- di Saso Bellantone
Si è destinati a certi
luoghi o, forse, alcuni luoghi sono destinati a noi. Non si sa se sia
davvero in un modo o in un altro, eppure vi è una stretta relazione
tra io e luogo, tra coscienza e ambiente circostante. È un problema,
quest'ultimo, ben chiaro già ai primi filosofi anche se, fino a
Cartesio, si dava maggiore importanza alla conoscenza delle cose in
maniera ultima e definitiva, entro la quale, molto probabilmente in
termini mistico-sacrali e religiosi, si forniva un'interpretazione el
singolo essere umano. Con Cartesio, e poi con Galileo e Kant,
comincia quel processo di indagine della res cogitans e della
res extensa che porterà a una visione scientifica del mondo e
a partire da Freud della coscienza umana, allo scopo, così come
facevano i primi pensatori, di tracciare una immagine certa di
entrambi.
Al di là di ogni metodo
e prospettiva con i quali giungere a una comprensione risolutiva dei
due oggetti in esame, resta tuttavia il problema della loro
relazione, ben più pesante e pressante per alcuni rispetto al
possesso di una carta geografica completa che consenta di muoversi
con sicurezza nell'universo e nella propria psiche. L'io, cioè,
continua a sentirsi legato al luogo in cui si trova, la coscienza
all'ambiente circostante nel quale è immersa, l'interiorità
all'esteriorità nella quale è calata, la psiche alla corporeità,
della quale, tra l'altro, fa parte. Perché vi è questa stretta
relazione? A che pro? Vi è una ragione di essa? Uno scopo?
Domande, queste ultime,
irrisolte e irrisolvibili, se non in chiave mistica, ascetica,
teologica, religiosa, ossia per mezzo di prospettive egoistiche ed
egocentriche, le cui risposte non assicurano nulla di vero in merito
a quegli interrogativi ma soltanto un progetto di potere e di dominio
sugli altri, sia per le cose futili e banali sia per quelle di
portata più ampia. Mentre alcuni continuano a illudersi con tali
fittizi responsi, altri invece sono consapevoli di essere soli con
quegli stessi quesiti; soli e bramosi di chiarirli una volte per
tutte. E anche se non ci riescono mai, permangono ciechi nel
domandare.
La questione
interno-esterno è uno dei pezzi galleggianti del relitto della
filosofia, affondato nel mare del tempo e della secolarizzazione. Con
Nietzsche, si è giunti alla scoperta che anche il pensiero
filosofico è soggetto a una laicizzazione, per cui tutte le vecchie
domande o crollano con la filosofia o sono poste in maniera nuova,
compreso il dilemma interno-esterno. Se l'essere umano continua a
porsi tale interrogativo, allora quest'ultimo merita ancora di essere
indagato, concependo il problema però in forma nuova, a partire da
altre cornici, presupposti e traiettorie.
Innanzitutto l'essere
umano, come sintesi di mente e corpo, è già l'esterno di
qualcos'altro, ossia dei processi biologici che alimentano e fanno
funzionare il suo corpo. Questa esteriorità, tuttavia, è l'interno
di qualcos'altro. Trovandosi all'interno dell'universo, dentro quella
galassia, quel sistema, quel pianeta sulla cui
superficie/ambiente/atmosfera abita, essa, e dunque l'essere umano, è
parte di quell'interno. Dal momento che l'universo, nella sua
struttura e composizione, è regolato da forze ed energie, la maggior
parte delle quali sono ancora da scoprire e da capire, e dal momento
che l'essere umano è (al)l'interno di esso, allora anche lui è
ordinato nel medesimo modo ed è condizionato da esse, da forze ed
energie che si manifestano in maniera macrocosmica, l'universo, e
microcosmica, il corpo umano.
Lo stretto legame che
l'essere umano percepisce con un determinato luogo non è altro che
il segnale di quella stretta connessione tra lui, in quanto
esteriorità e corporeità, e l'universo intero. La questione è che
tale segnale è recepito e messo a fuoco per mezzo del pensiero,
anche questo parte dell'essere umano, il quale però è astratto e
invisibile, tranne nel caso in cui si concretizza per mezzo delle
azioni corporee con cui raggiunge precisi scopi prefissati
(alimentarsi, dormire, camminare e così via) ed è a sua volta
condizionato dalla cultura che gli viene trasmessa, che eredita e che
esercita quotidianamente. Proprio la cultura, infatti, è ciò che
influenza e suggestiona l'essere umano, la sua psiche, la sua
percezione dei luoghi e dello stretto legame che vi è con essi.
Guardando una nuvola, per
esempio, si dovrebbe dire di vedere una nuvola ma a seconda della
cultura ricevuta si dice di vedere forme geometriche, fantastiche,
religiose e altro ancora. Lo stesso vale per i luoghi e i paesaggi.
La cultura è
paragonabile a un elastico che può spingere lontano ma può anche
tenere legati. Perciò, è lavorando su di essa che è possibile
influire sulla psiche umana e aiutarla a percepire le cose, e i
luoghi, per quello che sono. In questo senso, si potrebbe dire che un
luogo è soltanto se stesso e che non vi è alcun legame con esso, ma
secondo una prospettiva macrocosmica, cioè sul piano delle forze e
delle energie, non è così. Infatti, se alcuni alimenti possono
condizionare la nostra vita e il nostro pensiero, lo stesso vale per
ciò che è e resta al di fuori di noi. Così come alcune sostanze ci
fanno stare bene o male, allo stesso modo alcuni luoghi sortiscono su
di noi lo stesso effetto. È risaputo che vivere in un ambiente
degradato condiziona a tal punto da sviluppare un modo di pensare e
di pensarsi simile, anche se in alcuni casi spinge a ricercare
l'opposto, e viceversa. In questo senso i luoghi hanno un ruolo
cruciale nella vita di ognuno, un'importanza tale da deciderne il
destino anche sul piano biologico oltre che culturale. Chi vive per
esempio in zone montane è abituato alla scarsa quantità di ossigeno
presente nell'aria e ritrovandosi a una bassa altitudine soffrirebbe
per la maggiore presenza di ossigeno nell'aria, e viceversa. Se tale
è l'influenza fisica di un luogo, altrettanto è quella culturale (o
la sua interpretazione).
I luoghi sono parte di
noi e noi siamo parte di essi. Li vogliamo, li ricerchiamo, in
maniera inspiegabile, perché con e per mezzo di essi viviamo grandi
emozioni. Da ciò si spiega anche il fenomeno del turismo. Ma oltre
che vissuti in maniera irrazionale, occorrerebbe vivere i luoghi in
maniera misurata. Ci vorrebbe, cioè, un'educazione ai luoghi sul
piano storico, artistico, scientifico e mediante le tante discipline
utili per comprendere maggiormente la loro natura, struttura e il
loro funzionamento. Ciò chiama in causa un'educazione all'abitare,
che significa conoscere l'ambiente in cui ci si trova immersi e, dal
momento che la psiche è già immersa in un altro ambiente, il corpo,
occorrerebbe anche un'educazione alla propria corporeità.
L'educazione all'abitare,
in questa prospettiva, si manifesta duplice, ambiente da un lato e
corpo dall'altro lato, ed è possibile con una visione critica dei
saperi e delle stesse discipline umane utili per una formulazione di
essa. Per enunciarla e formalizzarla è necessario pensare, a partire
dalla stretta relazione interno-esterno sopra espressa, e per
comunicarla è necessario poi istruire.
Una sfida, perciò, di
carattere filosofico, in quanto la relazione interno-esterno si
espone al domandare e quest'ultimo, al di là della ruggine
tradizionale e dei vuoti estetismi delle mode passeggere, cela sempre
i grandi interrogativi sulla vita e sull'universo. In questo senso,
nella relazione interno-esterno, io e luogo, coscienza e ambiente,
res cogitans e res
extensa, e nel fascino che tale mistero suscita ancora, non vi è
altro che la domanda sul mistero dell'esistenza, accessibile a
partire da qualsiasi luogo e, tuttavia, non ancora risolvibile, e poi
quella sulla sua origine e la sua fine, ammesso che di essi di possa
parlare, e anche sul nostro destino all'interno di essa.
I luoghi dunque ci
parlano del nostro destino, anzi ci chiedono di esso e ci fanno
interrogare su di esso. Ci ricordano che il destino è e non è nelle
nostre mani, al pari di quello dello stesso domandare. Essere umano,
luoghi, domandare sono infatti strettamente connessi in questa
parola, il cui significato può morire o risorgere o trasmutarsi a
seconda del rapporto che intratteniamo con essa e se lo intratteniamo
oppure no.
Per quanto siano soltanto
se stessi, da questo punto di vista i luoghi sono anche di più:
l'accesso privilegiato a questa parola, sostando con la quale
possiamo ancora emozionarci e pensare.
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