso. I capelli pettinati all’indietro, con cura. Una collana, una borsetta, il candido corpo semicoperto da un abito porpora, delle scarpe coi tacchi alti. È una lucciola: si trova in mezzo alla strada, solitaria, guarda verso l’orizzonte, là dove la via stessa comincia e finisce, pronta a donarsi al primo passante. Da un lato della strada, le finestre di edifici di nuova costruzione completamente al buio; dall’altro lato, invece, la luce delle candele e delle lampade a olio, fuoriesce dalle fenditure di edifici diroccati. Il cielo quasi nero, colmo di nuvole in tempesta ma anche pronto a liberarsene. Alle spalle della donna un bagliore di fari di un’automobile ignota, che si avvicina. L’attesa di Mimmo Fadani è un’opera che parla della nostra società, immortalandone il caratteristico modo di stare nel tempo, diverso da quello che il titolo stesso dell’opera chiama in causa: vale a dire, quello concepito da Paolo di Tarso.
Rivolgendosi alle prime comunità “cristiane” mediante le sue Lettere, Paolo qualifica l’attesa come un modo di stare nel tempo cronologico, una disposizione d’animo, un modo d’essere e di comportarsi rivolto verso uno scopo ultimo, massimo, supremo. I fedeli lo interrogano riguardo a varie questioni, specie quella riguardante il tipo di comportamento che occorre adottare in vista della seconda venuta del Messia, del Giudizio e dell’instaurazione del Regno. A tal proposito l’apostolo chiarisce che bisogna regolare la propria condotta vivendo secondo il come-non (per esempio, chi è sposato come non sposato, chi soffre come non soffra e via dicendo) e la triade fede-speranza-amore: fede nel Messia; speranza nel piano di salvezza divino; amore dell’altro. Il come-non e la triade paolini costituiscono l’etica che occorre praticare per ottenere il sommo bene (la vita eterna). Attuandoli, il fedele abita il tempo cronologico alla maniera dell’attesa, rivolgendosi cioè in direzione della seconda del venuta del Messia che, giungendo “come un ladro nella notte”, separerà i giusti dagli ingiusti e darà ai primi la nuova vita, quella eterna. L’attesa paolina dunque è uno stare nel tempo in maniera teologica (orientato alla fede, cioè verso Dio) ed escatologica (proiettato verso il fine ultimo, la vita eterna). In questo modo, però, come sottolinea Nietzsche, concentrandosi cioè sulla seconda venuta e sull’altra vita, il fedele si dimentica di “questa” vita: la rifiuta.
Una donna vicino a un lampione acceso. I capelli pettinati all’indietro, con cura. Una collana, una borsetta, il candido corpo semicoperto da un abito porpora, delle scarpe coi tacchi alti. È una lucciola: si trova in mezzo alla strada, solitaria, guarda verso l’orizzonte, là dove la via stessa comincia e finisce, pronta a donarsi al primo passante. Da un lato della strada, le finestre di edifici di nuova costruzione completamente al buio; dall’altro lato, invece, la luce delle candele e delle lampade a olio, fuoriesce dalle fenditure di edifici diroccati. Il cielo quasi nero, colmo di nuvole in tempesta ma anche pronto a liberarsene. Alle spalle della donna un bagliore di fari di un’automobile ignota, che si avvicina. L’attesa di Mimmo Fadani è un’opera che parla della nostra società, immortalandone il caratteristico modo di stare nel tempo, diverso da quello che il titolo stesso dell’opera chiama in causa: vale a dire, quello concepito da Paolo di Tarso.
Rivolgendosi alle prime comunità “cristiane” mediante le sue Lettere, Paolo qualifica l’attesa come un modo di stare nel tempo cronologico, una disposizione d’animo, un modo d’essere e di comportarsi rivolto verso uno scopo ultimo, massimo, supremo. I fedeli lo interrogano riguardo a varie questioni, specie quella riguardante il tipo di comportamento che occorre adottare in vista della seconda venuta del Messia, del Giudizio e dell’instaurazione del Regno. A tal proposito l’apostolo chiarisce che bisogna regolare la propria condotta vivendo secondo il come-non (per esempio, chi è sposato come non sposato, chi soffre come non soffra e via dicendo) e la triade fede-speranza-amore: fede nel Messia; speranza nel piano di salvezza divino; amore dell’altro. Il come-non e la triade paolini costituiscono l’etica che occorre praticare per ottenere il sommo bene (la vita eterna). Attuandoli, il fedele abita il tempo cronologico alla maniera dell’attesa, rivolgendosi cioè in direzione della seconda del venuta del Messia che, giungendo “come un ladro nella notte”, separerà i giusti dagli ingiusti e darà ai primi la nuova vita, quella eterna. L’attesa paolina dunque è uno stare nel tempo in maniera teologica (orientato alla fede, cioè verso Dio) ed escatologica (proiettato verso il fine ultimo, la vita eterna). In questo modo, però, come sottolinea Nietzsche, concentrandosi cioè sulla seconda venuta e sull’altra vita, il fedele si dimentica di “questa” vita: la rifiuta.
Ne L’attesa, Mimmo Fadani evidenzia come nella modernità si abiti il tempo cronologico secondo una forma diversa dall’attesa paolina, priva cioè dell’elemento teologico (Dio) ed escatologico (vita eterna). L’attesa di Fadani presenta un mondo secolarizzato, nichilistico, disincantato: quello moderno. È un mondo manchevole di scopi ultimi e di verità assolute, nel quale l’essere umano, cosmologicamente solitario, non può comprendere la propria identità autentica né darsi una direzione, una traiettoria, una meta con la quale orientare la propria condotta e la propria volontà. La sua volontà, per dirla con Nietzsche, è una volontà del nulla. In questo cielo del pensiero, tenebroso come in segno di lutto divino (le nuvole nere nell’opera fadaniana), la volontà umana può ancora dirigersi verso qualcosa: può darsi un senso, un tragitto, un traguardo. Nell’assenza di scopi sovraumani, quel che resta alla volontà è ciò che prima Dio velava: la vita, questa vita.
La vita è un resto nel cosmo s-divinizzato. Un segreto, prima della morte di Dio, che dopo questa dipartita affascina e attrae con tutta la sua bellezza, solitudine e gratuità. Proprio come una donna (la lucciola nell’opera di Fadani) che ci attende sul far della sera e ci seduce con la sua sensualità. Nella sera di Dio, la vita è quell’occasione unica e irripetibile, quell’unico resto che si può ancora volere e che ora si può vivere nel pieno della sua interezza, senza alcun ostacolo. Anziché gettarsi a capofitto nella vita, la società moderna, tuttavia, si rapporta a questa opportunità in modo paradossale: la rifiuta. Mentre prima, con Dio, si attendeva il Messia e si rifiutava la vita (pur desiderandola), adesso che si è senza Dio e ci si può dare alla vita, si continua a bramarla invece di “viverla” e, in questo modo, si persiste nel respingerla. Se in passato era l’essere umano ad attendere il Messia, oggigiorno è la vita, senza Messia, ad attendere l’essere umano. L’opera di Fadani immortala questo ribaltamento. L’essere umano si nega alla vita o perché è pago di tutto ciò che già possiede (gli edifici nuovi) o perché non possiede nulla e pensa di non poterlo fare (gli edifici diroccati). Dietro il buio delle finestre dei nuovi fabbricati e dietro la luce che esce dalle finestre di quelli semidistrutti, si consuma lo spreco della vita nel mondo moderno.
Così come in Paolo il Messia arriva per ognuno “come un ladro nella notte”, allo stesso modo, su un piano diametralmente opposto, nella modernità anche la vita può giungere senza preavviso. L’umano moderno vagabonda nel buio di Dio in cerca di un senso e di uno scopo (i fari dell’automobile ignota) ed errando nell’ente senza essere, può ancora incontrare la vita là dove è sempre stata nella sua chiarezza (la luce del lampione che illumina la donna) e liberare l’oscurità del pensiero con quella luminosità improvvisa. Nel dipinto di Fadani, però, l’automobile non si scorge perché l’umano moderno non conosce la sua autentica identità, della quale, invece, è in cerca, in un mondo privo di fondamenti. Eppure i fari testimoniano che l’automobile c’è, dunque questo incontro può sempre accadere, malgrado se stessi. Quando ciò avviene, non si fa altro che incrociare ciò che è più evidente e, per questo motivo, invisibile: se stessi, in quanto vita incarnata, vita che già avviene, che si dà gratuitamente e che ognuno ha sempre e inconsapevolmente vissuto, creato, plasmato alla maniera di un artista, proprio come Fadani fa con la sua opera. L’attesa di Fadani testimonia, come una pagina di diario scritta con il pennello, l’occasione colta dal pittore bagnarese nel mondo moderno: l’incontro che ha fatto con se stesso e con la vita. Una possibilità che L’attesa offre gratuitamente a ogni osservatore.
pubblicato su CostaviolaInforma di Luglio 2011
Nessun commento:
Posta un commento